domenica 2 ottobre 2011

LA POESIA FRA LIRISMO E SPERIMENTAZIONE


Riprendo qui un intervento altrove occasionato da un cortese commento di Leopoldo Attolico: un poeta di valore, capace di conciliare lo sperimentalismo stilistico, brioso, a volte quasi beffardo, con la consistenza ontologica, rivelatrice, quasi sapienziale, della poesia. Scriveva, ad esempio, nella sua raccolta d'esordio, che la poesia è «una comunione con l’ultima ruga d’ombra nascosta / di una navata: la “sua” navata la poesia / effusiva e gelida; / tormentata da un’unghia d’angelo / che non è mai cresciuta». Insomma una parola capace di illuminare e di dire, di portare alla luce dell'espressione, la piega nascosta del reale, l'intercapedine indicibile ed inafferrabile in cui si nasconde il senso delle cose, come inafferrabili, quasi immateriali sono, nella natura, i costituenti minimi della materia.

Che cos'è la poesia pura? Che cos'è la lirica? E l'antilirica? Il lirismo e l'autonomia della letteratura escludono forse a priori la narrazione, la contaminazione, il riferimento al reale, la sperimentazione sitlistica? Certa poesia riduttivamente ed ostentatamente impura, indistinta da una prosa appena scandita e ritmata, si risolve in un minimalismo asfittico, senza luce e respiro.

Ma il minimalismo, nella misura in cui è poeticamente valido, è un minimalismo lirico. Guardiamo alla lirica greca: essa abbraccia Saffo, Alcmane, ma anche Archiloco: in ogni caso, lirismo come espressione autocosciente della soggettività creatrice, sia nella forma dell'idillio naturalistico che in quella dello sfogo violento, dell'invettiva, del realismo più crudo. La poesia o è pura e lirica, o non è poesia. Si rischia, certo, di tornare, in questo modo, a quella tautologia in cui in fondo finì per risolversi il crocianesimo (poesia e non-poesia: e certo banalizzo manualisticamente, per brevità, il pensiero di Croce).

Ma, piuttosto, l'idea è quella di avvicinarsi alla religio litterarum dei Vociani: che leggevano, con uno spirito non dissimile (sempre basato sul valore assoluto della parola come ricerca, mediazione, interiorizzazione trasfigurante e metamorfosante del dato esperienziale ed esistenziale), Dante e Petrarca, l'impuro e il puro, la molteplicità inesauribile dei registri stilistici e dei piani di realtà così come la sublime monotonia, il soavissimo mormorante monologion, del soggetto dolente e poetante. Su questa base si potrà forse superare la preconcetta, spesso pretestuosa o interessata, contrapposizione fra una poesia lirica, neo-simbolista o neo-ermetica, e una, invece, realistica, straniante deformante, violenta.

Vi è, a tratti, lirismo in Sanguineti, ed è forse il Sanguineti migliore e più duraturo ("ma vedi il fango che ci sta alle spalle, / e il sole in mezzo agli alberi, e i bambini che dormono: / i bambini / che sognano (che parlano, sognando); / (ma i bambini, li vedi, così inquieti); / (dormendo, i bambini); (sognando, adesso):": un lirismo sommesso, da berceuse, quasi pascoliano, pur permanendo la frammentazione sintattica, la versificazione basata sulle unità logiche più che sulle sillabe); e possono esserci realismo e asprezza in Luzi ("Muore ignominiosamente la repubblica. / Ignominiosamente la spiano / i suoi molti bastardi nei suoi ultimi tormenti. / Arrotano ignominiosamente il becco i corvi nella stanza accanto").

La poesia è poesia: ma, oggi (tanto sul versante sperimentale che su quello neo-simbolista), non più come intuizione lirica o come sintesi a priori, bensì, al contrario, come coscienza critica che il poeta ha del linguaggio e del proprio operare.


M. V.


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