Versi,
questi di Giuseppe Feola che ora presento, e che costituiscono la
prosecuzione di un discorso lirico già avviato in un libro
precedente, tali da dover essere, più che letti, quasi, per così
dire, respirati con la mente, insufflati nel pensiero come il
filo d'aria dell'avena, del flauto silvestre.
Essi
fondono, mi sembra, un senso - luziano più che dannunziano, cioè
esistenziale più che edonistico - dell'immersione e
dell'immedesimazione nella totalità del vivente con una
percezione, biologica ma insieme umanamente, immanentemente mistica,
del perenne respiro, della perpetua fluente vibrazione, che pervadono
il creato: percezione che fa pensare a varie tradizioni sapienziali,
dalla cabala al buddismo - vibrare all'unisono con la natura, e
trasfondere quella concorde vibrazione in parola e canto. Creazione
continua, appunto: dalla natura all'individuo, e da questi alla
parola, e da quest'ultima al lettore che a sua volta
riattraversa e rivive e ricrea il testo con la propria, e nella propria, mente.
Versi, si potrebbe dire, che, nel loro porsi come prolungamento e riverbero delle tante, discrete e sotterranee, rivisitazioni novecentesche della vena bucolica, paiono a tratti ricordare lo Stanescu delle Undici elegie per il modo in cui, in essi, la Natura si fa Parola, e la Parola Natura, in un rispecchiamento uno e duplice, in un gioco concorde e screziato di intrecci e di diramazioni - ma anche, quasi, nel loro aderire alla "natura", alla "specie", all'"opera del mondo", certo Luzi lettore di Betocchi (M. V.).
mutando
riposa
Creazione
(XII)
Rumore
di fondo
Ascolto
la
respirazïone
del
mondo.
Alberi
sorgono,
inspirano
cielo: allungano dita,
capelli
sul
petto delle stelle,
metri
assorbendo
dalla
notte che scorre
nel
letto suo profondo;
espirano,
di
nuovo richiudendosi
nel
fondo di quest’ocëano d’aria
che
si muove.
Salire.
Ridiscendere.
Cellule
nuove di esistere – uccelli,
animali
– eco danno al-
le
nuvole che vagano.
In
basso si propaga
il
suono della vita;
rotolano
massi, ruscelli vanno per
le
valli, spira a spira, quali serpi,
o
fronde che si svolgano
uscendo
da uno stelo.
Sospiro,
tuono
che
si scoscende
e
s’apre nel suo salto
– tendersi,
alto rompersi di velo.
Creazione
(VI)
Percorsi
dell’acqua
a
cucire la terra
alla
luce: la seta delle immagini,
la
guerra delle nascite inquiete,
la
rete dell’aurora, la sua sete,
la
danza degli odori.
Creazione
(V)
Il
Corpo del Mondo
Realtà
dense, intermedie tra ordine
e
flusso:
la
voce
che
nell’aria fa certo
il
pensiero, la goccia segregata
da
sua madre l’acqua, la
pietra
ostinata
che
spezza la luce;
il
Corpo del Mondo, di
cui
sono parte,
- tremendo
al
mio
senso, irriducibile, indiscusso.
Creazione
(VII)
Primavera
Il
respiro degli alberi nel vento:
schiuma
si libera
di
pollini
al
giro nuovo
in
cielo delle stelle;
vele
di nuvole
incedono
dal mare.
Sembra
una trasparente
bolla
il mondo: cristallo, che in silenzio
riveli,
quasi
da grembi d’aria,
il
suo fondale.
Creazione
(III)1
Presso
l’acqua 1 / Lo Specchio delle Apparenze / Come in Alto, così in
Basso
Il
pomeriggio-tigre che sbadiglia
tra
strie d’intrichi d’ombra giallo-verde
lascia
danzare mille moscerini
sul
suo mantello d’apparenze pigre.
Scivolando
tra siepi di panchine,
la
ciarla d’un uccello s’assottiglia:
nel
brulichio dell’ora poi si perde.
Al
vento, nella vasca, trascolora,
in
un argento vivo che sfarfalla,
il
volto dell’amico che mi parla
della
flessuosa Flora ch’è strisciata
indocile
e veloce – nella spenta
ceppaia
del suo cuore,
a
farla ancora dolce d’altre foglie,
e
d’altro umore ancora a rianimarla.
Annidatasi
in quel folto, ora domina
e
regge, nella stretta delle sue
voglie,
quell’amante anima
ansiosa,
cui,
caute
parole sospirando, obliqua
legge
detta ed insidiosa.
Volgo
un’esigüa,
amara sigaretta
tra
le mie magre dita: nude schegge
di
cenere corrosa nel mio petto.
Il
fumo non scompiglia, coi suoi lievi
errori
che sfioriscono, il mio spirito,
l’agguato
che io tendo all’esistenza,
allo
strano silenzio della vita:
immobile
ed assiduo, non ho fretta.
Guardandomi
oltre il ciglio di quell’acqua – del-
la
tensione del velo in superficie –,
nel
folto delle immagini quieto,
nell’occhio
dello scorrere incessante
mi
accendo d’una muta intellezione
‒ sospeso
dentro al Cielo, e al suo segreto.
Creazione
(VIII)
Le
scosse
del
vento tra lo strider delle antenne;
tremano
le finestre.
Chiare
schiere si sciolgono nell’aria,
si
raddensano nere.
La
tarda,
nascosta
primavera
nelle sue briglie freme: non
sa
più
come
arrivare.
Creazione
(X)
La
danza muta
nell’aria
dei
pipistrelli svela
orbite
dense
di
vita minuta: dichiara nuvo-
le
di moti non visti
– trasparente
pulvisco-
lo
di nere zanzare.
Il
serpente / Creazione (XI)
Argo
/ Quetzalcoatl / Yggdrasill
La
lenta forza
del
vento
riveste
la
notte del suo manto:
occhi
o stelle?
scaglie
di cielo argentee,
foglie,
piume nel brivido
profondo
della scorza
appaiono
dell’albero celeste,
della
pelle del fiume, nuova e vivida
di
mondo.
Il
mondo: vivo
serpente
che
si
spoglia dell’exuvia.
Creazione
(XIII)
Sublimazione
dei liquidi / Principio d’Impermanenza
Essere
privo d’essenza: le nuvole
del
cielo
– impermanenza
pura,
dura sembianza
del
tender d’ogni cosa a sublimarsi
e
fino
all’ultima
sua assenza farsi velo.
Creazione
(IX)
Imparziale,
ogni giorno il Sole appare
a
viver la sua luce nell’esistere
degli
occhi dei mortali.
Oceano
/ Mutando riposa
metabavllon
ajnapauvetai
(
Eraclito, 22B 84a DK )
Non
è mai fermo;
ma
neppure si muove:
solo,
respira
nel
suo proprio luogo.
Acqua
che piovve
dal
cielo a riempire
la
pancia della Terra:
nessuna
mente allora
poteva
riconoscerlo, non c’era
sguardo
a potervisi
specchiare;
né
continente ad isolarsi in esso.
Per
questo non conosce, egli, nessuno
– uomo
animale pianta o continente –,
nulla
rispetta
– bianco
di zanne –
tranne
cielo e terra,
indifferente
come la Fortuna;
ma
tutto quanto, in compenso, rispecchia,
come
sognando
nel
suo sonno di vecchio,
nel
suo ceruleo aspetto,
da
miliardi di anni
imparzialmente
nel
suo volto di Luna.
1
Per Luigi De Fanti ed Lorenzo Ferroni. Poesia iniziata a Pisa, il
28‒30
ix
1997, reduce da un pomeriggio alla “Montagnola” di Bologna, con
L.D.F., e poi da uno con L.F. nel giardino del collegio Timpano
della Scuola Normale Superiore di Pisa.
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