Poco conosco (e temo che, in generale, poco, troppo poco, o in ogni caso meno di quanto sarebbe opportuno, si conosca in Occidente) della letteratura cubana.
Ma non posso, da lettore di poesia interessato ad uno sguardo comparatistico, che restare affascinato da questo testo di Felix Luis Viera, che - con il suo immaginare e vagheggiare, pur se con lucida e asciutta nettezza di contorni, una sorta di casa interiore, di gnostica "casa dell'anima" e della memoria, quasi come la montaliana casa dei doganieri o la "casa abbandonata" di Neruda (immerse entrambe in un tempo senza tempo, in una sorta di passato senza memoria o di memoria senza tempo e senza passato) - trasporta il lettore in un platonico regno di possibilita' individuali e insieme storiche, di potenzialita' e virtualita' esistenziali, immuni dalle contrarieta' e dalle oppressioni di una contingenza spesso disumana e alienante.
E verrebbe in mente, pur nella sostanziale diversita' delle poetiche e delle scelte espressive, "La morte di Narciso" di Lezama Lima, altro splendido e contrastato poeta cubano, che analogamente reagiva all'oppressione in modo simbolico, velato, indiretto, senza neppure degnarla di un richiamo diretto ed aperto, ma trascendendola in una sfera di valori superiori e piu' puri, anche se destinati, forse proprio per questo, a restare confinati nel limbo dell'incompiuto, del virtuale, del solo sognato, del mai-nato - ma non per questo meno vero e vivo, anzi vivo e vero, forse, di una verita' e di una vita piu' libere e pure.
Nell’ultimo numero (n.30/aprile-giugno/2009) di Arique, ottima rivista di poesia diretta da Raúl Tápanes López, scrittore cubano residente a Santiago del Cile, tra la tanta buona poesia in lingua spagnola che viene sempre pubblicata spicca una lunga intervista al poeta cubano in esilio Felix Luís Viera. Lo scrittore definisce la poesia come un morbo che ti ossessiona fino a cercare di possedere una sensazione producendo un verso. Aggiunge che ha revisionato la raccolta La patria è un’arancia - della quale ho tradotto in passato alcune liriche davvero struggenti - e che presto potrà pubblicarla, ma teme che il suo sesto libro di versi possa essere l’ultimo, il definitivo. In realtà, dalle liriche che ho avuto modo di leggere Viera esprime la grande nostalgia dell’esiliato nei confronti di una terra che ama e che da quattordici anni non può rivedere. Eppure Viera era un poeta stimato a Cuba, aveva ottenuto un premio nel 1976 - in pieno quinquennio grigio - con la sua prima raccolta poetica e numerosi riconoscimenti con i romanzi Sarai comunista, però ti amo (inedito in Italia) e Il lavoro vi farà uomini (edito in Italia da L’ancora del Mediteraneo - titolo originale Un ciervo herido).
Il lavoro edito in Italia è importante perché affronta il tema delle UMAP e accusa il governo castrista di non aver mai chiesto scusa a nessuno per un’esperienza così frustrante e per un periodo così buio della storia cubana. Viera ammette di avere nostalgia di Cuba, ma sa che potrà tornare solo se potranno cambiare le circostanze e teme di non avere molti anni da vivere perché questo possa accadere. In ogni caso è vero che i poeti ritornano sempre, in carne e ossa o con le pagine dei loro libri. Accadrà anche a Cabrera Infante, prima o poi. Accadrà anche a Reinaldo Arenas. Per Félix Luis Viera la speranza è che succeda molto prima, che possa tornare a Cuba per rivedere la sua famiglia e la sua casa idealizzata nel ricordo. Magari ci torneremo insieme, Félix…
Per il momento ho tradotto un’altra lirica stupenda di un artista geniale che
Gordiano Lupi
Casa
de Felix Luis Viera
Esta es la casa donde no habitamos.
Esta es la casa con su jardín elemental,
aquí el librero, la lámpara
a la medida de inmensas jornadas de lectura,
aquí los muebles; en el centro –o ya
no sé si en una esquina, no recuerdo--
un haz de flores (naturales, claro)
Esta es la casa donde no habitamos,
discreta y honda hacia la sangre como un verso,
la casa
donde dos –o tres, ya no recuerdo—niños
ensayan sus colores.
Esta es la casa donde no hay un gesto
que no haya partido del amor.
Aquí su dormitorio, sus sábanas azules –o
blancas, no recuerdo—
donde no nos acostamos.
Esta es la casa que dibujamos de memoria,
la que hoy apenas podríamos (tú o yo) describir,
la que ha quedado
como una semilla rota al borde del camino.
Suerte
que la vida
se hace también de las cosas que no fueron.
De: La que se fue
Casa
di Felix Luis Viera
Questa è la casa dove non abitiamo.
Questa è la casa con il suo semplice giardino,
qui la libreria, la lampada
idonea a immense giornate di lettura,
qui i mobili; nel centro - adesso
non so se in un angolo, non ricordo -
un mazzo di fiori (naturali, chiaro).
Questa è la casa dove non abitiamo,
discreta e profonda verso il sangue come un verso,
la casa
dove due - o tre, ora non ricordo - bambini
provano i loro colori.
Questa è la casa dove non esiste un gesto
che non derivi dall’amore.
Qui la sua camera, le sue lenzuola azzurre - o
bianche, non ricordo -
dove non abbiamo dormito.
Questa è la casa che disegniamo a memoria,
quella che oggi appena potremmo (tu o io) descrivere,
quella che è rimasta
come un seme perduto al margine della strada.
Per fortuna
che la vita
è fatta anche delle cose che non furono.
Tratto da: Quella che se n’è andata
Traduzione di Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi
Félix Luis Viera è nato a Santa Clara nel 1945, vive in Messico da quattordici anni. Ha pubblicatole raccolte di racconti: Las llamas en el cielo (1983) e En el nombre del hijo (1983), i romanzi: Con tu vestido blanco (1987), Serás comunista, pero te quiero (1995), Inglaterra Hernández (1997) e Un ciervo herido (2003), le raccolte di poesia: Una melodía sin ton ni son bajo la lluvia (1976), Poemas de amor y de olvido (1994) e l’antologia La que se fue (2008). In Italia è uscito Un ciervo herido e sta per uscire Inglaterra Hernández. Ancora inedito il romanzo El corazón del rey. Attualmente lavora alla raccolta di poesie La patria es una naranja, ispirato alla nostalgia della sua terra.
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