mercoledì 28 maggio 2014
Giselda Pontesillli, "Adriano Olivetti, Editore"
lunedì 12 settembre 2011
APPUNTO SU ALIENAZIONE MISTICA E ALIENAZIONE INDUSTRIALE
Ma se la prima nobilita l'uomo, la seconda lo svilisce. L'una e l'altra, innegabilmente, lo snaturano, lo narcotizzano, lo allontanano dalla realtà. Ma quale realtà, oggi? "Dov'è la realtà, dove il fantasma", si chiede un personaggio di Pirandello; e possiamo chiedercelo anche noi, nell'era della scomparsa dei fatti, delle guerre televisive, dell'affabulazione mediatica.
Forse, paradossalmente, nell'esperienza soggettiva del pensiero sacro (sia esso speculativo o mistico, argomentativo o intuitivo), la Verità è più tangibile, meno illusoria, che nei presunti fatti, o nella loro rappresentazione (un opinionista che parla del Tibet ha di esso una percezione e una notizia ancor più remote, mediate e probabilmente mistificate di quelle che il devoto e il teologo, e più ancora il poeta, possono avere del Divino).
Io credo che la monaca chiusa nella cella (la "vergine romita" di Foscolo, che almeno può sentire, quasi sensualmente, il sacro, levare al Nulla che venera una musica celeste che nessuno ascolterà: "Se gli azzurri del cielo, e la splendente / Luna, e il silenzio delle stelle adora, / Sente il Nume") sia più libera dell'operaio aggiogato alla catena di montaggio.
Il quale ora, con Marchionne, non ha nemmeno più i dieci minuti di pausa per alzare la schiena e la testa: fintantoché è nella fabbrica, all'interno delle ore di vita che deve vendere, o che gli vengono estorte per il suo bisogno (non uomo ma instrumentum loquens, anzi nemmeno loquens, perché a differenza degli schiavi antichi non può neppure gemere, gridare o cantare, non può voltarsi e vedere la luce) è, come gli schiavi della caverna di Platone, impossibilitato anche a rivolgersi per vedere la luce.
M. V.
Un intervento di Neil Novello su sacralità, irrazionalità, capitalismo
Che il sacro sia scomparso lo sappiamo, sappiamo per esempio che la secolarizzazione moderna ha distrutto il pensiero magico e con esso ogni forma tradizionale del sacro. È forse il caso di parlare, però, di metamorfosi non già del pensiero magico (pur nelle sue estreme propaggini: i mondi di De Martino, Eliade, Levi–Strauss), ma dell’idea stessa di sacro “senza” più magia, privato quindi di quell’elemento puramente e umanamente irrazionale vissuto nel quadro di una razionalità poetica qual è ad esempio l’idea di ciclicità, di attesa, di ritorno di un fenomeno, di ritualità, etc.
Ciò che a livello concettuale sembra offrire una chiave di lettura (ad esempio, si legga Religione e memoria di Danièle Hervieu–Léger) è il sovvertimento di una legge occulta. Se l’irrazionalità (pensiero) propria al sacro, al pensiero magico ed al mito arcaico necessita sempre di uno sfondo razionale (temporale, se si vuole storico, o meramente esistenziale), al punto di poter parlare di irrazionalità razionale (si pensi soltanto ai rituali stagionali, alla ricorrenza temporale di un fenomeno o evento, alla ciclicità della vita contadina, rivelata dal Mondo perduto di De Seta, dalla taranta di Sud e magia o di La terra del rimorso (ri–morso) di De Martino), la razionalità odierna non poggia su nessuna irrazionalità esogena (ossia naturalmente umana), poiché l’irrazionalità umana è neutralizzata a monte, devitalizzata da un’inclinazione/identità crudelmente razionalizzante: è endogena. Ma endogena di chi? Del capitalismo: il popolo fatto massa.
La razionalità capitalistica è viva ma silenziosa, miete vittime (riferendosi alla dialettica capitalismo vs uomo, nei Manoscritti Marx scrive: «…nel momento stesso in cui ti procuro un godimento, ti scortico»). Il capitalismo si prefigge un compito paradossale per il suo linguaggio ma vitale, irrazionalizzare il mondo umano anche il più razionale. Qual è dunque la radix malorum, l’irrazionalismo razionale arcaico (che in Italia si è vissuto almeno fino agli anni Cinquanta) o il razionalismo irrazionalizzante del capitalismo?
La globalizzazione è la matematizzazione del mondo, ma per riuscire in questo traguardo il capitalismo si è fatto antropofagico (divora l’uomo per defecare l’uomo–massa: Bauman). E nel fagocitarlo cosa fa? Reinventa un’intera dis–umanità ad uso e consumo del proprio linguaggio (scil.: l’universo materiale, ad esempio, eretto a nuovo mito, rito, etc. come già rivelava Barthes in Miti d’oggi), un mondo a misura dell’uomo–massa, che proprio il capitalismo provvede a “costruire” (ormai quasi in stile fordista) dopo averne programmato anche l’aspetto per così dire irrazionalistico, strategia socio–plagiante perpetuata per merito della sua ignara creatura, che rispetta supinamente e ciecamente una violenta e muta legge, per così dire, di programmazione, ad esempio la nevrosi sociale del desiderio (coatto): consumismo, etc. Di qui sembra anche passare una delle innumerevoli strade che dall’uomo portano all’uomo–massa, e da quest’ultimo alla sua versione più deteriore, la massa postumana.
sabato 16 ottobre 2010
INSTRUMENTA VOCALIA. ELEGIA PER VOCE E VISIONE
INSTRUMENTA VOCALIA
RAPSODIA PER VOCI E VISIONE
[Tre voci leggeranno, con un tono grave, cupo, ma insieme distaccato, o se si preferisce annoiato, ma in certo modo fatale, i passi che seguono, tratti da Varrone, Aristotele, Platone, Hegel, Seneca, Pindaro, Dante. Nel frattempo, scorreranno sullo schermo immagini – montate secondo la logica del détournement situazionista, e prelevate dalle fonti più diverse, filmiche o documentaristiche -, nell'ordine, di fabbriche, uffici, infine cadaveri]
VOCE A Instrumenti genus vocale et semivocale et mutum........ Alcuni distinguono gli apparecchi in tre categorie, ovvero parlanti, semiparlanti e muti: i parlanti sono gli schiavi, i semiparlanti i buoi, i muti sono i veicoli. ...operarios parandos esse, qui laborem ferre possint..... Bisogna procurarsi della mano d`opera in grado di sopportare la fatica. Qui praesint esse oportere, qui litteris atque aliqua sint humanitate imbuti... Quelli, tra di loro, che sovrintendono al lavoro è necessario che possiedano almeno un pizzico di umanità e di sapere, che siano onesti e più anziani dei semplici braccianti. I caporioni vanno resi più zelanti conferendo loro gratifiche, e facendo sì che abbiano qualche briciola di patrimonio e, come mogli, delle compagne di servitù da cui abbiano figli; in tal modo essi finiscono per diventare più fedeli, e più saldamente vincolati. ....ut quibus quid gravius sit imperatum aut animadversum qui, consolando, eorum restituat voluntatem ac benevolentiam in dominum.... Gli schiavi diventano più diligenti nel lavoro quando li si tratti con maggiore generosità riguardo al cibo, al vestire, ai momenti di pausa dal lavoro, e con altri mezzi di questo genere, in modo che a quegli stessi cui venga imposto un lavoro o inflitta una punizione troppo grevi, tutto ciò, confortandoli, restauri la loro buona disposizione e l`attaccamento al capo.
VOCE B Un essere che per natura non appartiene a se stesso ma a un altro, pur essendo uomo, questo è per natura schiavo: e appartiene a un altro chi, pur essendo uomo, è oggetto di proprietà: e oggetto di proprietà è uno strumento ordinato all'azione e separato dalla sua umanità. Così pure nelle relazioni del maschio verso la femmina, l'uno è per natura superiore, l'altra inferiore, l'uno comanda, l'altra è comandata - Anànke dè pròton .... àrchon dè kài archòmenon physei, dià tèn soterìan... ed è necessario che sia così fra gli uomini, per la loro salvezza.
VOCE A Pensa a uomini chiusi in una specie di caverna sotterranea, che abbia l'ingresso aperto alla luce per tutta la lunghezza dell'antro.... ...... Anthròpous .... ek pàidon òntas en desmòis...; essi vi stanno fin da bambini incatenati alle gambe e al collo, così da restare immobili e guardare solo in avanti, non potendo ruotare il capo per via della catena hòste ménein te autoùs eis te to prosthen monon oràn, kùklo de tàs kephalàs upò toù desmoù adynàtous periàghein.... . Dietro di loro, alta e lontana, brilla la luce di un fuoco, e tra il fuoco e i prigionieri corre una strada in salita, lungo la quale immagina che sia stato costruito un piccolo muro, come i paraventi sopra i quali i burattinai, celati al pubblico, mettono in scena i loro spettacoli. Se un prigioniero venisse liberato e costretto d'un tratto ad alzarsi, volgere il collo, camminare e guardare verso la luce, non farebbe ridere e non si direbbe di lui che torna dalla sua ascesa con gli occhi rovinati e che non vale neanche la pena di provare a salire? E non ucciderebbero chi tentasse di liberarli e di condurli su, se mai potessero averlo tra le mani e ucciderlo?
VOCE C Il signore è la potenza che domina l'essere, mentre questo essere è la potenza che pesa sull'altro individuo; così il signore ha sotto di sé questo altro individuo. Per tale mediazione, il rapporto immediato diviene al signore la pura negazione della cosa stessa, ossia il godimento: esaurire la cosa e acquietarsi nel godimento. Il signore che ha introdotto il servo tra la cosa e se stesso, raggiunge ed assapora la dipendenza della cosa, e puramente la gode; il lato dell'indipendenza della cosa egli lo abbandona al servo che la elabora. Pòlemos pànton patèr, pànton basiléys.......
VOCE A Pànton chremàton métron estìn anthropos? Misura di tutte le cose... sepolcro datore e dimora di vita ..... Mè phynai pànton phériston.... Quo non nata iacent..... Meglio è per l'uomo non essere nato....... .... nos qui morimur paululum cotidie..... ..... e non vedere la luce del sole.
[Qui inizieranno a scorrere tristi e dolci immagini di morti bambini. La recitazione si farà, via via, più risentita e più cupa, più ferale ed inflessibile, eppure impassibile, necessaria, come in un rito].
VOCE B È oscena la morte. La morte che muore con noi, che trascina perfino se stessa nel seno del niente... .....an toti morimur nullaque pars manet nostri, cum profugo spiritus halitu immixtus nebulis cessit in aera.... Questo filo di fumo tu lo segui, e domani non sarà che un passaggio di nuvole (...) insieme a noi, giù fino in fondo all’abisso del tempo, leggero. (...)
quo cursu properat volvere saecula
astrorum dominus....
ut calidis fumus ab ignibus
vanescit
(...) Dopo la morte niente. È niente la morte: il traguardo che tagli sudato in affanno alla fine di un’ultima corsa. È il caos che ti vuole. Tu ascoltalo.... .....
post mortem nihil est ipsaque mors nihil,
......
tempus nos avidum devorat et chaos.
Ecco, disciogli in lui la paura, in lui - senza tempo - ogni vana speranza.
VOCE A Philòphron Hesychìa, Dìkas O meghistòpoli thugàter boulàn te kài polémon échoisa klaìdas hypertàtas... O sapiente acquiescenza, figlia di Giustizia, tu che colmi le città di consigli e di guerre, e tieni in mano le supreme chiavi epàmeroi... Tì de tìs? Ti d'ou t's? skiàs ònar ànthropos... Effimeri.... Chi è uno? chi non è? Sogno o fantasma di breve ombra, l'uomo.
(.....)
Che voce avrai tu più, se vecchia scindi
da te la carne, che se fossi morto
anzi che tu lasciassi il `pappo' e 'l `dindi',
pria che passin mill'anni? ch'è più corto
spazio a l'etterno, ch'un muover di ciglia......
...
quaeris quo iaceas post obitum loco...
........
E ancora tu chiedi dopo dove sarai?
- quo non nata iacent -
Ma lo sai: dove sono le cose mai nate.
Matteo Veronesi
giovedì 16 luglio 2009
GIUSEPPE BAIOCCO, "DAL CERVELLO ALLA CREATIVITÀ POETICA"
1. In questo articolo si cercheranno di descrivere i meccanismi cerebrali alla base dei processi creativi poetici e del rapporto tra questi e la loro comprensione psicologica.
Le attuali conoscenze scientifiche del problema ci consentono di affermare che uno dei due emisferi in cui il cervello è suddiviso (quello di destra) entra in azione quando un soggetto ascolta della musica, osserva il viso, la mimica, la gestualità di una persona; l'altro invece esamina la realtà secondo modalità logiche, deduttive ed analitiche. Ciò significa che è in grado di cogliere il significato dei segni semantici convenzionali (quali appunto sono le parole), di afferrare i nessi logici che legano più proposizioni, di recepire i singoli passaggi di un discorso (mentre la comprensione globale ed il senso è afferrato dall'altro emisfero, detto anche musicale, che è portato a fare le sintesi, a cogliere le analogie associando le idee in base a legami emotivi, a procedere per induzione).
Nel presente studio si cercherà di discutere se sia ipotizzabile che la poesia, pur essendo basata sulla forza espressiva della parola, utilizzi a livello cerebrale modalità operative e di linguaggio di quella parte di cervello che in teoria non avrebbe "competenza" su di essa. È probabile che in ciò consista la straordinaria esperienza soggettiva prodotta dall'ascolto di un brano poetico. Si cercherà ora di approfondire meglio il discorso.
E' possibile che nel cervello del poeta avvenga l'esatto opposto di quel che avviene nella materia grigia di un pianista professionista. Studi condotti con sofisticate metodiche elettroencefalografiche computerizzate hanno evidenziato che se un soggetto appassionato di musica ascolta un brano d'opera, è la parte destra del suo cervello ad essere stimolata, ma se è un pianista ad ascoltare la musica che egli stesso suona, accade l'opposto. Anche in questo caso entra in azione l'emisfero "sbagliato". Ciò avverrebbe perché il musicista professionista elabora l'esperienza interna della musicalità a partire dalla "lettura" delle note sul pentagramma e non dalle immagini mentali dei suoni. La sua prestazione artistica parte dall'analisi di segni convenzionali (le note) che "legge" sullo spartito; per questo motivo la parte del suo cervello attivata è la sinistra, come avviene in un qualunque individuo intento nella lettura delle parole sulle righe di un libro.
Si è ipotizzato che nel nostro cervello esista un centro di smistamento capace di discernere i segnali verbali da quelli non verbali: in condizioni di veglia vigile all'emisfero destro arrivano i suoni ed i rumori umani, le vocali, la musica ed i segni non verbali del linguaggio, mentre al sinistro arrivano le parole, le consonanti, le cifre. In particolari situazioni quali l'estasi, la meditazione trascendentale, l'ispirazione creativa, i due emisferi riceverebbero contemporaneamente entrambe le categorie di stimoli, realizzando quello stato fisiologico e mentale definito "pensiero divergente", che potrebbe corrispondere all'esperienza soggettiva dello stato creativo, mistico o immaginativo. Sappiamo che alcune droghe, come i derivati dell'acido lisergico, eccitano le capacità creative e mistiche di un individuo.
In questa particolare condizione, i messaggio smistati dalla parte destra verso quella di sinistra non sono analizzati e trasdotti in linguaggio digitale (basato cioè sulle parole):è come se la parte sinistra del cervello e la sua modalità operativa venissero eclissate da un'esuberanza funzionale della parte "musicale." Nell'emisfero destro, "domina l'immagine e dunque anche l'evocazione di immagini appartenenti al ricordo e le sensazioni che a ciò si ricollegano" (Watzlawick).
A differenza di quanto avviene nella percezione visiva del mondo nelle ordinarie condizioni mentali, le immagini interne si associano in base a quello che nel lessico psicanalitico viene definito "processo primario": ecco perché la poesia fa continuamente ricorso alla similitudine, che è una figura poetica prodotta da un pensiero strutturato per categorie primarie. Vale la pena di spiegare brevemente questo concetto. Il "processo primario" è un tipo di pensiero caratterizzato dal rapportarsi con la realtà in base a schemi affettivi primordiali ed arcaici basati sulla paleologica. Quello della paleologica è un mondo in cui, perché l'identità fra due soggetti sia soddisfatta, è sufficiente che essi abbiano un particolare affettivamente pregnante in comune (ad esempio il predicato) perché siano considerati uguali. Facciamo un esempio: "Il passero solitario" può essere il poeta stesso in quanto egli ha in comune con esso il predicato "solitudine". Infatti il Passero è solo - Leopardi è solo: Leopardi ed il Passero sono soggetti sovrapponibili eseguendo l'operazione logica di identità a livello del predicato "solitario". E' questo un modo di organizzare il pensiero basato sulle categorie primarie. Nel caso citato all'interno della categoria "solitudine" si possono ritrovare infatti sia i poeti che gli uccelli, purché "soli". Il processo primario sarebbe collegato con le modalità operative dell'emisfero destro (Arieti).
Per chiarire meglio i concetti espressi, ricordiamo che, in condizioni di veglia, una persona in uno stato fisiologico di coscienza svolge i normali processi del pensiero in base alla logica comune detta anche "aristotelica" (termine che corrisponde al concetto psicanalitico di "processo secondario"). Sappiamo dalla filosofia classica che le operazioni che un essere pensante fa per valutare la validità dei suoi enunciati sono basate sui principi di identità, non contraddizione e del "terzo escluso". Cioè un uomo sano nel pensare riconosce come valide solo le identità fondate sui soggetti(esempio: Io posso essere solo Io, Io non posso essere contemporaneamente Io ed un altro). Se invece un individuo esegue operazioni di identificazione a partire dalle qualità ("predicati") della sua persona, come precedentemente abbiamo fatto parlando del Leopardi e della sua qualità "solitudine", allora operiamo secondo meccanismi di logica arcaica (paleologica).
La differenza essenziale sta nel fatto che lavorando con le categorie (pensiero secondario), un gatto può essere identificato solo all'interno della classe dei "felini", mentre se utilizziamo le "qualità", esso può essere identificato con qualunque altra cosa, essendo teoricamente infiniti i "predicati" possibili a lui attribuibili (baffi, fiocco, occhi, ecc.).
Questo secondo tipo di logica è sostanzialmente differente da quella "aristotelica", anche perché le associazioni vengono fatte in base a caratteristiche emozionali che ognuno attribuisce alle qualità del soggetto a seconda delle sue condizioni psicologiche (quindi anche di salute psichica).
Per inciso, questo modo di operare è tipico di diverse malattie cerebrali caratterizzate dall'incapacità di organizzare il pensiero in forme di linguaggio coerente, sequenziale, logico (schizofrenia paranoidea, sindrome alogica di Reich, afasia di Wernicke, ecc.).
Anche nel sonno REM (cioè quando si sogna), la produzione onirica segue il processo primario, a differenza di quanto avviene nei sogni non-REM (che avvengono nel sonno cosiddetto "a onde lente"), in cui questi hanno caratteristiche logiche dette "pensiero-simile". E' esperienza di tutti noi l'assurdità dei sogni effettuati nella fase REM; in modo particolare spesso siamo colpiti dal fatto che una certa persona entrata nella trama della nostra attività onirica abbia contemporaneamente le caratteristiche di un altro individuo (manifestando così una rottura del principio di non contraddizione, del tutto "fisiologica" nel sogno).
Ricordiamo infine che un'ulteriore caratteristica funzionale di questo emisfero è quello di operare secondo il principio della "pars pro toto". Questa funzione, collegata con modalità di pensiero induttivo, ci consente di risalire dal particolare all'universale, permettendoci ad esempio di riconoscere un individuo da un suo particolare significativo, come avviene in certi giochi enigmistici. Una delle più classiche figure poetiche, la sineddoche, trova certamente in ciò la sua base cerebrale di funzionamento.
Ma torniamo a parlare del nostri stati emozionali e di come questi, in particolari condizioni cognitive, possano entrare a far parte del vissuto creativo del poeta. Un'emozione può essere avvertita sia attraverso la sua componente viscerale (il cuore che "s'ingrossa", la pelle che si accappona, ecc.), sia psicologicamente, attraverso la produzione di immagini che hanno la caratteristica di presentarsi con la vividezza di un film la cui pellicola scorre non nel senso della temporalità ma della spazialità psicologica: in questo caso infatti le scene non hanno "un prima ed un dopo", sono cioè puntiformi riguardo al tempo, si sovrappongono fra loro in un'istantanea comprensione della totalità e globalità di tutte le immagini visualizzate. E' come se i fotogrammi di un film, anziché scorrere l'uno dopo l'altro sullo schermo(aspetto logico-sequenziale), fossero proiettati tutti insieme, simultaneamente, essendo stati fra loro sovrapposti come le carte di un mazzo (aspetto sintetico-temporale). In questo modo le dimensioni e lo spessore visuale di tali rappresentazioni interne sono psicologicamente talmente dense da occupare tutto lo" spazio mentale" dell'individuo còlto da una forte emozione. Ciò avviene nella cosiddetta "memoria panoramica" delle crisi epilettiche del lobo temporale e nello stato psichico alterato di una persona sana che si trova improvvisamente in immediato pericolo di vita; i soggetti che hanno vissuto tale esperienza raccontano di aver rivisto in pochi secondi "eterni" tutta la loro vita.
Ma torniamo ora agli aspetti cognitivi fin qui descritti, che sono tra loro del tutto differenti ma che hanno in comune il fatto di vedere coinvolto la parte destra del nostro cervello. Questi stati corrispondono ad esperienze endocettuali (cioè a materiale psichico ancora amorfo e grezzo, non comunicabile con chiarezza semantica per via verbale).Tutti noi abbiamo esperienza di come le immagini prodotte mentalmente siano sfuocate, prive di sfondo, di profondità di campo e siano sbilanciate riguardo l'equilibrio compositivo della figura: la visualizzazione cioè è ingigantita in alcuni suo particolari ed è priva di altri.
Da diversi autori viene riportato che certi schizofrenici (come anche i ciechi nati che acquistano la vista da adulti), non riescono ad organizzare la visione nella sua totalità e globalità. Questo disturbo è collegato ad un'alterazione della parte destra del cervello, la cui funzione è quella di far sì che l'insieme di input percettivi "in entrata" venga elaborato in modo totale e globale; altrimenti i singoli percetti attiverebbero le aree cerebrali della visione in modo così frammentario da polverizzare l'unitarietà psicologica dell'esperienza visiva.
Altre regioni del cervello invece, hanno il compito di fungere da analizzatori della percezione, fondendo i segnali in ingresso arrivati in frazioni di tempo diverse, rimontandoli in un processo visivo simultaneo cosicché il tempo psicologico del "vedere" risulti unico.
Questi meccanismi di adattamento cerebrale alla componente cognitiva del processo visivo saltano nelle allucinazioni oniriche della fase REM del sonno, in cui la pregnanza affettiva di alcuni percetti fa sì che questi siano più "salienti" rispetto ad altri che rimangono, per così dire, "in ombra".
C'è quindi una similarità tra le caratteristiche delle immagini mentali della veglia e del sonno e la percezione distorta degli schizofrenici (malattia caratterizzata, tra l'altro, da un cattivo "dialogo" fra le due parti cerebrali). Ciò potrebbe significare che i due tipi di distorsione percettiva siano il prodotto degli stessi meccanismi arcaici di funzionamento psichico cerebrale. A differenza dello psicotico, però, nell'individuo sano questi fenomeni avvengono solo in particolari e ben definite condizioni di regressione, fra le quali appunto vi sono la creatività, il sogno, l'ipnosi, gli stati mistici. In questi casi si verificano delle modificazioni cerebrali che permettono la riduzione della distanza Io-non Io (concetto ben esemplificabile con la frase "sogno o son desto?"), l'attualizzazione dei ricordi, la liberazione delle immagini mentali, l'accesso al mondo della paleologica; si costituisce così lo stato mentale necessario per la messa in moto dell'out-put espressivo .
2. Tramite il linguaggio la coscienza interpreta il mondo esterno ed interno traducendo non solo gli oggetti, ma anche le emozioni, in parole. Nella comunicazione ordinaria la condensazione significato- significante (cioè la fusione in un unico simbolo verbale della cosa in sé e del termine che convenzionalmente la definisce in una data lingua), conserva il valore di strumento operatorio del pensiero logico-digitale. Lo scollamento di tali componenti viene poi operato al momento dello smistamento dell'input tra i due emisferi (ad esempio, il nome è riconosciuto a sinistra mentre il volto della persona cui quel nome corrisponde viene riconosciuto a destra).
È ipotizzabile dunque che nella poesia la parola sia "trattata" dal cervello come nel linguaggio non verbale; deve perciò essere disincarnata del suo valore semiotico e caricata dei contenuti del vissuto emotivo del quale forma il contenitore semantico. Solo così tali contenuti possono venire trasmessi e comunicati con un tipo di linguaggio che ne rispetti integralmente l'aspetto puntiforme, endocettuale, paleosimbolico, atemporale. La poesia cerca così di comunicare per segni verbali, mantenendo però la spazialità, l'immediatezza, la globalità dell'esperienza "interna" che l'ha prodotta e che è intraducibile in linguaggio digitale. Per questo motivo quando si cerca di spiegare un verso ci si accorge che mancano le parole per decifrarlo completamente.
Il problema centrale della poesia è infatti la trasmissione di espressioni verbali usate sia come segni dotati di valore semantico, sia come aggregati di suoni capaci di indurre rappresentazioni mentali, endocetti, immagini, emozioni. Questo perché un verso poetico non può essere costituito semplicisticamente da suoni onomatopeici, ma deve esser fatto di parole, le quali, in quanto segni significanti, sono prive di per sé di risonanze emozionali, che possono però essere acquisite grazie all'amalgama con gli "artefatti analogici" (rime, metrica, allitterazioni, prosodia, ritmo, pause, assonanze, sonorità, ecc.).
Questa fusione, momento tecnicamente molto delicato e "magico", costituisce il passaggio dall'"oggetto interno" informe del momento ispirativo, alle forme semanticamente strutturate del verso compiuto, il quale appoggia il suo "corpo verbale" sugli "artefatti analogici" dei quali costituisce l'impalcatura fonemica, riuscendo così a restituire al lettore la forza visionaria dell'emozione concepita a partire dal versante espressivo dell'atto creativo. Si decompongono così le "forme", cioè il linguaggio logico-verbale ed i suoi segni significanti che fanno da supporto comunicativo ai contenuti della poesia, fino a scomporle, discioglierle, fluidificarle, liquefarle per ottenere un magma omogeneo trasmissibile come contenuto immediatamente, globalmente, simultaneamente, totalmente, percepibile. Una vocale cessa di essere lettera per divenire grido, gemito, sussurro, vento.
Ecco quindi che la poesia nello spostarsi sempre più sul versante analogico della comunicazione riduce di molto la "distanza" fra il significato ed il segno ad esso adeso (cioè la parola che lo denota). Infatti nel linguaggio verbale rimane sempre una deconnessione, una scissione, fra significato e parola, ed in particolare tra emozione e simbolo.
Così il processo tutto mentale della visualizzazione trascende in suoni semanticamente strutturati, costituiti da sonorità in modo tale che l'immagine visuale da essi evocata si sovrappone, incarna, riveste quella sonora al punto che la parola con la sua "rumorosità" può divenire un tutt'uno con l'immagine visiva che incarna. In questo modo il vissuto emotivo viene veicolato tramite segni semantici nei circuiti comunicativi di tipo non verbale, che a questo punto sono gli stessi dell'emisfero "musicale".
3. In sintesi possiamo quindi affermare che anche fenomeni psichici appartenenti alla sfera del "trascendente", rappresentano in realtà il frutto della imprevedibile e continua interazione dinamica tra patrimonio cromosomico, cervello ed ambiente, contribuendo a dar corpo psicologico al vissuto dell'individuo, alla sua storia ed al suo "processo di individuazione" (Jung).
In ognuno di noi avviene una mescidazione universalmente unica e irripetibile di esperienze ed elaborazioni cognitive che coinvolgono la Coscienza, il suo Io e le strutture diacroniche della personalità (cioè il "film" della storia della nostra vita). Scopo di questo lavoro è stato anche quello mostrare come una lettura biologica delle emozioni e dell'arte di esprimerle (la poesia) sia tutt'altro che deterministica e prigioniera di un riduzionismo da "psichiatria molecolare".
Giuseppe Baiocco