Presento questi versi in idioma veneto, scritti da Silvia Secco in occasione della morte di Andrea Zanzotto. La poesia dialettale tende spesso, forse per sua stessa natura, a scadere nel bozzetto mimetico o, viceversa, deformante e caricaturale, ma in ogni caso angusto. Nei suoi esiti più alti (Loi, Baldassari, Bandini, Zanzotto stesso) essa attinge invece, grazie alla musicalità, all'essenzialità, all'ingenuità sapiente ed arcaica, proprie del vernacolo, un lirismo luminoso e assoluto. Bandini e Zanzotto, appunto, ma anche Marin e Pasolini: i poeti veneto-friulani, se è possibile ricorrere a questa generalizzazione, hanno il vantaggio di potersi servire di un dialetto che è in realtà, con le sue sonorità aperte e distese, con i suoi indugi meditativi, con la sua malinconica grazia ariosa e cantata, un vero e proprio idioma romanzo, che ha, rispetto all'italiano con cui istintivamente lo si raffronta a livello di ricezione psicolinguistica, quasi la consistenza ombrosa e remota di un'eco e di un'origine, riverberate e specchiate.
Nel testo ora presentato, riaffiorano motivi eterni, antichi come moderni (il mondo come libro e come pagina che infine, come nell'Apocalisse,si ravvolgono su se stessi e si dissolvono, forse per schiudere caelum novum et terram novam; il luminoso silenzio della luna che sovrasta la veglia e la creazione), che trovano nel dialetto un ricetto e un'espressione naturali e insieme elaborati.
(Matteo Veronesi)
In morte di A.Z.
Stralocia là ‘na luna pena nata penapena fata (o pena stria?) e a ti la t’ha portà via: i fii, tajai nel farse dea so false quarta, filà dal vento dala pria del tempo – lima/rima… Mah!
Gnanca sa te fussi ‘ndà co ‘na busia, ‘n’altra poesia/grafia, ‘na virgola, ‘na ciglia… Zolà via come ‘na foglia, un strame astrale fin là insima! Pecà
gnanca t’hai spetà la neve… Saria sta lieve el passo, el viajo ciaro. Un fojo novo tuto gualivo tuto par ti. Ah! Falive de fojo podae sul mondo a far del mondo un fojo/a mondarlo/ a sorarlo…
E ti là sora a segnarlo, sgrafiando (corsivo) le norme in orme in nome… Ah… Come saria sta belo! Ancora un fià qua zo, un filò (de seta): la A. La Zeta.
Spetaspeta? Gnanca t’avessi tuto pensà! Come ‘na metrica, un verso e te fussi corso via a stralunarte alto là in quela cuna a dindolarte ‘na scianta prima del sfarse del cielo!
Par vedarlo mejo. E metarlo in rima.
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Traduzione)
In morte di A.Z.
Strabica là una luna appena nata
appenappena fatta (o appena strega?) e a te
lei t’ha portato via: i fili tagliati nel farsi
della sua falce quarta, affilata dal vento
dalla pietra del tempo – lima/rima… Mah!
Nemmeno te ne fossi andato con una bugia,
un’altra poesia/grafia, una virgola,
un ciglio… Volato via come una foglia,
un pulviscolo astrale fino a là sopra! Peccato
nemmeno tu abbia aspettato la neve… Sarebbe stato
lieve il passo, il viaggio chiaro. Un foglio
nuovo tutto disteso tutto per te. Ah!
Faville di foglio posate sul mondo a fare
del mondo un foglio/a mondarlo/a calmarlo…
E tu là sopra a segnarlo, graffiando
(corsivo) le norme in orme in nome…
Ah… Come sarebbe stato bello! Ancora un poco
quaggiù, un filò (di seta): la A. La Zeta.
Aspettaspetta? Nemmeno tu avessi tutto
pensato! Come una metrica, un verso
e fossi corso via a stralunarti
alto là in quella culla a dondolarti
appena un attimo prima del disfarsi del cielo!
Per vederlo meglio. E metterlo in rima.
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