giovedì 24 aprile 2014

"Quel che giace sul fondo". Alcuni inediti di Miriam Bruni

Capita raramente, soprattutto in questi tempi strafottenti e illuminati di squallore, di imbattersi in una poesia pulita, essenziale e a prima vista di semplice lettura come quella di Miriam Bruni (1979).
L'autrice ha già pubblicato Cristalli (Booksprint Edizioni, 2013), la sua prima raccolta, che spesso mi è capitato di paragonare, nel sentimento profondo che la informa, alle poesie della Dickinson. Anche graficamente, le emozioni sono personificate con l'uso della maiuscola a dare dignità ad ogni attimo, ad ogni atto, ad ogni sbaglio del nostro vivere.
Ho goduto del privilegio di ricevere direttamente dall'autrice alcuni inediti che proseguono sulla via già tracciata, e che confermano i tratti salienti emersi da Cristalli: la leggerezza del tocco, femminile in tutto (nelle immagini rarefatte, eppure a volte crudeli, terribilmente materiali); la personificazione metafisica delle esperienze quotidiane che si scontrano con la caducità del mondo che ne circonda l'azione; l'uso di una lingua che non eccede mai, attestandosi su un registro comune, ma in modo cercato, pienamente voluto. E' proprio nella scelta di una lingua semplice, ridotta al minimo, mai soverchiante, che sta uno dei meriti più importanti di Miriam Bruni. Paragonata a quella di altre poetesse di oggi, la sua poesia appare stringata; manca la verbosità di certi testi che non sono affatto poesie, ma brani di noiosissima prosa, e per di più infarciti con le solite banalità. Niente elenchi di azioni, ripetitivi e stancanti, inutili; niente frasi degne del diario di una ragazzina. Qui la prospettiva è diversa: è uno scavo interiore dove riusciamo a sentire la voce di una giovane donna che vive, soffre, ama, sogna, ha paura. Nei suoi versi è come se Miriam si stesse sempre guardando allo specchio, uno specchio magico che le permette (e quindi anche al lettore) di vedersi dentro, oltre che dal di fuori. E la semplicità che emerge dalle pagine di Cristalli e da questi inediti testimonia la semplicità di un'anima; e in poesia, e nell'arte in genere, la semplicità è un pregio, una qualità.
La sua voce può sembrare lieve, sottile: il canto di un lucherino che cerca di sovrastare il rumorìo ingombrante del mondo, della vita. Ma il ritmo e l'attenzione ad esso non calano mai, sono sempre sostenuti; la forza nascosta che emerge in alcuni punti è come il magma che spezza la crosta terrestre, incontenibile: e al di sotto (o magari al di là) del testo c'è l'angolo oscuro che ogni cuore possiede come estremo rifugio. E Miriam si è posta, credo, il compito di riportare alla luce quel che giace sul fondo, troppo in silenzio, come dice lei stessa in un verso bellissimo che contiene una decisiva idea di poetica. L'intento è riscoprire la vera Realtà, insomma, per risentire la voce spenta delle cose a cui l'uomo ha voluto imporre la propria; ed è appunto nel connubio, mai scontato, tra la prospettiva personale e quella assoluta del Vero che sta l'aspetto più interessante di questi testi. Che hanno, mi pare, una certa forza filosofica che sfiora in più di qualche caso il lato religioso, mistico, dell'esistenza. La bellezza va sviscerata dagli ingombri che la ricoprono; magari è nel modo in cui il sole gioca con l'ombra nei viali di una città, o nella primavera che riluce nell'aria.
Eppure c'è una cupa inquietudine che scorre in questi versi, mai sopita, sempre all'erta, pronta a saltare fuori per riequilibrare la bilancia del vivere umano. E allora si legge facilmente tra le righe la sensazione di essere condannati, fin dall'inizio, e senza una via di scampo che non sia l'accettazione piena del proprio destino di morte, perché nell'accettare il limite c'è già il superamento, almeno spirituale, del limite stesso.
Ecco i testi inediti:

1
Non so svincolarmi dal Riconoscimento.
E' forse questo il mio labirinto?

Resto immobile tra le sue spire; perduta
ogni consueta cognizione del tempo.

Lascio i codici, e divento spiga - vuota
clessidra - liberata dalle polveri dei ruoli,

dalle leggi gravitazionali. E' come
una corrente, un riverbero del divino fulgore

che conosce il mio nome e lo sa pronunciare.
Quando chiama il mio battito si accende,

lo riama, rimbalza fin sotto la gola, fin oltre
le spalle. Poi mi cola dentro, e riporta in alto

quel che giace sul fondo, troppo in silenzio.


2
A chi mi dice di alzare
la voce e impormi rispondo:
''non urlano le creature,
eppure stanno liete.
Con quanta luce e buio
non sapete; se con lana
o seta, spago grezzo, insanguinato,
io genero e dal mio stelo stacco
ciò che disvelo e offro.
In un'Ostia sottile e leggera
Lui si cela. E di noi conserva
tutto, il Padre in cui confido,
più di me che talvolta li butto
-i disegni- e distratta giaccio''.


3
Spesso avete parole come pietre,
che spezzano le gambe
e ottundono la mente. Per fare pace
dovrebbero esser fiori o piume,
o ali di farfalla: delicate.


4
Mi osservo e tocco
i polsi fragili, le dita,
le reni sottili e le caviglie,
l'aorta. E' nell'uomo
interiore la forza.
Ma resta che posso
spezzarmi - e morire -
con ben poco sforzo,
ben poco sudore.


5
L'ho poggiata sul sellino
l'inquietudine di ieri.
E portato a sobbalzare
sulle arterie principali.

Alle 18 il sole in San Vitale
era il cuore attraente del cielo.
Sbucava da palazzi e campanili
e a tratti mi abbagliava.

Col suo sguardo dorato
bagnava - lieto - le facciate verticali
mentre io - cieca - attraversavo l'ombra
e gli sorridevo, sentendomi leggera.


6
Cadiamo anche noi sulle macerie
troppo aguzze delle nostre vite

e a grandi lacrime ci avviciniamo
al maledetto canto della nostra fine.

Chi resiste in quei momenti è solo il cuore,
che continua a trottare, battere il tempo,

nel mare di Male che a sorsi ci ingoia,
privandoci di ogni risorsa e talento.

Lui tutto registra, obbediente. La testa
mi scoppia, disidratata è la mente,

e ogni mio arto così lento e cadente,
passato sotto un rullo, febbricitante.


7
Balla con me
Primavera
che sfasi le fioriture
delle piante
a piacimento
e a noi ci butti nei ricordi

senza pietà - a tradimento.

E' una poetessa, Miriam Bruni, da tenere d'occhio per il futuro. Il candore abbagliante delle sue parole è qualcosa che manca alla nostra poesia, troppo presa dall'apparire a discapito dell'essere. La genuinità, lo sforzo alla Verità nel descrivere l'esistenza, la scelta di una lingua decisa, senza abbellimenti inutili, forgiata per dire, non per chiacchierare: tutto questo ci manca terribilmente.


             
                  Gabriele Marchetti  


2 commenti:

  1. Ha ragione il Marchetti, è proprio nell'uso di un registro comune ma pienamente cercato, voluto, il crinale su cui procedere e leggere questi testi: da un lato la parola ordinaria, dall'altro il suo risvolto segreto, l'eco conosciuta ormai anche dal pensiero che disvela verità. Versi molto interessanti, complimenti Miriam

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  2. Molte grazie, Marco, per la tua attenta lettura e il tuo apprezzamento!
    E grazie anche a Gabriele e a Matteo...:-)

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