sabato 24 ottobre 2015
Giselda Pontesilli, "Per Rosario Assunto (nel centenario della nascita)"
Rosario Assunto è, con Fedele d'Amico, il professore che ho amato ̶ che ho incontrato all'Università: entrambi, in gioventù, si comportarono in modo -a mio avviso- "vociano", cioè con quel fervore d'azione e comprensione che molti, Carlo Martini (1) e Carlo Bo (2) per esempio, con parole indimenticabili, hanno cantato cantando la "Voce": la prima, quella di Prezzolini, Slataper, Jahier.
Rosario Assunto infatti ha condiviso da giovane il fervore d'azione e comprensione di Adriano Olivetti, e firmato con lui, nel 1953, il Manifesto, la Dichiarazione politica del Movimento Comunità; Fedele d'Amico, pochi anni prima (1943-'44), ha diretto il settimanale «Voce Operaia», organo del Movimento Cattolici Comunisti.
Però, di tutto questo, di questi loro originari intenti, per molto tempo io non seppi niente, non trapelavano proprio mai all'Università!
perciò, ora penso, che ne fossero entrambi rimasti delusi, portati a rinunciarvi, e a celare poi a tutti, e anche agli studenti, questo loro unanime slancio di unitaria, "politica" attività:
ricordo però, che quando io a Centocelle, con Giuseppe Lucca, organista e studente, come me, di D'Amico, volli fare lezioni-concerto "per il popolo", d'Amico, con mio trionfo, la prima volta ci venne e si sedette lì seriamente, tutelarmente.
E ricordo anche che Assunto fu il solo professore con cui riuscii a dire i miei intenti europeisti, e poi, Giorgio Pagano, di cui gli avevo parlato, gli parlò anche lui di lingua comune e d'Europa.
Io parlavo, parlavo tanto a casa di Assunto, ma lui, su certi temi, no: rimaneva evasivo, distante e mi venivano i dubbi che io quindi sbagliavo, che mi occupavo di cose non sostanziali, non veramente buone, morali.
Questo mio stato d'animo è all'origine del "racconto" che riporto qui sotto (Assunto, leggendolo, si riconobbe subito! in Anselmi e mi donò una sua foto firmando la dedica "il prof. Anselmi". Ma, ancora una volta, non disse niente):
Quasi ogni giorno, andando all'Ateneo di Roma, vorrei che il professor Anselmi, di cui seguo con stima le lezioni, m'invitasse nella sala più grande della sua casa, la più bella, arredata, dopo la guerra, dal padre, prima che morisse.
E insieme a me vorrei che vi accogliesse i miei amici, figli grazie ai quali dopo tanti anni si sentisse padre, sicuro del suo compito, e del loro.
Grandi forze nascerebbero, allora, da questo certo riconoscimento, e lui saprebbe che è insostituibile; darebbe loro quello che, per loro, ha ricevuto: studi, memorie, che non hanno avuto.
E identico fervore volerebbe in Francia e poi in Spagna e poi in Europa, la nostra terra che non sia più terra a cui i miei amici guardano, e io con loro.
Tutto questo vorrei.
Ma poi, quando io vedo il professore, non ci pensiamo mai.
Lui è gentile con me, m'invita a casa e mi presta i suoi libri.
Credo che mi stimi, ma come tanti altri. E certo è una mia grande presunzione voler avere un posto preferito nel suo cuore.
Quando usciamo per una passeggiata, seguo la sua andatura piana; e per la strada mi fa notare che le grandi acacie lasciano semi e nuove nascono, anche dal cemento.
Se andiamo alla chiesa di Sant'Agnese o al mausoleo di Costanza, lui parla al custode che ci accompagna e che a me dispiace, come a un fratello, e gli spiega che io, venendo da lontano, non conosco la chiesa.
Davanti alla colonna che gli indico, ha un sorriso che non dimentico.
Così le nostre strade s'incrociano.
Che sforzo ho fatto in questo racconto, per non dire quello che allora giudicavo, idealisticamente, il disimpegno di Anselmi-Assunto, di d'Amico. Ma ora, ora infine lo so, forse, ciò che accade, ed è spesso accaduto; ancora oggi spero, penso che ci sono, ci devono essere persone che possano comprendersi, collegarsi: agire; ma non è certo facile, c'è, infine, il nostro peccare, disperare, ammutolire; e dunque, come dice Olivetti:
"questo dare, questo conferire a un gruppo di uomini l'energia vitale capace di uno sforzo creativo al di sopra dello sforzo comune, appartiene al Mistero, è istanza segreta che la Provvidenza soltanto può, quando vuole, concedere" (3).
La concesse, per pochi anni, e certo per i loro meriti, a Slataper, Prezzolini, Jahier.
Tuttavia, se "All'università ho amato tanto /due professori:/ Rosario Assunto di Caltanissetta/e Fedele d'Amico nato a Roma", è perché tutto quel loro giovanile slancio d' azione, di cambiamento, di impegno rimase, intatto, nel loro battagliero pensiero: pensiero molto inconsueto in quegli anni.
Ricordo, per esempio, che andavo sulla Flaminia, alla Sala Casella, ad ascoltare le lezioni-concerto di Boris Porena e ne restavo mortificata, avvilita per il mio non poter condividere, non poter risolvere l'enigma della musica seriale, aleatoria, atonale, dodecafonica, concettuale: ero certo io -ritenevo- l'incompetente, l'analfabeta.
Ed ecco, l'isolato, eccentrico d'Amico, mi spiega che non è certo musica, quella, perché prescinde dal costitutivo, ineludibile nesso sintattico tra i suoni; essa è, all'inizio -lui dice- con Schönberg tragica protesta morale, rifiuto della tonalità come irrimediabilmente reificata, legata alla società fondata sullo scambio, al mercato dell'ascolto, e diviene poi, fatalmente, con la neo-avanguardia, epifenomeno, riproduzione acritica, acquiescente di quella stessa società, del suo non-senso costituito, della sua alienazione (4).
Perché, «di fronte a una dittatura mercantile che corrompe tutti i valori riducendoli silenziosamente alla propria ideologia, rendere le forme in cui quei valori si esplicano corresponsabili della corruzione significa accettare l'identificazione imposta e arrendersi alla provocazione senza condizioni.
Una cultura d'opposizione trova invece la sua giustificazione storica solo in quanto rifiuta quell'identificazione e s'impegna a liberare quei valori in quanto tali, cioè non soltanto in quanto portatori d'un' ideologia di segno contrario: operazione al limite della quale è il superamento concreto d'ogni ideologia» (5).
«Liberare quei valori in quanto tali», «superare concretamente ogni ideologia»: ecco, io pensavo, la via della musica, della poesia.
Analogamente, l'isolato, eccentrico Rosario Assunto soccorse al mio sconcerto per il seriale, zonizzato, "funzionale", villaggio globale, con la sua "nettissima svolta" (come si espresse al riguardo Vittorio Stella (6)), cioè con un chiarimento teorico fondamentale, che solo ultimamente si comincia forse, appena, ad affacciare, nelle filosofie ambientaliste o eco-filosofie attuali: il valore in quanto tale, il valore in sé, incondizionato, non strumentale, della natura, del paesaggio, dell'architettura, del giardino, superando concretamente così ogni ideologia, sia pure un'ideologia antitetica a quella utilitaristica e tecnologica dominante:
«Tutto il discorso di Assunto svolge una grande rivendicazione della centralità della bellezza, e dunque della considerazione estetica della natura, contro le ideologie economicistiche, che vedono la natura solo come bene da sfruttare.
Da questo modo di pensare non si discostano, a suo avviso, neanche la gran parte degli ecologisti e dei "verdi", che si propongono la salvaguardia della natura, nel senso di una razionalizzazione del suo sfruttamento, affinché non accada che uno sfruttamento smodato, causi il collasso del sistema natura. E anche la lotta per la preservazione della natura a fini igienici, ricreativi [...] mostra di non cogliere i veri termini della questione [...].
Dove si tratti solo di risolvere problemi di ordine pratico o utilitario, non si possono porre limiti alla tecnologia [...]: è ipotizzabile ad esempio che essa riesca a sanare i mali che produce, e che la perdita di ambiente naturale non sia più da considerarsi un male, dal punto di vista pratico.
Ma la perdita cui la tecnologia non può rimediare è quella della "dimensione verticale" della trascendenza che noi possiamo sperimentare in modo eminente e irrinunciabile nella bellezza naturale [...].
Dunque l'unica difesa che abbia chances di successo -o che possa almeno reggere il confronto di fondo- è quella che si basa sul riconoscimento della insostituibilità della categoria estetica e della bellezza della natura» (7).
NOTE
1) In La Voce, Nistri-Lischi, Pisa 1956 (con pref. di Giuseppe Prezzolini), Carlo Martini scrive a proposito della "Voce": "una folata irrompente di ossigeno nella vita spirituale d'Italia"; "Il movimento vociano voleva, tra l'altro, liberare l'Italia dal «male della cultura»".
E su Slataper, scrive: "Slataper: un tema che non vorremmo mai abbandonare, tanto ci commuove la storia di questa giovinezza così volontaria, così vittoriosamente gremita di propositi".
Ma Prezzolini, nella prefazione, scrive: "Io vedo diversamente dal Martini la storia de «La Voce». M'appare attraverso la sconfitta sua, dell'Italia e del mondo nostro. M'appare sullo sfondo di quello che avrei desiderato e sperato".
2) In L'eredità di Leopardi, Vallecchi, Firenze 1964, Carlo Bo scrive: "Intorno a Prezzolini, intorno alla «Voce» pratica [cioè la prima Voce, 1908-'11] si sono raccolte le migliori ambizioni della nostra storia [...]
Fu un'occasione unica non soltanto per la vita intellettuale della città ma per l'intera storia della nazione italiana [...]
E' stata forse l'ultima occasione e senza dubbio l'occasione di maggior impegno intellettuale che egli ["un nuovo tipo di italiano"] abbia avuto in questo secolo" (pp. 454-455).
3) Adriano Olivetti, Democrazia senza partiti, Comunità Editrice, Roma-Ivrea 2013.
4) Argomenti sulla «Nuova musica», in Fedele d'Amico, I casi della musica, Il Saggiatore, Milano 1962, pp. 489-514.
5) Ibidem, p. 506.
6) Vittorio Stella, in "Le concezioni neoclassiche e romantiche della natura e del tempo nelle ricerche di estetica di Rosario Assunto", "Filosofia oggi", 1978, pp.135-155, parla di una "nettissima svolta" determinatasi "tra il '67 e il '70" nel pensiero di Assunto.
7) Massimo Pontesilli, in Metafisica ed estetica nel pensiero di Rosario Assunto, tesi di laurea in Filosofia, Univ. "La Sapienza", Roma, a.a. 1997-'98, p. 257.
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