mercoledì 20 marzo 2024

Renato Serra traduttore di Maeterlinck

Ciò che spinse Serra (in una data imprecisata, ma che stile tono e spirito inducono a non ritenere lontana dal celebre saggio su Pascoli) a compiere la traduzione, che ora presento, dal Double jardin (eterogenea raccolta di saggi edita nel 1904) di Maurice Maeterlinck fu, forse, una celata ma sensibilissima affinità elettiva 一 simile a quella che a Maeterlinck stesso legò i poeti crepuscolari, cui la fisionomia di Serra, provinciale, per tanti aspetti sommessa, chiaroscurale e smorzata, fu a sua volta, come dimostrano le Lettere, vicina. È, peraltro, in sé, la pagina di Maeterlinck, un esempio di quella philosophie imagée et artiste, di quella scrittura filosofica immaginosa ed artistica, di cui si ebbero vari esempi tra la fine dell’Ottocento e gli albori del nuovo secolo: una filosofia, o meglio una saggistica (si potrebbe citare anche l’oggi quasi dimenticato Camille Mauclair), che si esprimevano attraverso il simbolo, l’analogia, la condensazione metaforica, la rapida evocazione allusiva, anziché attraverso l’argomentazione graduale, articolata e severa. È quasi come se la prosa di Maeterlinck fosse animata, mossa e sospinta da quella stessa forza rampollante e germogliante che pervade la natura vegetale in essa raffigurata. Le immagini nascono dalle immagini, si snodano e si inanellano in un divenire che parrebbe infinito, come nella “strofe lunga” di D’Annunzio, sino a sfiorare il rischio di un eccesso barocco, di un lussureggiante debordare (e la penna dello stesso Serra, di fronte alla «surabondance» del testo francese, oscilla ed esita fra «sovrabbondanza» e «ricchezza»).