martedì 16 dicembre 2014

Giselda Pontesilli, "Scuola dei Macchiaioli"



Edgar Degas, Ritratto di Diego Martelli


«Cos'era la macchia?» — scrive Giovanni Fattori a Gustavo Uzielli nel 1901. «Era la solidità dei corpi di fronte alla luce». Non la smaterializzazione, la dissoluzione delle forme e dei contorni nell'athanor della sfumature; ma, al contrario, la resa visiva, cromatica della concretezza e della tangibilità dell'esperienza, l'emozione incarnata e scolpita nel tempo e nello spazio.
Mi sembra che proprio questi aspetti, insieme a molti altri, siano còlti a dovere nei versi di Giselda Pontesilli che ho il piacere di presentare.
Il nesso arte-critica (la critica come collaboratrice, anzi nutrice, dell'arte) inteso come impegno etico oltre che estetico; il rapporto fra natura e arte, non come estetizzazione della natura, né come sua mimesi, ma come erma bifronte spuntata dal magma, dalla matrice, della natura stessa; il nodo di natura, arte e società veicolato dalla critica militante; la solitudine, infine, della critica, nutrice, ma anche ancella, dell'arte, eppure apparentemente nuda, puramente intellettuale, raggelata, senza compagno e senza figli.
Tutto questo, implicito ma riconoscibile per il lettore attento, e detto (forse in modo addirittura più eloquente che in trecento pagine di saggio accademico) in un giro di versi cantabile e limpido, musicale e insieme, secondo l'insegnamento della scuola romana, colloquiale nel senso più alto e puro, quello di Terenzio e di Orazio.
Versi, questi, che nella loro struttura, composizione, tessitura hanno l'equilibrio, la compiutezza, l'euritmia e il bilanciamento di un polittico o di un bassorilievo; abilmente equilibrati fra realtà e utopia, concretezza e lirismo.
Anche la quarta sezione, che, isolata, potrebbe apparire come una nuda istantanea, esaurita in se stessa, una di quelle piccole figurazioni minimaliste così frequenti nell'odierna "poesia del quotidiano", ha invece, incastonata com'è fra gli altri pannelli del polittico, una sua ragion d'essere: proprio come un quadro realistico, un "quadro di genere" che abbia però un suo lirismo muto, enigmatico — una parola viva, chiusa nel silenzio dell'immagine, e che la poesia porta alla luce e fa risuonare.
Ecco, proprio questo è, agli occhi della poetessa, il valore della luce dei macchiaioli: una sorta di dantesca luce dell'essere e della grazia, sempre uguale e diversa, e anzi capace, con le sue sfumature, le sue gradazioni, le sue modulazioni appena percettibili, eppure sostanziali, di far affiorare i molteplici e variati aspetti del mondo: tutti sostenuti, però, dal sostrato ontologico (quasi l'hypokeimenon della tradizione ontologica) che la luce (quasi la manzoniana luce che  "rapida / Piove di cosa in cosa, / E i color vari suscita / Dovunque si riposa", allo stesso modo che la Parola del Vero risuona uguale pur nei diversi idiomi) suscita ed invera.  


                              (M. V.)




GISELDA PONTESILLI


Scuola dei Macchiaioli




I
-sono alla GNAM
-sono seduta al Bar

ho visto
poco fa,
ogni quadro ogni pena
dei carissimi: Lega
Cabianca,
Zandomeneghi, Costa,
Banti, Borrani
De Nittis, Signorini
De Tivoli
Fattori.

Vedo, che ebbero, loro
un critico, anzi, no
un uomo:
un uomo buono
il carissimo Diego Martelli
che li ha uniti, amati
visti belli.

E Martelli?
Chi aveva, Martelli?
Qualcuno, certo,
qualcuno
mentre non c'è nessuno
-più -ancora
perché altrimenti ora
io lo vedrei
qualcuno come lui,
o non molto diverso.

Lui ebbe loro
anche,
gli uomini buoni
"Macchiaioli": amici, decisi
a vedere
i buoi, la
campagna,
la povertà,
il mare.

Io non posso
restare qui
senza far niente
io ho dolore
del nostro non
far niente.


-ma spero
sempre.





II
Io aspetto qui
che arrivi qui qualcuno
e dica:
"Da una vita
la penso come te
ma l'ho capito soltanto adesso:
mettiamoci al lavoro!
Al più presto".
"E' un miracolo, questo!"
-direi allora-
e infatti
un miracolo
solo un miracolo io aspetto:
una grazia: solo lui
solo lei è reale, regale
solo lui solo lei mi interessa
mi dà la pazienza
per il resto (l'irreale)
ho indifferenza.




III
A questo attimo
a questo albero
io presto ora
tutta la mia attenzione
perché dopo
ci sarà l'alluvione
o il terremoto forse
o forse un disastro
qualunque
uno normale, in questi tempi
-e in tutti-
mi viene da pensare.
Così io poto adesso
questo albero bello di olivo
lo guardo
lo rinnovo
lo rimiro
qui dove scrivo.




IV
Sono seduta con mio figlio al CAF
-a fare l'ISEE -a far ridurre le tasse
per l'Università.
S'affaccia un uomo d'una certa età
che dice all'impiegata
qualcosa su una pensione aggiornata,
aumentata 50 euro al mese.
E ecco! dice una cosa
nuova, oggi, anzi, antica:
"Grazie, figlia! Dio ti benedica".




V
Cori, la preromana
anzi preistorica città di Cora,
è tra i monti Lepini, qui vicino:
mentre, quasi ogni giorno, ci cammino
la guardo e penso: "Come dico, come dico
-se non dipingo, se non so disegnare-
la sua antica, anzi nuova,
anzi futura
architettura, umanità, bellezza?"


Potrò dire -poi penso-
che ci sono ora a Cori
tre poeti e di loro, di loro tre uniti,
dirò i versi:

"Siamo condannati
all'ergastolo della bellezza.
Essa
è ovunque.
Più della fine
abbiate coraggio
abbiate ardore
ogni morte ha la sua
resurrezione".

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