Ho
il piacere e il privilegio di pubblicare i Madrigali di
Giselda Pontesilli. Testi che riconciliano con il passato e con il
presente, con la totalità diacronica e onnipresente, onniavvolgente
della vita; e, sul piano stilistico, di conseguenza, fondono la
musicalità dei madrigali antichi con un respiro metrico ‒
insieme breve, rapido, conciso, eppure disteso, melodioso, armonico,
specie se considerato a posteriori nella totalità rimeditata
della rilettura ‒ che
ricalca, o ricorda un poco, quello di certo Luzi («Nelle
stanze la voce materna / senza origine, senza profondità s'alterna /
col silenzio della terra, è bella / e tutto par nato da quella»),
o di Betocchi («quel che
scrisse il reciproco amore / del fare insieme, senza chieder conto /
di nulla che a quell'opera maggiore / ch'era, non si sa come, amore
insieme / operante, che gode del suo vivere, / e noi siam nulla,
l'abolito seme... / E' l'opera comune che ha valore»).
Qualcosa, insomma, di antico e nuovo insieme, nello stile come nei
temi.
Il
genere stesso del madrigale ritrova la sua vera origine, anzi due
delle sue possibili, molteplici origini: materiale e
matricale, parola legata alla materia, alla matrice, insomma
alla sostanza vitale vera e sentita, e insieme alla madre, alla terra
madre, unica e condivisa, origine e fine, sorgente e foce,
patria-matria da cui partire e a cui tornare.
Ed
è importante, poi, il paesaggio, il senso del paesaggio, che
visualizza e quasi cristallizza, matericamente appunto, questo
abbraccio e questo nodo del materiale e dell'umano, della natura e
del tempo storico, fusi nell'immagine della scuola diroccata, luogo
emblematico dell'infanzia, del prendersi-cura, e della scoperta del
mondo.
La
semplicità, la trasparenza, conquistate, dei versi si intuiscono
essere il frutto di "lungo studio" e "grande amore",
di un'opera di perfezionamento e pulizia condotta "per via di
levare", come negli antichi scultori. Così come l'architettura
si riappropria, attraverso l'arte, della natura, grazie alla
razionale “naturalezza” degli “ordini” (viene da pensare,
leggendo i versi della Pontesilli sugli ordini architettonici che
assomigliano alla natura, e che forse proprio per questo sono oggi
banditi dallo strapotere, in tutti i campi, della modernità e della
Tecnica, alla pagina squisita ed elegiaca di Vitruvio sulla genesi
del capitello corinzio, nato dalla natura e dalla morte, dallo
spontaneo germinare di un acanto nel vaso deposto come offerta sulla
tomba di una fanciulla: simbolo, quasi, della memoria che perdura,
che germina e si propaga dal silenzio e dalla quiete di chi non è
più, di ciò che non è più, ma che proprio in virtù della sua
essenza si fa presente nel ricordo condiviso, come un filo esile che
trapassa il muro della morte).
Attraverso
l'arte riaffiora la vita, attraverso l'artificio la natura, come nei
madrigali della tradizione, nei quali il verso è spesso attraversato
dallo stesso brividio di vita, di germinazione, dallo stesso naturale
sussurro e vibrio di energie latenti e di potenzialità proiettate
verso il compimento, verso l'inveramento dell'incontro e del frutto:
«Ecco mormorar l'onde /
e tremolar le fronde /
e
l'aura mattutina e gli arboscelli, /
e
sopra i verdi rami i vaghi augelli /
cantar
soavemente / e rider l'orïente».
Ma prima ancora, alle origini stesse del madrigale italiano, c'è
l'idea ricorsiva della morte e della rinascita, dello sgomento e del
respiro, del tempo che, come nella tessitura e nel giro del verso,
torna su se stesso e nel contempo si apre a nuove risonanze e a nuove
illuminazioni: «tal che
mi fece, or quand’egli arde ’l cielo, / tutto tremar d’un
amoroso gielo». (M. V.)
MADRIGALI
I
Ero
così sicura! Solamente
c'era la sicurezza
di me, del presente
del mio posto centrale, il più reale.
Come una piazza ha il centro
e un faro il mare
come la terra ha il cielo e la bellezza
è assoluta, perfetta
come con noncuranza
ci si sente sicuri in una stanza
così ero io
e qualche amico mio.
II
E'
ancora una cosa bella
per
me quando sto in treno
vedere,
poter vedere ancora
che
ora, proprio ora
aveva,
avrà un popolo l'Italia
parlò
la lingua nostra,
di
paese, con tanti accenti
con
tanta sicurezza
e
i toni erano tanti
tutti
eleganti
c'erano
sentimenti
in
quelle sfumature differenti
come
un abito di tanti colori
come
i fiori dei campi
come
gli allori
dei
nostri bei poeti.
III
Ho
pensato ai miei studi, questa notte
studi
che non ho fatto
un
disastro
a
cui vorrei rimediare.
E
pensavo che ero lì a rifare
il
mio dottorato alla Sorbona
e
non era com'era stato allora
che
non stimavo, affatto, la scuola.
E
già c'era il senso, tremendo
del
perso
dell'accaduto:
non
sapevo più il greco!
e
cercavo di apprenderlo da sola.
Era
come
è
anche ora
ma
ancora
io
potevo io potrò
rimediare.
IV
Qui
fuori al sole
col
casale di fianco
io
guardo, mentre parlo,
orto
e giardino.
Non
mi preoccupa niente
quando
sto qui -presente-
nel
campo del vicino.
Presente?
Sì,
perché parlo con lui
veramente
non
penso ad altro.
Ma
assente, anche, assente
come
sempre
perché,
veramente,
non
è questo! il mio campo
-e
arriverà la grazia
di
coltivarlo?
V
I
cinque ordini
in
architettura
sono
leggi -armoniche
di
Idea
di
natura.
Servono
a fare
scuole
case ospedali
molto
semplici,
arieggiati,
cordiali.
Per
l'architetto sono
fondamenta,
base
(com'è
-per il musicista- la base
tonale);
ma
oggi lui
non
li può onorare,
non
glielo fanno fare.
E'
per questo
che
le scuole,
le
case gli ospedali
sembrano
deprimenti
micidiali.
VI
Non
so, io non contemplo
la
natura
forse
ho paura del ritmo sempre uguale
che
fa il mare, la terra, le stagioni
forse
la mia natura è contemplare
qualcosa!
nella natura:
un
casale, una tomba, la scuola
“Felice
Trossi”, diroccata,
che
è qui vicino e che vorrei salvare.
VII
Ma
come siete belli!
voi
che fate
le
piazze di Grottaferrata,
di
Frascati,
di
Marino.
Le
fate? Sì!
con
la vostra presenza:
ora
che vi sostate
e
passate
tornando
a casa
a
scuola al mercato.
Poi
certo sarà
-super-estrema-super-segreta
-super-indicibile
la
vostra sofferenza:
come
sempre, come per tutti
oggi,
in privato.
Ma
intanto qui
coi
camini e i balconi
del
Seicento
vi
riposate
per
grazia
di
uomini passati
che
ve li hanno dati.
VIII
Come
se fosse aprile,
o
giugno, o maggio,
-e
invece è inverno
“inverno
dello scrivere nemico”-
io
mi incammino, oggi,
io
penso,
e
approvo un sentimento
chiaro,
intenso:
è
primavera, anche se c'è vento
è
primavera! questo brutto tempo
l'assolutissima
bellezza della natura
è
sicura.
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