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martedì 9 luglio 2019
Sulla traduzione intralinguistica
(riprende ed amplia un contributo apparso su “Atelier”, XXIII, 2018, n. 90, pp. 59-61)
Qualche riflessione può essere ispirata dall'inchiesta che la rivista Atelier ha recentemente dedicato al tema, relativamente poco esplorato, di quella che Roman Jacobson chiamava, in alcune pagine teoriche del 1959, intralinguistic translation, intesa come rewording, trasfigurazione o transustanziazione di un testo da una forma all'altra, ma all'interno dello stesso idioma.
Ci si può chiedere se le traduzioni invecchino; se esse risentano, al pari di ogni altro testo, del passare del tempo, e finiscano per essere velate da una pàtina d'estraneità e d'anacronismo.
Ma una traduzione artisticamente e stilisticamente degna di un'opera che abbia essa stessa dignità d'arte, che non sia letteratura commerciale ed effimera, è a tutti gli effetti a propria volta un'opera letteraria, un'opera creativa, e come tale è espressione sia dell'autore tradotto che del traduttore che dei sistemi culturali e letterari a cui essi appartengono. Il valore artistico, culturale, storico, testimoniale di quel testo continuerà ad essere vivo e a parlare ai posteri.
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