Non è solo per narcisismo letterario (pur presente, confessato, e perfettamente umano) che ripubblico qui la squisita traduzione che di un mio testo, tratto dalla raccoltina Tempus tacendi (Lugano 2017), ha dato ( https://www.recoursaupoeme.fr/amont-devers-dixieme-livraison/ , 5 novembre 2018 ) Jean-Charles Vegliante, finissimo italianista, e fra le massime voci della poesia e della critica francesi; ma anche perché, tradotta in francese, la mia poesia torna, per così dire, alla propria origine, dato l'influsso decisivo e vitale che su di essa ha esercitato la tradizione letteraria transalpina, dai Simbolisti a Valéry (forse anche con un possiblie eccesso, di cui sono consapevole, di rarefazione allusiva, di assolutizzazione estetica).
O, forse, la parola trova nel francese la via maestra per riavvicinarsi a quell'originario fondo di puro e nudo silenzio da cui essa sorge, e a cui forse essa tenta costantemente invano di tornare.
"Muta" diviene, in francese, "sans bruit"; e non posso non pensare al "bruit doux de la pluie" di Verlaine (che diverrà la dannunziana "pioggia che bruiva", la voce della Natura ad un soffio dal silenzio, sulla soglia dell'indistinto della Madre-materia originaria); e, quasi per pseudoetimologia, nel testo quel "bruit" si incatena, allitterativamente, a "brûle", "arda"; come se il suono vivesse e ardesse del proprio stesso estinguersi – fino a dissolversi nelle liquide e nelle sibilanti della chiusa ("qu’elle ait l’aveugle / force inépuisable de la faiblesse"), sospeso, quasi, sul Presque-Rien, sul Presque-Silence di Jankélévitch. (Matteo Veronesi)
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