venerdì 11 settembre 2009

MARGHERITA GADENZ, "UN ANDITO"

Di fronte a questi versi di Margherita Gadenz si sarebbe tentati, a prima vista, di parlare – ricorrendo ad una definizione di comodo, e spesso ipostizzata o strumentalizzata - di “poesia femminile”. Tipica di quest'ultima parrebbe la sensualità accesa ed intensa, tradotta e rispecchiata in una materia verbale agitata da palpiti, spasmi, fremiti (si vedano le vibranti allitterazioni di tre versi mirabili: “a sagomarci il sesso a labbra strette / pieni di umida paura nella Venezia / senza sole”).

Eppure, l'autrice si discosta dalle semplificazioni e dalle degenerazioni che questa poetica sensualistica (si pensi all'erotica dell'arte teorizzata da Susan Sontag in opposizione, peraltro legittima, ad ogni tecnicismo ermeneutico e ad ogni monopolio ideologico, metodologico, interpretativo) può produrre nella poesia femminile meno misurata e meno avveduta.

In lei, semmai (come nella Plath o nella Bachmann, nella Lasker-Schüler o nella Rosselli, insomma in autrici dal respiro moderno ed internazionale), la sensualità trova il suo controcanto esistenziale complesso, problematico, per certi aspetti nobilmente tragico, in una assidua e convulsa vigilanza intellettuale, razionale, che si traduce in coscienza stilistica e in lavorio formale. È nel pensiero, nella parola, nello stile che la carne viva, il corpo estatico o sofferente trovano il proprio silenzio e la propria espressione più veri, la propria forma scolpita e il proprio segreto moto, il proprio venire alla luce ed inabissarsi in se stessi, nel proprio oscuro gorgo – il pieno e il vuoto, la memoria e l'assenza, la soddisfazione e la mancanza, il baciare chi non c'è - infine, la propria discreta celebrazione, in un andito, e il proprio martirio glorioso.

Del resto, ciò che l'immagine, la parola, la voce evocano e ridestano - come un fascio di luce intermesso e sfrangiato da un trilite – è proprio e sempre una presenza-assenza, un segno-ferita - l'essere e la sua latitanza, il suo iato, la sua - direbbe Lacan – béance. (M. V.)


Un andito, un piccolo pertugio
dove tu ed io ci siamo spinti fino a toccarci il petto
notturni in pieno giorno
a sagomarci il sesso a labbra strette
pieni di umida paura nella Venezia
senza sole

di sopra tua madre con l’aria da zingara
nerastra cucinava un minestrone
a mille foglie

Non ricordo nemmeno se ho mangiato

ti ho baciato tutto il viaggio di ritorno
anche se non c’eri

16 maggio 2009

Margherita Gadenz

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