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mercoledì 20 marzo 2024

Renato Serra traduttore di Maeterlinck

Ciò che spinse Serra (in una data imprecisata, ma che stile tono e spirito inducono a non ritenere lontana dal celebre saggio su Pascoli) a compiere la traduzione, che ora presento, dal Double jardin (eterogenea raccolta di saggi edita nel 1904) di Maurice Maeterlinck fu, forse, una celata ma sensibilissima affinità elettiva 一 simile a quella che a Maeterlinck stesso legò i poeti crepuscolari, cui la fisionomia di Serra, provinciale, per tanti aspetti sommessa, chiaroscurale e smorzata, fu a sua volta, come dimostrano le Lettere, vicina. È, peraltro, in sé, la pagina di Maeterlinck, un esempio di quella philosophie imagée et artiste, di quella scrittura filosofica immaginosa ed artistica, di cui si ebbero vari esempi tra la fine dell’Ottocento e gli albori del nuovo secolo: una filosofia, o meglio una saggistica (si potrebbe citare anche l’oggi quasi dimenticato Camille Mauclair), che si esprimevano attraverso il simbolo, l’analogia, la condensazione metaforica, la rapida evocazione allusiva, anziché attraverso l’argomentazione graduale, articolata e severa. È quasi come se la prosa di Maeterlinck fosse animata, mossa e sospinta da quella stessa forza rampollante e germogliante che pervade la natura vegetale in essa raffigurata. Le immagini nascono dalle immagini, si snodano e si inanellano in un divenire che parrebbe infinito, come nella “strofe lunga” di D’Annunzio, sino a sfiorare il rischio di un eccesso barocco, di un lussureggiante debordare (e la penna dello stesso Serra, di fronte alla «surabondance» del testo francese, oscilla ed esita fra «sovrabbondanza» e «ricchezza»). 

giovedì 4 luglio 2019

Una mia poesia tradotta in francese da Jean-Charles Vegliante

Non è solo per narcisismo letterario (pur presente, confessato, e perfettamente umano) che ripubblico qui la squisita traduzione che di un mio testo, tratto dalla raccoltina Tempus tacendi (Lugano 2017), ha dato ( https://www.recoursaupoeme.fr/amont-devers-dixieme-livraison/ , 5 novembre 2018 ) Jean-Charles Vegliante, finissimo italianista, e fra le massime voci della poesia e della critica francesi; ma anche perché, tradotta in francese, la mia poesia torna, per così dire, alla propria origine, dato l'influsso decisivo e vitale che su di essa ha esercitato la tradizione letteraria transalpina, dai Simbolisti a Valéry (forse anche con un possiblie eccesso, di cui sono consapevole, di rarefazione allusiva, di assolutizzazione estetica).
O, forse, la parola trova nel francese la via maestra per riavvicinarsi a quell'originario fondo di puro e nudo silenzio da cui essa sorge, e a cui forse essa tenta costantemente invano di tornare. 
"Muta" diviene, in francese, "sans bruit"; e non posso non pensare al "bruit doux de la pluie" di Verlaine (che diverrà la dannunziana "pioggia che bruiva", la voce della Natura ad un soffio dal silenzio, sulla soglia dell'indistinto della Madre-materia originaria); e, quasi per pseudoetimologia, nel testo quel "bruit" si incatena, allitterativamente, a "brûle", "arda"; come se il suono vivesse e ardesse del proprio stesso estinguersi – fino a dissolversi nelle liquide e nelle sibilanti della chiusa ("qu’elle ait l’aveugle / force inépuisable de la faiblesse"), sospeso, quasi, sul Presque-Rien, sul Presque-Silence di Jankélévitch. (Matteo Veronesi)