Edgar Degas, Ritratto di Diego Martelli
«Cos'era
la macchia?» — scrive Giovanni Fattori a Gustavo Uzielli nel 1901.
«Era la solidità dei corpi di fronte alla luce». Non la
smaterializzazione, la dissoluzione delle forme e dei contorni
nell'athanor della sfumature; ma, al contrario, la resa
visiva, cromatica della concretezza e della tangibilità
dell'esperienza, l'emozione incarnata e scolpita nel tempo e nello
spazio.
Mi
sembra che proprio questi aspetti, insieme a molti altri, siano còlti
a dovere nei versi di Giselda Pontesilli che ho il piacere di
presentare.
Il
nesso arte-critica (la critica come collaboratrice, anzi nutrice,
dell'arte) inteso come impegno etico oltre che estetico; il rapporto
fra natura e arte, non come estetizzazione della natura, né come sua
mimesi, ma come erma bifronte spuntata dal magma, dalla matrice,
della natura stessa; il nodo di natura, arte e società veicolato
dalla critica militante; la solitudine, infine, della critica,
nutrice, ma anche ancella, dell'arte, eppure apparentemente nuda,
puramente intellettuale, raggelata, senza compagno e senza figli.
Tutto
questo, implicito ma riconoscibile per il lettore attento, e detto
(forse in modo addirittura più eloquente che in trecento pagine di
saggio accademico) in un giro di versi cantabile e limpido, musicale
e insieme, secondo l'insegnamento della scuola romana, colloquiale
nel senso più alto e puro, quello di Terenzio e di Orazio.
Versi,
questi, che nella loro struttura, composizione, tessitura hanno
l'equilibrio, la compiutezza, l'euritmia e il bilanciamento di un
polittico o di un bassorilievo; abilmente equilibrati fra realtà e
utopia, concretezza e lirismo.
Anche
la quarta sezione, che, isolata, potrebbe apparire come una nuda
istantanea, esaurita in se stessa, una di quelle piccole figurazioni minimaliste così frequenti nell'odierna "poesia del quotidiano", ha invece, incastonata com'è fra gli altri pannelli del polittico, una sua ragion
d'essere: proprio come un quadro realistico, un "quadro di
genere" che abbia però un suo lirismo muto, enigmatico — una
parola viva, chiusa nel silenzio dell'immagine, e che la poesia porta
alla luce e fa risuonare.
Ecco, proprio questo è, agli occhi della poetessa, il valore della luce dei macchiaioli: una sorta di dantesca luce dell'essere e della grazia, sempre uguale e diversa, e anzi capace, con le sue sfumature, le sue gradazioni, le sue modulazioni appena percettibili, eppure sostanziali, di far affiorare i molteplici e variati aspetti del mondo: tutti sostenuti, però, dal sostrato ontologico (quasi l'hypokeimenon della tradizione ontologica) che la luce (quasi la manzoniana luce che "rapida / Piove di cosa in cosa, / E i color vari suscita / Dovunque si riposa", allo stesso modo che la Parola del Vero risuona uguale pur nei diversi idiomi) suscita ed invera.
(M. V.)
Ecco, proprio questo è, agli occhi della poetessa, il valore della luce dei macchiaioli: una sorta di dantesca luce dell'essere e della grazia, sempre uguale e diversa, e anzi capace, con le sue sfumature, le sue gradazioni, le sue modulazioni appena percettibili, eppure sostanziali, di far affiorare i molteplici e variati aspetti del mondo: tutti sostenuti, però, dal sostrato ontologico (quasi l'hypokeimenon della tradizione ontologica) che la luce (quasi la manzoniana luce che "rapida / Piove di cosa in cosa, / E i color vari suscita / Dovunque si riposa", allo stesso modo che la Parola del Vero risuona uguale pur nei diversi idiomi) suscita ed invera.
(M. V.)
GISELDA
PONTESILLI
Scuola
dei Macchiaioli
I
-sono
alla GNAM
-sono
seduta al Bar
ho
visto
poco
fa,
ogni
quadro ogni pena
dei
carissimi: Lega
Cabianca,
Zandomeneghi,
Costa,
Banti,
Borrani
De
Nittis, Signorini
De
Tivoli
Fattori.
Vedo,
che ebbero, loro
un
critico, anzi, no
un
uomo:
un
uomo buono
il
carissimo Diego Martelli
che
li ha uniti, amati
visti
belli.
E
Martelli?
Chi
aveva, Martelli?
Qualcuno,
certo,
qualcuno
mentre
non c'è nessuno
-più
-ancora
perché
altrimenti ora
io
lo vedrei
qualcuno
come lui,
o
non molto diverso.
Lui
ebbe loro
anche,
gli
uomini buoni
"Macchiaioli":
amici, decisi
a
vedere
i
buoi, la
campagna,
la
povertà,
il
mare.
Io
non posso
restare
qui
senza
far niente
io
ho dolore
del
nostro non
far
niente.
-ma
spero
sempre.
II
Io
aspetto qui
che
arrivi qui qualcuno
e
dica:
"Da
una vita
la
penso come te
ma
l'ho capito soltanto adesso:
mettiamoci
al lavoro!
Al
più presto".
"E'
un miracolo, questo!"
-direi
allora-
e
infatti
un
miracolo
solo
un miracolo io aspetto:
una
grazia: solo lui
solo
lei è reale, regale
solo
lui solo lei mi interessa
mi
dà la pazienza
per
il resto (l'irreale)
ho
indifferenza.
III
A
questo attimo
a
questo albero
io
presto ora
tutta
la mia attenzione
perché
dopo
ci
sarà l'alluvione
o
il terremoto forse
o
forse un disastro
qualunque
uno
normale, in questi tempi
-e
in tutti-
mi
viene da pensare.
Così
io poto adesso
questo
albero bello di olivo
lo
guardo
lo
rinnovo
lo
rimiro
qui
dove scrivo.
IV
Sono
seduta con mio figlio al CAF
-a
fare l'ISEE -a far ridurre le tasse
per
l'Università.
S'affaccia
un uomo d'una certa età
che
dice all'impiegata
qualcosa
su una pensione aggiornata,
aumentata
50 euro al mese.
E
ecco! dice una cosa
nuova,
oggi, anzi, antica:
"Grazie, figlia! Dio ti benedica".
"Grazie, figlia! Dio ti benedica".
V
Cori,
la preromana
anzi
preistorica città di Cora,
è
tra i monti Lepini, qui vicino:
mentre,
quasi ogni giorno, ci cammino
la
guardo e penso: "Come dico, come dico
-se
non dipingo, se non so disegnare-
la
sua antica, anzi nuova,
anzi
futura
architettura,
umanità, bellezza?"
Potrò
dire -poi penso-
che
ci sono ora a Cori
tre
poeti e di loro, di loro tre uniti,
dirò
i versi:
"Siamo
condannati
all'ergastolo
della bellezza.
Essa
è
ovunque.
Più
della fine
abbiate
coraggio
abbiate
ardore
ogni
morte ha la sua
resurrezione".
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.