Ho il privilegio di pubblicare in anteprima , grazie alla cortesia di Gordiano Lupi, un testo di uno dei massimi autori cubani, che della coraggiosa, contrastata ma vitale ed insopprimibile libertà delle scelte esistenziali ed intellettuali ha fatto l'aspetto essenziale della sua versatile personalità di poeta diviso fra lirismo modernista ed aspra satira, romanziere immaginoso e vivido e geniale drammaturgo, precursore del teatro dell'assurdo così come dell'inquietudine propria della scena esistenzialista (non casuale l'interesse che per lui nutrì Sartre). Il testo che presentiano, che ha tutta la potente e vivida intensità di colori, suoni e profumi di quell'internazionale, persistente e mitizzata provincia del mondo globalizzato, desta, nella mente di chi non è esperto di cose cubane, analogie forse avventate con le paradossali, estrose ma in fondo sapienemente amare peregrinazioni del Satyricon di Petronio come con il romanzo picaresco spagnolo, con Villon come con i maledetti francesi (e in particolare un Corbière). Ma emerge nitida e potente, su tutto, e in tutta la sua anti-ideologica ed impolitica problematicità, la drammatica individualità dell'essere umano, abbandonato alle strade del tempo e della vita senza una direzione prestabilita, senza catene e vincoli cogenti ma ad ogni passo esposto, proprio per questo, allo smarrimento, al dolore, agli imponderabili meandri del destino o del caso. (M. V.) VIRGILIO
PIÑERA (1912 – 1979)
Teatro dell’assurdo, poesia modernista e narrativa fantastica di uno scrittore pericoloso che non si piega al regime
Guillermo Cabrera Infante racconta in
Mea Cuba (Est, 2000) che la morte e il funerale di Virgilio
Piñera si
trasformarono in una commedia dell’assurdo come quelle che l’autore era solito scrivere. Moriva uno dei più grandi scrittori popolari cubani, ma il regime che aveva
perseguitato Piñera con tecniche staliniste, faceva di tutto perché nessuno
partecipasse al suo funerale. Non solo. I giornali
sudamericani non scrissero una parola sulla morte di Virgilio
Piñera e la stampa italiana si adeguò
perfettamente. L’editoria nostrana non conosce
Piñera, anche se è un autore di livello mondiale, alla pari di Lima,
Carpentier e
Cabrera Infante. In Italia non esiste un solo romanzo pubblicato, a parte
La carne di Renè, edito da un piccolo editore, da anni fuori catalogo e
consultabile solo con prestito
interbibliotecario. Stessa cosa dicasi per poesie, opere teatrali e racconti. Virgilio
Piñera, secondo i nostri esperti di letteratura cubana, non è degno di comparire nemmeno in antologie di autori
sudamericani. Ha avuto il torto di non schierarsi dalla parte del più forte, come capita a molti uomini liberi.
Ripercorriamo la sua storia.
Virgilio
Piñera nasce il 4 agosto 1912 a
Cardenas (
Matanzas), da padre agricoltore e madre maestra, ma la famiglia si trasferisce presto a
Guanabacoa (
Ciudad Habana) per motivi di lavoro. Nel 1925 consegue il diploma liceale a
Camagüey, allievo di
Felipe Echemendía e
Felipe Pichardo Moya che lo indirizzano alla passione letteraria. Nel 1935 fonda, con
Luis Martínez e
Aníbal Vega, la
Hermanedad de
Jóvenes Cubanos,
organizzazione per la diffusione della cultura. Comincia a scrivere le prime poesie e sente crescere dentro la sua vocazione di scrittore. Nel 1937 va a vivere all’Avana, dove viene iscritto
gratuitamente alla facoltà di Lettere e Filosofia, a causa della precaria situazione economica. Questo dimostra un’altra bugia della propaganda castrista: non è un merito della Rivoluzione aver inserito le
facilitazioni allo studio per i ragazzi meritevoli. Virgilio
Piñera è uno studente molto dotato che vede pubblicare la poesia El
grito mudo nell’antologia La poesia cubana
en 1936 a cura di
Juan Ramón Jiménez. Il suo debutto pubblico come poeta risale al 1938 alla
Sociedad Lyceum con la lettura di alcuni testi di buona qualità presentati da
José Antonio
Portuondo (1911 - 1996). Nello stesso anno scrive l’opera teatrale
Clamor en el penal, la prima di un gran numero di commedie, e definisce lo stile letterario. Nel 1939 pubblica altre poesie nella rivista
Espuela de Plata (1939 - 1941), diretta dal poeta
José Lezama Lima, dal critico d’arte
Guy Pérez Cisneros e dal pittore Mariano
Rodríguez, una delle riviste che precede
Orígines (1944 - 1956). Nel 1940 collabora alla rivista
Grafos e scrive il racconto
El conflicto. Nel 1941 pubblica la prima raccolta di poesie
Las furias, scrive l’opera teatrale
Electra Garrigó, la migliore e più
rappresentata di un vasto repertorio, tiene una conferenza su
Gertrudis Gómez de
Avellaneda, poetessa e narratrice cubana del secolo XIX. La conferenza su
Avellaneda è un momento importante nella poetica di
Piñera e fa capire la sua profonda polemica con il passato. “La
Avellaneda ha un solo segreto: adornare tutto con le
gale orientali delle parole e delle frasi più ricercate e melodiose. Parlare molto senza dire niente o quasi niente”.
Piñera è uno scrittore moderno che rompe con la tradizione accademica e con la retorica del passato, sia nella saggistica che nella poesia. Scrive il saggio
Dos poemas, dos poetas, dos modos de poesia, su
Elegia sin nombre (1936) di Emilio
Ballagas e
Muerte de Narciso (1937) di
José Lezama Lima, due figure poetiche importanti nella sua formazione culturale. Nel 1942 fonda e dirige la rivista Poeta che ha breve vita (solo due numeri), ma è importante per alcuni saggi sulla scrittura che contengono la sua filosofia: “Per me scrivere è stata sempre una vera tortura”. Nel 1943 appare il lungo poema
La isla en peso, testo
fondamentale nella storia della poesia cubana del XX secolo, paradigma di tutta la sua opera, lavoro emblematico come rottura degli schemi lirici
tradizionali. Nel 1944 pubblica
Poesia y prosa, dove riunisce otto poesie e quattordici racconti (tra questi
Vida de Flora) che confermano la rottura con i vecchi schemi. Nel 1945 collabora a
Orígines e scrive poesie importanti come
En estos páramos,
El oro de los días,
Tesis del gabinete azul e
La oscura. Nel 1946 lo troviamo a Buenos Aires dove rimane per un anno come vicario della Commissione Nazionale della Cultura ed entra in contatto con i migliori scrittori argentini che influiscono sulla sua formazione. Pubblica il racconto
En el insomnio sulla rivista
Anales de Buenos Aires, diretta da
Borges, scrive su
La Nación un articolo intitolato
Los valores más jóvenes de la literatura cubana e compone la poesia
Treno per la muerte del príncipe Fuminario Konoye. Prima di fare rientro all’Avana pubblica il racconto
El señor ministro, ancora su
Anales de Buenos Aires, alcune critiche su
Realidad e diverse
plaquettes ironiche. Il 23 ottobre 1948 debutta la commedia
Electra Garrigó,
interpretata dal gruppo teatrale Prometeo nel Teatro
Valdés Rodríguez dell’Avana. La critica accoglie il lavoro in maniera sfavorevole e
Piñera si vendica dei
commentatori definendoli incolti sulla rivista
Prometeo, nell’articolo
Ojo con el critico. Nel solito anno scrive le commedie
Jesús e Falsa alarma, la prima del teatro dell’assurdo
ispanoamericano, antecedente a
La cantatrice calva di Ionesco che risale al 1950.
Falsa alarma viene pubblicata su
Origines nel 1949, anno in cui
Piñera comincia a scrivere il romanzo
La carne di René (unico libro tradotto in italiano, ma
difficilmente reperibile), pubblicato nel 1952 da
Editorial Siglo XX di Buenos Aires. È anche l’anno del colpo di Stato di Batista che conquista il potere con l’aiuto dell’esercito.
Piñera fa la spola tra L’Avana e Buenos Aires, città dove ricopre importanti incarichi consolari ma che ama per il moderno clima culturale. Scrive il racconto
El gran baro, collabora a
Ciclón, diretta da
José Rodriguez Feo, interrompe la
collaborazione con
Orígines di Lima che persegue altri ideali estetici ed entra nella redazione di
Sur (pubblica il racconto
El Enemigo).
Borges inserisce il racconto
En el insomnio nella antologia
Cuentos breves y extraordinarios.
Nel 1956
Piñera pubblica
Cuentos fríos e, proprio mentre chiude la rivista
Orígines, intensifica la
collaborazione con
Sur dove presenta i racconti
La carne,
La caída e
El infierno. Nel 1957 pubblica tre racconti su
Les Temps Modernes, mentre chiude anche
Ciclón, perché secondo
Rodríguez Feo non è il caso di fare una rivista letteraria nel pieno di una lotta armata contro Batista.
Piñera continua a lavorare, viene
rappresentata Falsa
alarma, pubblica racconti sulla rivista
Carteles e scrive la
pièce teatrale
La boda che verrà
rappresentata un anno dopo.
Il primo gennaio 1959 trionfa la Rivoluzione.
Piñera scrive la commedia
El flaco y el gordo, pubblica
Aire frío con
Editorial Pagrán e comincia a collaborare attivamente al periodico
Revolución, diretto da
Carlos Franqui.
Piñera cura la sezione
Puntos, comas y paréntesis, all’interno della quale pubblica saggi e testi critici sotto lo pseudonimo di El
Escriba. Molto importante anche la
collaborazione a
Lunes de Revolución, diretto da
Guillermo Cabrera Infante, settimanale in polemica con Lima,
Vitier e con tutti i
rappresentati della vecchia rivista
Orígenes. Le biografie pubblicate dai testi cubani tacciono
colpevolmente sul fatto che
Revolución e
Lunes de Revolución erano riviste dirette da
Franqui e
Cabrera Infante,
intellettuali dissidenti depennati da tutti i libri di letteratura dopo il loro esilio volontario. Tacciono pure sui gravi problemi insorti tra
Piñera e il regime dopo una prima fase di convinta
condivisione dei valori
rivoluzionari. Lo pseudonimo di El
Escriba è un’imposizione governativa, per coprire il nome di
Piñera, autore noto per le abitudini omosessuali che la Rivoluzione vuole mettere al bando. Tutto ciò nonostante
Piñera accetti le riforme
rivoluzionarie e scriva articoli come La riforma
literaria e
Literatura y
revolución, che comunque contengono critiche verso la letteratura diretta e al servizio della politica. Nell’articolo
Pasado y presente de nuestra cultura (1960) mette in evidenza il grande cambiamento culturale rispetto al passato e si dice disposto a partecipare attivamente al processo
rivoluzionario.
Nel 1960,
Jean Paul Sartre e Simone de
Beauvoir assistono a una nuova
rappresentazione di
Electra Garrigó, mentre viene pubblicato il
Teatro completo di Piñera da
Ediciones R dell’Avana. Casa de
las Américas fa conoscere il primo capitolo del romanzo
Presiones y
diamantes,
Lunes pubblica la commedia
La sorpresa e
Piñera scrive
El filántropo. A questo punto i testi cubani scrivono che nel 1961 cessa le
pubblicazioni Lunes de Revolución, ma non spiegano il motivo, perché non possono.
Carlos Franqui e
Cabrera Infante sono sempre più critici verso
Fidel Castro e il Comandante mette a tacere una voce libera e
indipendente. Il 1961 è l’anno decisivo della crisi di rapporti tra
Piñera e la Rivoluzione. Lo scrittore non sopporta l’idea di un’arte sottomessa a un disegno politico e critica la messa al bando di libri e pellicole considerate
controrivoluzionarie. Il famoso discorso agli
intellettuali di
Fidel Castro rappresenta la
consacrazione di una politica che non può vedere
Piñera al fianco di chi imbavaglia gli
intellettuali. “Nella Rivoluzione tutto. Fuori della Rivoluzione niente. Il primo diritto della Rivoluzione è quello di esistere. Contro la Rivoluzione non può essere ammessa un’attività
intellettuale che ne metta in pericolo l’esistenza”. Sono parole di
Fidel Castro. Resta famosa la breve replica di Virgilio
Piñera: “Ho molta paura. Non so perché ho questa paura, però so che è la sola cosa che voglio dire”.
Reinaldo Arenas citerà questa frase storica di
Piñera nel romanzo
El portero. Nella vita cubana repressione e censura assumono un ruolo di primo piano, gli
intellettuali che vogliono restare liberi non hanno vita facile e si rendono conto che la Rivoluzione si sta
trasformando in una spietata dittatura. Questo è il vero motivo della chiusura di
Lunes de Revolución,
ricostruzione storica che non troverete mai nei libri di letteratura cubana. A Cuba non si fa parola neppure dell’arresto di
Piñera, avvenuto nel 1961, durante una notte infernale che vede la polizia dare la caccia a prostitute, magnaccia e omosessuali, pure se lo scrittore si trova a casa, non è per strada ad adescare ragazzini. Secondo i principi
rivoluzionari l’
omosessualità è un decadente vizio borghese da estirpare, opposto alla naturale e sana
eterosessualità del popolo. L’omofobia è un tratto
caratteristico della cultura cubana, ma la Rivoluzione
contribuisce a rinforzarlo e per gli omosessuali comincia un periodo di tristi
persecuzioni. Virgilio
Piñera resta a Cuba, nonostante la vita sia diventata un inferno, non se la sente dio compiere la stessa scelta di
Cabrera Infante,
Carlos Franqui e
Reinaldo Arenas.
Piñera dirige
Ediciones R, molte commedie vengono
rappresentate all’Avana e persino in televisione, viaggia in
Cecoslovacchia e in Belgio, scrive il racconto
Oficio de tinieblas e le poesie
Un hombre es así,
Yo estallo,
El delirante e
Un bamboleo frenético. La rivista
nordamericana Odyssey pubblica una versione inglese della sua opera teatrale
Los siervos e del racconto
El gran Baro. Scrive i racconti
Un fantasma a posteriori,
Amores de vista,
El señor ministro e le poesie
Los muertos de la patria, Palma negra,
Sin embargo…,
Entre la spada y la pared e
Cuando vengan a buscarme. Nel 1963 pubblica il romanzo
Pequeñas maniobras (
Ediciones R.), il racconto
El filántropo viene tradotto in francese sulla rivista
Les Temps Modernes e scrive la commedia
Siempre se olvida algo.
Nel 1964 viene ancora
rappresentata Electra Garrigó ed
Ediciones Unión pubblicano
Cuentos completos.
Piñera viaggia in Europa, lo troviamo a Praga, Milano e Parigi. Nel 1965 scrive la poesia
El jardín, il racconto
El caso Baldomero e l’opera teatrale
El no, proprio mentre si adatta per la televisione la commedia
El álbum. Nel 1965,
Piñera denuncia anche l’infame apertura delle
UMAP, campi di lavoro forzato per antisociali dove vengono rinchiusi omosessuali,
santeros, religiosi,
rockettari e persone non in sintonia con la Rivoluzione. Questo i testi cubani non lo ricordano, soprattutto non rammentano le frasi con cui lo scrittore afferma che a Cuba sono ben
sessantamila gli omosessuali arrestati. Nel 1966 partecipa al Secondo Incontro Nazionale degli Scrittori e degli Artisti a
Matanzas, scrive la commedia
La niñita querida. Nel 1967 fa parte della giuria del Premio Casa de
las Americas, viene pubblicato il romanzo
Presiones y diamantes (
Unión), scrive la commedia
Dos viejos pánicos, le poesie
En el Gato Tuerto,
Solicitus de canonización de Rosa Cagí e
El banco que murió de amor. Nel 1968 vince il Premio Casa de
las Americas per il teatro con
Dos viejos pánicos e scrive la nuova commedia
Una caja de zapatos vacía.
Virgilio
Piñera si afferma come uno dei più importanti autori di teatro del XX secolo, le sue opere vengono
rappresentate anche a Bogotà e a New York, soprattutto
Dos viejos pánicos.
Ediciones Unión pubblicano
La vida entera, antologia della sua opera poetica, che rappresenta l’ultimo atto del suo esercizio letterario legittimato dallo Stato.
I primi anni Settanta sono i peggiori momenti della repressione nei confronti degli
intellettuali che non si schierano anima e corpo con la Rivoluzione. Se sfogliate un testo di letteratura cubana autorizzato dal regime, vi rendete conto che dal 1970 al 1978 (anno della morte), Virgilio
Piñera sembra non esistere, non pubblica niente, perché il governo lo mette da parte. “La proprietà
intellettuale è dello Stato”, affermano i principi
rivoluzionari, ma soprattutto gli artisti dissidenti e omosessuali vengono messi al bando perché negativi per la morale
rivoluzionaria. Un omosessuale rischia
trent’anni di galera e addirittura la pena di morte se ricopre un incarico pubblico.
Piñera viene censurato a Cuba, accusato di
omosessualità per metterlo ai margini della vita culturale. A
Lezama Lima le cose vanno meglio, perché
Paradiso (1968) è purgato dei passaggi omosessuali, ma non viene ritirato dal commercio.
Reinaldo Arenas vive sulla sua pelle ogni tipo di
persecuzione, ben descritte nel romanzo confessione
Prima che sia notte (edito in Italia da
Guanda), fino al sofferto esilio volontario.
Le opere di
Piñera continuano a circolare fuori da Cuba. L’atto unico
Estudio en blanco y negro viene pubblicato in Spagna, proprio mentre
Dos viejos pánicos è
rappresentato a Madrid ed esce tradotto in francese
Cuentos fríos.
Piñera scrive
El trac, nuova opera teatrale, e molte poesie ricche di giochi verbali, ma il suo teatro conquista l’Europa. A Londra e a Francoforte sono
rappresentate Electra Garrigó e
Dos viejos pánicos. In Romania viene tradotto il romanzo
Pequeñas maniobras, la televisione spagnola e la radio argentina diffondono
Aire frío e
Estudio en blanco y negro.
Piñera muore di infarto cardiaco all’Avana il 18 ottobre 1979, proprio mentre sta scrivendo l’opera di teatro
Un pico o una pala.
Dopo il 1985 a Cuba comincia il processo di
rettificazione degli errori, le figure letterarie di
Lezama Lima e Virgilio
Piñera vengono rivalutate e valorizzate, omettendo tutte le
persecuzioni che hanno dovuto subire.
Piñera ha molti estimatori e discepoli tra gli scrittori cubani
contemporanei della diaspora:
Antón Arrufat,
Abilio Estévez (
I palazzi distanti e
Tuo è il regno,
Adelphi),
Karla Suarez (
Silenzi e
La viaggiatrice,
Guanda) ed
Ena Lucía Portela. Il regime cubano ha messo al bando per anni l’opera di
Piñera, ma adesso pare che voglia
riconvertirlo alla causa
rivoluzionaria, modificando e adattando alla bisogna persino la sua biografia. L’operazione è davvero squallida ma in perfetta sintonia con lo stile di una dittatura che non concede nessuno spazio alla libertà individuale. Un ottimo sito cubano raccoglie notizie sulla vita (omettendo i problemi tra il poeta e il regime), un’antologia di testi, la
bibliografia e alcuni giudizi critici.
Indirizzo:
www.cubaliteraria.cu/autor/virgilio_pinnera/index.htmlBIBLIOGRAFIALas furias. Poemas. Viñeta y dibujo René Portocarrero. La
Habana,
Úcar García, 1941.
El conflicto.
Un cuento. La
Habana, 1942.
La pintura de Portocarrero. La
Habana,
Editorial Guerrero, 1942.
La isla en peso. Un poema. La
Habana,
Tipografía García, 1943.
Poesía y prosa. La Habana, Editorial Serafín García, 1944.
La carne de René. Novela. Buenos Aires, Editorial Siglo XX, 1952.// Madrid, Ediciones Alfaguara, 1985.// Pról. Antón Arrufat. La Habana, Ediciones Unión, 1995.
Cuentos fríos. Buenos Aires, Editorial Losada, 1956.
Aire frío: tres actos. Ed. Inaugural Extraordinaria. La Habana, Editorial Pagrán, 1959.
Teatro completo. La Habana, Ediciones R, 1960.
Pequeñas maniobras. Novela. La Habana, Ediciones R, 1963.
Cuentos. La Habana, Ediciones Unión, 1964.// Madrid, Ediciones Alfaguara, 1983 (Literataura Alfaguara, 120).// Madrid, Ediciones Alfaguara, 1990.
Presiones y diamantes. Novela. La Habana, Ediciones Unión, 1967.
Dos viejos pánicos. Teatro. La Habana, Casa de las Américas, 1968 (Colección Premio).// Buenos Aires, Centro Editor de América Latina, 1968.
La vida entera. Poesías. La Habana, Ediciones Unión, 1969.
El que vino a salvarme. Cuentos. Pról. José Bianco. Buenos Aires, Editorial Sudamericana, 1970.
Una caja de zapatos vacía. Teatro. Edición crítica y prólogo Luis F. González-Cruz. Miami, Florida, Ediciones Universal, 1986.
Un fogonazo. Cuento. La Habana, Editorial Letras Cubanas, 1987.
Muecas para escribientes. Cuento. La Habana, Editorial Letras Cubanas, 1987.// Madrid, Ediciones Alfaguara, 1990 (Alfaguara Hispánica, 72).// México, Editorial Diana, 1995.
Una broma colosal. Poesía. Introd. Antón Arrufat. La Habana, Ediciones Unión, 1988.
Teatro inconcluso. Selección, ordenamiento y prólogo Rine Leal. La Habana, Ediciones Unión, 1990.
Algunas verdades sospechosas.
Cuentos. Selección Jorge Ángel Pérez Sánchez. Pról. Salvador Redonet. La Habana Editorial Abril, 1992.
El viaje. Un cuento. Pról. Mirta Yáñez. La Habana, Ediciones Unión, 1992.
Teatro inédito. La Habana, Editorial Letras Cubanas, 1993.
El no. Teatro. Pról. Ernesto Hernández Busto. Coyoacán, Editorial Vuelta, 1994.
Cuentos de la risa del horror. Selección Efraín Rodríguez Santana. Bogotá, Editorial Norma, 1994.
Poesía y crítica. Selección y prólogo Antón Arrufat. México, Consejo Nacional para la Cultura y las Artes, 1994.
Edizioni Italiane
La carne di René - traduzione di Giancarlo De Pretis - Il Quadrante - Torino, 1988 - ISBN 8871800664 - reperibile in prestito alla Biblioteca di Scienze Letterarie e Filologiche di Torino
La gran puta Cuando en 1937 mi familia llegó a La Habana
—uno de los tantos éxodos a que estábamos acostumbrados—
mi padre —como tenía por costumbre sanguínea—
se dio de galletas y se puso a echar carajos.
Llegaron exactamente a las diez de la mañana
de un día de agosto mojado con vinagre;
antes de ir a esperar el Santiago-Habana
tomé un jugo de papaya en Lagunas y Galiano,
y como el deber se impone al deseo
perdí a un negro que me hacía señas con la mano.
Por esa época yo tenía veinticinco años
y toda la vida resumida en la mirada:
años mal llevados porque el hambre no paga:
"Virgilio —me decía Oscar Zaldívar—
no te alimentas lo suficiente. Hay que comer carne..."
De vez en cuando me llevaba a La Genovesa
en la esquina atormentada de Virtudes y Prado,
donde Panchita, una italiana operática(,)
le decía doctor a Oscar y a mí no me decía nada.
Las calles eran vahídos y las aceras desmayos:
en la cabeza los versos y en el estómago cranque.
Corría a la casa de empeños sita en Amistad y Ánimas
buscando que me colgaran entre docenas de guitarras(,)
yo, empeñado, yo empeñando un viejo saco de Osvaldo
para trepar jadeante la cazuela del Auditorium
a ver El avaro de Moliere que Luis Jouvet presentaba.
Era La Habana con tranvías y soldados
de kaki amarillo, haciendo el fin de mes
con los pesos de los homosexuales;
entre los cuales, en cierta manera, me cuento, es
decir, en mi humilde escala: no osaría ponerme
a la altura de la Marquesa Eulalia, del Pájaro Verde,
del Jarroncito Chino, de la Pulga Lírica y del Marqués
de Pinar del Río, y aunque una noche, en el Don Quijote(,)
bailé sobre una mesa disfrazado de maja,
mi alarde palidece ante la magnificiencia
del Pájaro Verde dejándose degollar en el baño.
Según se mire eran tiempos heroicos, tiempos
que fueron cantados por guitarras alcoholizadas(,)
palabras tremendas que eran pronunciadas
con el filo de un cuchillo, mientras allá,
en Marte y Belona, los bailadores realizaban
la confusa gesta del danzón ensangrentado.
Esta gesta alcanzaba proporciones épicas
en el cuchillo de San Miguel: allí Panchitín Díaz
le decía con su voz aflautada a la putica debutante:
"Muchacha, tienes toda la vida por delante..."
y dando dos pasos se metía en la barbería de Neptuno
para entablar un diálogo funambulesco
con la corpulenta Albertino, que se hacía afeitar
una barba imaginaria.
Una noche en el Prado, con su pedazo de cielo
particularmente convulso sobre leones de bronce verde,
sobre leones que temblaban al paso del
Emperador del Mundo —un negro tuberculoso con
el pecho constelado de chapitas de Coca Cola—,
se comentaba con terror manifiesto
la frase ciceroniana de la mujer que se tiró
bajo las ruedas del automóvil de Lily Hidalgo de Conill:
"¡Habana, ábrete y trágame!"
Pero La Habana se hizo aún más rígida
para que ella pudiera ir hasta Colón sin baches,
para que esas noches las putas chancrosas
hicieran buenos pesos y para que lloraran los
sentimentales, entre los cuales también me cuento,
al extremo que podría ser nombrado presidente de
los sentimentales, y ahora precisamente
recuerdo al hombre que vi matar junto a la estatua de Zenea
con su mano convulsa aferrada al seno de mármol
de la mujer que eternamente lo acompaña.
Me pareció que llegaba el Apocalipsis,
pero justo en ese momento oí: "¨¡Maní tostao, maní!"
y metían por mis ojos anegados en lágrimas
un cucurucho de voluptuosidad cubana.
Mi amiga, la Muerta Viva, una puta francesa
que recaló en Sagua allá por el veinticuatro
compraba todos los días el periódico para
ver si en la Crónica Roja aparecía muerto
el cabrón, decía ella, que la dejó plantada en Sagua.
Pero como la vida manda, seguía abriendo las piernas
sin sentimentalismo de ninguna clase.
Yo, que mi destino de poeta me impidió la putería,
soñaba persistentemente con abrir las mías:
cuando el hambre aprieta, sueños monstruosos
se perfilaban en cada esquina, monedas del tamaño de
una casa me caían encima, y todo terminaba al compás
de una frita deglutida al compás de
"Bigote de Gato es un gran sujeto..."
Sin embargo, pensaba en la inmortalidad
con la misma persistencia con que me acosaba
la mortalidad, porque aún cuando viéndome
forzado a escuchar "la inmortalidad del cangrejo"
y ver al tipo pálido sentado en el café de
los bajos de mi casa, con un palillo en los
dientes y un vaso de agua sobre la mesa
pensando en las musarañas, yo me aferraba
a la mentira piadosa siguiendo al mismo
tiempo con la vista los sandwiches de pierna
que rechinaban en mis tripas.
Suaritos anunciaba a Ñico Saquito,
Toña La Negra quebraba la luna con su voz
de tortillera mejicana, Batista daba golpetazos
en Columbia, Patricia la Americana se momificaba
en un disco y Daniel Santos galvanizaba los solares.
Claro está, en la ciudad del sol constante
los fantasmas acostumbraban salir a plena luz:
los he visto acompañándome por Monte y Cárdenas
el día del entierro de Menocal, con ron peleón,
porque de eso el general prodigó, enchumbó, anestesió
y el champán para él y Marianita en París.
"Querida, me dijo Jarroncito Chino, hoy todo el mundo
está jalao, haremos ranfla moñuda,
ya el General templó lo suyo y nosotras moriremos
con un troyó papá bien grande adentro."
Así murió efectivamente. Destino cumplido,
vida realizada, strip-tease de pelo en pecho,
sacando palanganas de agua de culo(.)
Cuando se la llevaron había un Norte de
tres pares de cojones.
Estos son los monumentos que nunca veremos en
nuestras plazas, amorfas, sí, amorfa cantidad
de donde extraigo el canto, en cualquier parte,
bajando por Carlos III que entonces tenía bancos(,)
escuálido, tembloroso, con mi amorosa Habana
siguiéndome los pasos como perro dócil
entre años caídos retumbando como cañones
dejando la peseta en casa de la barajera
para saber (—)¿para saber?(—) si mañana entraré
en la papa... Un pelado en el Mercado Único,
un guarapo en el Mercado del Polvorín,
siempre avanzando, en brecha mortal,
buscando la completa como se busca un verso(,)
¡oh, inacabables calles, oh aceras perfumadas
con orine! ¡Oh, hacendados con pañuelos
impregnados en Guerlain, que nunca
me pusieron casa!
Solo en mi accesoria haciendo mis versitos
veía pasar La Habana como un río de sangre:
y como una puta más del barrio de Colón
los contaba de madrugada como si fueran pesos.
Virgilio Piñera
La gran puttana
Quando nel 1937 la mia famiglia arrivò all’Avana
- uno dei tanti esodi ai quali eravamo abituati -
mio padre - come abitudine sanguigna -
si dette un paio di sberle e cominciò a bestemmiare.
Arrivarono esattamente alle dieci della mattina
di un giorno di agosto bagnato con aceto;
prima di andare ad aspettare il Santiago-Habana
bevvi un succo di papaya tra Lagunas e Galiano,
e siccome il dovere s’impone al desiderio
persi un negro che mi faceva segni con la mano.
A quel tempo avevo venticinque anni
e tutta la vita riassunta nello sguardo:
anni mal portati perché la fame non paga:
“Virgilio – mi diceva Oscar Zaldívar –
non ti alimenti abbastanza. Devi mangiare carne…”
Di tanto in tanto mi portava a La Genovesa
all’angolo tormentato tra Virtudes e Prado,
dove Panchita, un’italiana affabile,
chiamava dottore a Oscar e a me non diceva niente.
Le strade erano indisposte e i nervi stremati:
nella testa i versi e nello stomaco crampi.
Correvo al monte dei pegni posta tra Amistad e Ánimas
cercando di farmi appendere tra dozzine di chitarre,
io, dato in pegno, io impegnando un vecchio sacco di Osvaldo
per raggiungere ansimante il loggione dell’Auditorium
per vedere L’Avaro di Moliere che Luis Jouvet presentava.
Era L’Avana con tranvie e soldati
vestiti di gialle uniformi, che arrivavano a fine mese
con i pesos degli omosessuali;
tra i quali, in una certa maniera, mi conto, come
dire, nella mia umile scala: non avrei osato mettermi
all’altezza della Marchesa Eulalia, del Pájaro Verde,
del Jarroncito Chino, della Pulce Lírica e del Marchese
di Pinar del Río, anche se una notte, al Don Chisciotte,
ho ballato sopra una tavola travestito in modo attraente,
la mia ostentazione impallidisce davanti alla magnificenza
del Pájaro Verde mentre si concedeva nel bagno.
Secondo come si guardino erano tempi eroici, tempi
che furono cantati da chitarre alcolizzate,
parole tremende che erano pronunciate
con la lama di un coltello, mentre là,
tra Marte e Belona, i ballerini realizzavano
la confusa espressione del danzón insanguinato.
Questa espressione raggiungeva proporzioni epiche
nel coltello di San Miguel: lì Panchitín Díaz
diceva con la sua voce leziosa alla puttanella debuttante:
“Ragazza, hai tutta la vita davanti...”
e facendo due passi entrava nel negozio di barbiere di Neptuno
per intavolare un dialogo funambolesco
con la corpulenta Albertino, che si faceva tagliare
una barba immaginaria.
Una notte nel Prado, con il suo pezzo di cielo
particolarmente convulso sopra leoni di bronzo verde,
sopra leoni che tremavano mentre passava
l’Imperatore del Mondo - un negro tubercoloso con
il petto costellato di tappi di Coca Cola -,
si commentava con terrore manifesto,
la frase ciceroniana della donna che si lanciò
sotto le ruote dell’automobile di Lily Hidalgo de Conill:
“Avana, apriti e ingoiami!”
Ma L’Avana adesso è diventata più rigida
per poter andare fino a Colón senza difficoltà,
perché durante quelle notti le sudice puttane
avranno guadagnato buoni pesos per far piangere i
sentimentali, tra i quali anch’io mi conto,
al punto che potrei essere nominato presidente dei
sentimentali, e adesso precisamente
ricordo l’uomo che ho visto uccidere accanto alla statua di Zenea
con la sua mano convulsa aggrappata al seno di marmo
della donna che eternamente lo accompagna.
Mi sembrò che arrivasse l’Apocalisse,
ma proprio in quel momento udii: “Maní tostato, maní!”
grido che metteva nei miei occhi gonfi di lacrime
un cartoccio di voluttuosità cubana.
La mia amica, la Morta Viva, una puttana francese
che andò a finire in Sagua con il ventiquattro
comprava tutti i giorni il quotidiano per
vedere se nella Cronaca Nera dicevano che era morto
il bastardo, diceva lei, che la piantò in asso in Sagua.
Ma come pretende la vita, continuava ad aprire le gambe
senza alcun tipo di sentimentalismo.
Io, che il mio destino di poeta mi impedì di fare la puttana,
sognavo intensamente di aprire le mie:
quando la fame opprime, sogni mostruosi
si profilavano a ogni angolo, monete grandi come
una casa mi cadevano addosso, e tutto finiva al tempo
di una frittura deglutita al tempo di
“Baffi di Gatto è un gran soggetto…”
Malgrado ciò, pensavo all’immortalità
con la stessa persistenza con cui m’incalzava
la mortalità, perché anche quando mi vedevo
obbligato ad ascoltare “l’immortalità del granchio”
e a vedere il tipo pallido seduto al caffè
sotto casa mia, con uno stecchino nei
denti e un bicchiere d’acqua sul tavolo
con la testa tra le nuvole, io mi aggrappavo
alla menzogna caritatevole seguendo al tempo stesso
con lo sguardo i panini al prosciutto
che recalcitravano nella mia pancia.
Suaritos annunciava a Ñico Saquito,
Toña La Negra superava la luna con la sua voce
da lesbica messicana, Batista dava colpetti
in Colombia, Patricia l’Americana si mummificava
in un disco e Daniel Santos animava le catapecchie.
È chiaro, nella città del sole costante
i fantasmi si abituavano a uscire in piena luce:
li ho visti accompagnarmi verso Monte e Cárdenas
il giorno che sotterrarono Menocal, con il suo pessimo rum,
perché quello il generale elargì, profuse, anestetizzò
e lo champagne per lui e Marianita a Parigi.
“Cara, mi disse Jarroncito Chino, oggi tutti
sono ubriachi, faremo una gran festa,
il Generale ha già goduto abbastanza e noi moriremo
con una grande rassegnazione nell’anima.”
Così morì per davvero. Destino compiuto,
vita realizzata, strip-tease di pelo nel petto,
tirando fuori catinelle di acqua sudicia.
Quando se la portarono via aveva un Nord di
tre paia di coglioni.
Questi sono i monumenti che mai vedremo nelle
nostre piazze, amorfe, sì, amorfa quantità
da dove estraggo il canto, in qualche parte,
scendendo verso Carlos III che allora aveva panchine,
squallido, timoroso, con la mia amorosa Avana
seguendo i miei passi come un cane docile
tra anni caduti rimbombando come cannoni
lasciando la moneta in casa della chiromante
per sapere - per sapere? - se domani sarò coinvolto
nella patata... Un pelato nel Mercato Unico,
un succo di canna nel Mercato del Polvorín,
sempre avanzando, in un’apertura mortale,
cercando l’intero come si cerca un verso,
oh, interminabili strade, oh acciai profumati
di urine! Oh, possidenti con fazzoletti
impregnati di Guerlain, che non mi
dettero mai a casa!
Solo nel mio appartamento componendo i miei piccoli versi
vedevo scorrere L’Avana come un fiume di sangue:
e come una puttana in più del quartiere Colón
li contavo all’alba come se fossero pesos.
Virgilio Piñera
(1912 – 1979)
Traduzione di Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi