venerdì 11 aprile 2014

"Questi anni osceni perché fuori dalla storia". Sulla poesia di Emiliano Michelini





Ci si può chiedere cosa renda davvero poesia questi versi così vicini, nei temi e nelle parole, ad una quotidianità grigia, angusta, pesantemente materica – alla "prosa della vita reale", alla "realtà già ordinata a prosa", come diceva il filosofo. La risposta è nel ritmo: un ritmo che serba ancora l'eco ineludibile di una tradizione poetica, di un "canto italiano" diceva Ungaretti, che paradossalmente divengono, per contrasto, ancora più sensibili, come in controluce, proprio nel verso libero che sia usato in modo consapevole, sotto la vigilanza di una coscienza letteraria scaltrita, e dunque sorretto dalla memoria di quelle stesse armonie e simmetrie che vengono infrante, o si infrangono da sé sotto la pressione della realtà e del dire. Nel testo riportato in chiusura, questo indiretto dialogo con l'eredità di movenze e di accordi, di scarti e dissonanze, che giunge fino a noi dai secoli e attraverso i secoli, si fa ancora più marcata. E proprio in quel ritmo, nel solco di quella musica remota trovano la propria dimora e la propria espressione i lampi lirici, i bagliori siderali levati, in rari momenti, come a cercare di redimere l'oscurità di un'epoca alla deriva. (M. V.)  





Cominciamo dando subito la parola all'autore, Emiliano Michelini (1977), che ci illustra le caratteristiche essenziali della sua prima raccolta La circolazione del sangue (Sigismundus, 2013).
D: in che arco di tempo l'hai composta?
R: le poesie contenute nel libro sono state scritte in un arco di tempo piuttosto lungo, che va dal 2004 al 2012. Ovviamente all'inizio non c'era la volontà di farne un libro: andavo avanti a scrivere con l'idea poi di raccoglierle, ma non sapevo con quale criterio. Nel momento in cui si è manifestata dentro di me l'intenzione di pubblicare un libro, ho scelto quelle che maggiormente potevano amalgamarsi insieme. La circolazione del sangue rappresenta solo una piccola parte di un percorso poetico iniziato a fine anni '90, anche se fino al 2003 le cose che scrivevo non credo si potessero chiamare poesie.
D: qual era l'intento?
R: l'intento era quello di fare una poesia che fosse esperienziale, che descrivesse il caos che vedevo intorno a me, intorno alle persone che frequentavo; lo smarrimento, prima di tutto affettivo e sentimentale, che attraversava le persone che ho incrociato in questi anni. Non è la descrizione della mia generazione, è la descrizione di un microcosmo nel quale ho vissuto. L'adolescenza che si protrae anche dopo la maggiore età, tipica degli ultimi quarant'anni del nostro paese, ma calata in un contesto immaginifico di sale giochi e centri commerciali. Io vengo da lì, non avrei potuto scrivere di altro. Come dice Milo de Angelis in un suo verso, anche io sono nato lì.
D: le esperienze che descrivi sono le tue, o quelle di altri?
R: sono prevalentemente di altri, ma viste con i miei occhi, interpretate secondo la mia sensibilità. Mi piaceva l'idea di mettere al centro del libro gli oggetti, quasi come se fossero loro i veri protagonisti, mentre le persone sono relegate al ruolo di protesi, appunto, degli oggetti stessi. Non c'è nessun intento moralistico; quello che mi interessava era mescolare assieme esperienza lirica e motorini truccati. I personaggi che si muovono nel libro possono appartenere a qualsiasi provincia italiana: io ho descritto la mia, in modo caotico e incongruo, e nello stesso tempo profondamente tragico. Tragico nel senso greco del termine: un canto collettivo di marmitte truccate e ragazze truccate.
D: la scelta di una metrica totalmente libera, quasi caotica, è dovuta all'oggetto del poetare?
R: la scelta metrica è stata proprio questa. Non so se sia stata una scelta felice, probabilmente no. Ma in quel periodo avevo in mente il poemetto Il sasso appeso di Nanni Balestrini, che è un insieme di ipermetri spezzati. L'adolescenza, d'altronde, è l'età caotica per eccellenza. Credo che questo modello si sia sedimentato lentamente nel processo di scrittura, ma quello stile (o non stile, vorrei dire) è limitato a quel libro; ho anche lasciato volutamente degli errori di sintassi (come la posizione delle virgole nei primi versi) per dare un senso di smarrimento ancora maggiore. Ho rischiato molto e non sono soddisfattissimo del risultato: non era una sfida facile, ma se a qualcuno è arrivato un qualcosa, il traguardo in qualche modo è stato raggiunto. In sostanza, è un libro sperimentale che ha in sé un candore quasi dilettantesco. Solitamente, per darmi una direzione scrivo in forma chiusa o con endecasillabi sciolti, dipende dove mi porta la poesia che sto scrivendo. In alcuni casi trovo che la metrica chiusa sia il giusto abito e in altri casi spezzo di proposito gli endecasillabi. Trovo comunque che il verso libero sia molto più difficile da utilizzare, al contrario di ciò che si pensa: con il verso libero sei più soggetto a sbagliare.

Basterebbero forse queste lucide risposte a illustrare la gestazione e la realizzazione di questa raccolta. La prima volta che l'ho letta, sono rimasto come dopo un giro in ottovolante: senza respiro, mi ero goduto ogni vertigine, estasiato e schifato. Al momento non riuscivo a capire cosa ci fosse di così follemente bello in queste pagine che, allo sguardo disattento, paiono il diario di un adolescente che osserva da semplice spettatore la sua e le altre vite come attraverso un caleidoscopio. Ero colpito: certe scene che trovavo descritte non solo le avevo già vissute (o viste, anch'io nel ruolo di spettatore), ma erano proprio le mie. E l'uso febbricitante della lingua, che gioca con se stessa e con la realtà, contribuiva ad alimentare quello stupore.
La presenza intermittente di una qualche bellezza, calata nel quotidiano e su sfondi tridimensionali di acuto squallore provinciale, mi risultava talmente familiare da farmi credere che quelle parole mi fossero state strappate dal cuore. Parlandone poi con Emiliano, gli dissi chiaro e tondo che la sua raccolta era un pugno in faccia. Era, allora, la definizione che più mi sembrava calzare per dei quadri di vita sociale che hanno la forza icastica di film come Trainspotting o I ragazzi dello zoo di Berlino. Penso alla stupenda Ode alle hypnoninfette, dove

i ragazzi aspettano l'ennesimo tramonto,
con le dita sul pulsante degli scooter
quando la piazza si trasforma in un deserto
con gli occhiali stretti stretti tra le mani (p. 24, vv. 1-4),

e a fare loro da contraltare ci sono ragazzine dalle idee già chiare:

con i piumini comprati in settimana
e il loro primo paio di stivali alla nazista,
stretti stretti dentro i jeans del terzo reich (ib., vv. 10-12).

E ancora nella poesia che apre il libro, e che sa di manifesto per l'intera raccolta, Millenovecentonovantotto:

abbiamo lasciato il nostro cuore
sulle scale mobili degli ipermercati (p. 13, vv.1-2);

o anche in questo passaggio tratto dalla terza parte, che ha un titolo magnificamente suburbano, La luna vista dal McDonald's:

abbiamo rispettato la stessa fila,
io dietro di te aspettando che ordinassi
il McChiken Deluxe Menù
con un the freddo al posto della coca (p. 43, vv.1-4).

La provincia italiana, dalle pagine di questa raccolta, esce maciullata nel suo orgoglio perbenista. L'autore ce ne presenta ogni piega morbosa, ogni vizio (sempre a livello dello sguardo di un adolescente, quindi circoscritto a valori che non superano mai il qui e ora), ogni bruttezza, ogni solitudine:

mettere la mano nelle tasche, ritrovare
quel foglietto stropicciato
con sopra scritto il numero e la frase
''Simona disposta a tutto'' (p. 22, vv. 12-15)

gli occhi viola, vitrei, poi
con quella faccia da mangiafiga ti avvicinasti
chiedendomi dei posti, delle ore (p. 25, vv. 2-4),

se deve fare il filtro
con la tessere sconto del McDonald's (p. 33, vv. 14-15),

facendo attenzione a non farmi scoprire
in mezzo all'erba, in mezzo alle siringhe (p. 52, vv. 7-8).

Ma aleggia qua e là, come un farfalla impazzita che non si lascia acchiappare, una bellezza nascosta, un lampo di eternità che ogni tanto si salva e ci salva dal nulla quotidiano:

in gola i segreti di una domenica
mattina, quando con le luci negli occhi
i rumori, le cose ancora più in generale
e la natura... (p. 47, vv. 10-13),

mi farò pavimento
per accogliere te e queste fotografie sbiadite
di ginocchia sbucciate e altri pomeriggi (p. 52, vv. 1-3),

scandisco il tempo di quell'orsa maggiore,
astri tra le fronde (p. 58, vv. 6-7).

Questa raccolta è un'antologia di situazioni, di momenti, di scene che innalzano l'adolescenza (anche la più disgraziata e già rovinata, svenduta) alla dignità poetica.
Sembra quasi di rileggere i testi dei Ramones, il gruppo punk newyorkese che ha fatto dell'adolescenza (a volte peggiore di quelle dei personaggi della Circolazione) il tema preferito delle sue canzoni. Nei Ramones si trova una certa ironia, che sfocia spesso nel macabro, visione influenzata dalla sottocultura dei quattro fratelli, cresciuti a filmacci horror e nottate per le strade della Grande Mela; qui invece lo sguardo vuole essere di empatia, di commiserazione pur senza sfociare nell'aperta denuncia di un modo di vivere doloroso.
Tocca poi a noi mettere a confronto quanto descritto con la nostra stessa esperienza, per trovarci in qualche modo affratellati all'autore e ai suoi personaggi. Si avverte forte la certezza che in queste pagine c'è dentro molto di ognuno di noi (parlo per chi oggi si aggira sui trenta-quaranta, insomma per chi ha vissuto da ragazzo parte degli '80 e tanto degli anni '90): le stesse delusioni, le stesse paure, lo stesso impossibile desiderio di amore. Quest'ultimo tema resta sempre sullo sfondo, presenza fissa che fa quasi da basso continuo: anche se spesso è un amore usato male, o mai osato, o semplicemente troppo difficile da mettere in pratica:

ancora femmine ingoiate senza amore (p. 35, v. 10),

resistono le cose dell'amore,
e poi qualcuna guarda senza sesso
un altro uomo nella folla. Hanno amato per davvero
non te lo diranno mai (36, vv. 30-33),

e il bacio non dato alla fine della spiaggia (p. 57, v. 5),

l'unica parola
d'amore sul cartone dell'addio (p. 60, vv. 3-4),

e ancora nel componimento che chiude la raccolta, dove la richiesta di amore è disperata e impossibile da soddisfare:

o se mi ami rendimi muta,
amami come si ama un abisso
nel treno del tuo sangue (p. 63, vv. 9-11).

La salvezza, se mai ce ne può essere una, è solo nel superamento spirituale, prima che anagrafico, dei limiti dell'adolescenza. Non è negli altri, non è nei luoghi: è in noi stessi. Questa raccolta è come il viaggio dall'inferno ad un paradiso fatto di ciò che sta oltre, dietro la linea piatta delle cittadine della fascia romagnola. Per chi ne ha esperienza, magari per esserci sfilato velocemente in autostrada, le colline in lontananza sono il simbolo della via d'uscita dal piattume del paesaggio. Ma è una meta sempre rimandata. Siamo tutti, chi un modo chi un altro, dei sopravvissuti a noi stessi, a ciò che eravamo; l'adolescenza è stata la guerra splendida e terribile a cui siamo scampati. Feriti, sì, ma vivi.
Ne La circolazione del sangue si racconta questa guerra. Ci sono vittime, e distruzioni; ma anche pause dal dolore, aperture alla speranza, al domani, all'infanzia (come nella quarta parte, La prima carne). Il microcosmo nel quale si muovono i personaggi rievocati dall'autore è la proiezione di una realtà più vasta (il Mondo, l'Età Adulta) che s'infiltra fino al singolo con epifanie improvvise, spezzoni di immagini, flash improvvisi. E' anzi questa realtà demiurgica che prepara il terreno, lo sfondo, ai personaggi. Che si trovano come intrappolati in un cerchio ristretto di innaturali luoghi di aggregazione sempre più inconsistenti nella loro pesantissima materialità. L'infanzia e l'età adulta stanno in attesa: la prima pronta a saltare fuori in un ricordo improvviso veloce,

un bambino color ciliegia insegue
se stesso in mezzo ai camion, in mezzo

ai camion, alle cose, a questa
dottrina di compleanni risolti (p. 47, vv. 16-19),

restano le cose che sanno di pietra
quando il bambino
conosce tutti i rumori del pensiero (p. 53, vv. 1-3),

ho visto
che sanguinavi a ritroso nell'infanzia (p. 61, vv. 4-5);

l'altra già intenta a insozzare il modo di vivere dei personaggi che hanno sempre addosso un'ansia di crescere; anzi, e forse nemmeno loro se ne accorgono, sono già cresciuti, e non tutti bene.
Capita, a chi legge queste pagine, quello che capita ad Alice ogni volta che ricade nella buca del coniglio; ma qui il mondo delle meraviglie è una copia più lugubre, più spaventosa. Come sottolinea giustamente Davide Nota nella prefazione, è Alice nel paese delle meraviglie traumatizzate (p. 7). Ma questo paese non ha nulla del grottesco, del fantasioso che ispirava le invenzioni di Carroll; qui è la realtà stessa che si è tolta la maschera davanti ad uno spettatore adolescente che assiste alla tragedia del crescere quando non si è ancora in grado di crescere, col rischio naturalmente di crescere troppo in fretta.
Si arriva alla fine del libro, come già detto, con la sensazione di aver rivissuto qualcosa di nostro, qualcosa che credevamo nascosto agli occhi degli altri. E invece ecco lì il nostro cuore, in bella vista, che torna a battere al ritmo di quegli anni lontani.

Un altro dei meriti di Emiliano è una scelta che gli è stata dettata dalla volontà di fare poesia, prima ancora che un libro di poesie. Non ha avuto fretta di mettere in pubblico le cose cha andava scrivendo, a differenza di altri autori di oggi che diventano poeti (come faranno, poi...) prima di aver scritto un solo verso. La lunga gestazione ha raffinato il prodotto.
Parlando delle poesia italiana di oggi mi piace usare il termine desolazione: un deserto di risultati raggiunti, per la scarsità di valore di coloro che scrivono poesia. In questa raccolta, l'unica desolazione di cui posso parlare è quella dell'oggetto del poetare, non certo quella del risultato, che pone La circolazione del sangue ben al di sopra della media. Manca in quasi tutti gli altri autori l'uso convulso della lingua che qui si vede all'opera; uno scavo continuo, un ricostruirci sopra, un andirivieni di scale come in Relatività di Escher, un vero labirinto dove siamo guidati per mano verso l'uscita.
Abbiamo sentito in apertura, dalle parole stesse dell'autore, che la scelta di una metrica totalmente libera non è stata casuale. Ma Emiliano sta già prendendo altre strade: c'è in lui, al momento, una volontà di ritornare ad una certa regolarità di versificazione che è testimoniata da questo inedito che ha avuto la gentilezza di passarmi, e che ricopio di seguito per intero, come indicazione della sua futura poetica:

Il nome di tuo padre

Gelida sensazione che ci univa
come alba gelata avventa il collo
tentavo di non ridere e nel crollo
d'ogni sogno era un cadavere alla riva
di Gabicce Mare. Ma cosa dire
quali parole pronunciare non sapevo
non potevo negarmi, né tirarmi
indietro. E nella mente e nella boria
nostra pressa tuonante di memoria
degl'anni osceni, Luca, come scoria
osceni perché fuori dalla storia.


Gabriele Marchetti


http://www.sigismundus.it/shop/il-ponte/la-circolazione-del-sangue/

http://www.unilibro.it/libri/f/autore-editore/michelini_emiliano-sigismundus


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