giovedì 6 agosto 2009

UN APPUNTO SU LEOPARDI (FRA PLATONISMO, TRAGEDIA E CRISTIANESIMO)

Quanto ai rapporti (assai dibattuti e problematici) fra Leopardi e il cristianesimo, c'è un pensiero dello Zibaldone che vedo raramente citato, ma con cui ci si dovrebbe più attentamente confrontare.

"Gesù Cristo fu il primo che personificasse e col nome di mondo circoscrivesse e definisse e stabilisse l’idea del perpetuo nemico della virtù dell’innocenza dell’eroismo della sensibilità vera, d’ogni singolarità dell’animo della vita e delle azioni, della natura in somma, che è quanto dire la società, e così mettesse la moltitudine degli uomini fra i principali nemici dell’uomo, essendo pur troppo vero che come l’individuo per natura è buono e felice, così la moltitudine (e l’individuo in essa) è malvagia e infelice".

Evidentemente, in Leopardi c'è tutto il "pessimismo biblico", il "pessimismo cristiano" (anche il libro di Giobbe è stato letto come una sorta di cripto-tragedia, fondata su una teodicea assurda, occulta e inesplicabile, quasi come la anànke tragica), la coscienza della vanitas vanitatum, senza, però, la rassicurante certezza di una vita e una giustizia ultraterrene.

Il che non portava con sé, automaticamente, il rigetto di ogni possibile sfera metafisica, fosse pure completamente estetizzata (altrimenti non si spiegherebbe "Alla sua donna", con la venerazione dell'archetipo, dell'eidos inafferrabile, dell'alta imago).

Il pathei mathos, la conoscenza attraverso la sofferenza, e viceversa, e la coscienza della condizione umana, della distanza dalla felicità originaria, della "gettatezza" che è propria dell'essere-nel-mondo, accomunano una visione tragico-cristiana (penso al Christus patiens, al motivo anche tragico dell'uomo-dio sofferente, come al Deus absconditus di Pascal e Racine) allo sguardo leopardiano.

Ho la sensazione che la Ginestra, tanto spesso letta in chiave forse troppo ideologica, rappresenti, per parafrasare Pirandello, una sorta di paradossale, antinomico e dialettico superamento (una sorta di Aufhebung) della visione platonico-cristiana attraverso il Cristianesimo e il Platonismo stessi: in sintesi estrema, la luce del pensiero, della verità, della pietas, della agàpe (luce che gli uomini non hanno accolto) contro la malvagità della natura, della materia e della creazione (concetto, questo, tipicamente platonico-cristano, con una venatura gnostica).

Io credo che il senso e il valore essenziali della "social catena", degli uomini "confederati insieme" siano da ricercare nel Platone del Politico come nella visione plotiniana della "grande catena degli esseri" (Moreschini, se non sbaglio, la riconduceva addirittura alla "catena aurea" della Patristica e della Scolastica).

Peraltro, senza richiamarsi alle letture giovanili delle Disputationes di Francisco Suarez, e dunque allo studio della metafisica scolastica, poco si capisce dell'Infinito - di quella interiore "fictio" ("io nel pensier mi fingo") dell'infinito nel pensiero e nell'anima - "fictio", in quel tempo giovanile fertile di illusioni, sottratta al tempo, immersa nell'immobile fluire dell'eterno, dunque ancora priva di implicazioni storiche e sociali, ancorché utopiche.


M. V.

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