lunedì 6 giugno 2016

Giuseppe Feola, "Schegge (II)"

I testi che presento sono una specie di fulminante sintesi di certi tratti della tradizione occidentale (ma forse anche con qualcosa delle liriche cinesi) delle forme epigrammatiche e frammentarie, dai lirici greci a Quasimodo a Ungaretti a Penna.
Nel momento stesso in cui si avvicina alla natura (in cui anzi si fa essa stessa natura, in cui la parola si fa visione ed evento, nell'immediatezza delle forme verbali, della sintassi nominale, dei "bianchi" che isolano i sostantivi come  cristalizzazioni delle sostanze appercepite, o come "idee" in senso fenomenologico), la poesia ribadisce ed accampa la propria assoluta autonomia, il proprio aurorale valore di "cosa fra le cose", di "cosa aggiunta al mondo", Leben e insieme mehr-als-Leben.
I bianchi, poi, nel momento stesso in cui paiono destrutturare il tessuto metrico del testo ritagliano ed isolano, invece, spesso, emistichi e cola, regolari. La metrica è negata nell'apparenza per essere ribadita nella sostanza profonda, nelle autentiche e radicate ragioni della ritmicità sotto o al di là del ritmo, come in un complesso gioco di entropia e neghentropia. (M. V.)



1


L’inverno – un vello
di nuvole
ricovera il giorno nel sonno:
                    è culla
del fulmine
a notte.

2


Nelle case: le lampade.
Studenti,
esistenze in attesa,
intente al
futuro.

3


Nelle pozzanghere:
la schiuma
dei giorni

‒ fumo di oggi
che esala al domani.

4


Venti taccole sui rami dell’albe-
ro stecchito: gentile cicaleccio
nero, che oscilla
di voli, nell’azzurro
inverno.

5


Alberi ancora secchi
tra campanili e case:

le loro braccia insistono al silenzio;
sulle dita, dialogo
d’uccelli:
voci primaverili della luce.

6


L’ala della libellula
canta la luce:
voracità dei
giorni, che cresce di ritmo di Sole e
sfiorisce.

7


Volo di gabbïani,
da ovest:
vista,
nel cielo
lontano,
dell’invisibile mare vicino.

8


Solitudine: un cerchio
affollato di voci;

un balcone da cui
non si affaccia nessuno.

9

.
Azzurro fosforo
di questo tramonto: si cambierà in
ceruleo e nero.
Nuvole. Bianche
ali di gabbiani che se ne vanno.

10


Crescono i cardi col lume del Sole
negli occhi:

cerulei guarda-
no la prole dell’uomo,

che passa.

11


La città vecchia immobile
nel pomeriggio del sabato estivo:
lenzuola stese nel cielo;
                risveglio
beato, sotto l’azzurro del Tutto.

12


Da undici anni
combatto
col senso da dare alla vita;
                    spenta
la sigaretta: tra i denti, la cenere
mangio; la birra,
finita.

13


Il fremito delle foglie, sfiancate
dalla calura.
            Instancabile suona,
lì in alto, la
corda della cicala.

14


Voli di corvi
e gabbïani, sul tetto di fronte;
la mezzaluna nel cielo diurno:

raduno
di azzurre, mobili vite, sul petto, nel-
l’occhio del Sole.

15


Il rombo immane
di foglie nel vento:
ode unanime al tempo
di diecimila vite
votate al-
la morte.


16


Il dono della notte a chi è solo.
La danza delle stelle:
la lontananza, il volo.

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