Perché un poeta essenziale, melodioso, dalla cantabilità mozartiana, come te si occupa di uno scrittore per più risvolti ponderoso, greve e talora enfatico come Nievo, e in generale della letteratura garibaldina, tanto spesso retorica e stereotipata?
R-Perché Nievo è uno scrittore denso, stratificato, profondo e, nello stesso tempo, limpido, lineare (nei romanzi non è mai enfatico). Perché Nievo pratica consapevolmente il romanzo-saggio, unica vera possibilità per la narrativa moderna. Perché, come gli altri scrittori garibaldini, è stato costretto dalle scelte ideali all’aria aperta, all’incrocio dei linguaggi (l’Italia paese di molte culture e di molte lingue), all’antipurismo, all’uso dei cinque sensi in letteratura, ecc. ecc. Ma le mie fonti sono sempre molto più ampie, anche in questo caso particolare, dal Gattopardo a Guerra e Pace ai Demoni…
Uno dei tuoi punti di riferimento, come poeta, è certamente Sereni, che fuse con tanta efficacia lirismo e narrazione. Quanto c’è di poetico nella tua narrativa, e quanto di narrativo nella tua poesia?
R-Trasferisco le tonalità della poesia nelle modalità della narrativa. Anche raccontando, nella misura breve o lunga, per me trainante è la musica. Mi lascio trascinare dal ritmo. La mia “prosa” è poesia…
Il problema dell’identità linguistica e letteraria italiana è sempre vivo, a maggior ragione nell’odierno contesto, tanto spesso cerimonioso e roboante, delle celebrazioni dell’unità. Cosa significa, per te, essere un poeta e uno scrittore italiano, nell’odierno mondo postmoderno e globalizzato, che sembra aver fagocitato, confuso e annullato tutte le identità? Che senso può ancora avere, in quest’ottica, una letteratura tanto lontana dal nostro gusto e dalla nostra sensibilità come quella garibaldina? Avevano forse ragione i simbolisti a dire che la letteratura italiana sarà davvero tale proprio in quanto saprà essere europea, perché l’Italia stessa, pur con il suo cronico e proverbiale ritardo culturale, rispecchia a suo modo i tratti e i valori di una identità europea, se non universale? Del resto, anche il risorgimento italiano si collocava nell’alveo della “primavera dei popoli”, dello spirito quarantottesco, che abbracciava tutta l’Europa. E quali implicazioni può avere tutto ciò sul piano politico odierno, vista l’innegabile “anomalia italiana”?
R-Per uno come me, per il quale tutto è simbolo (si dice una cosa per intenderne un’altra), la letteratura garibaldina ha costituito un “correttivo” in presa diretta, poi rimeditata e universalizzata (le stesure prime dei garibaldini vengono poi riprese e riscritte infinite volte –proprio come faccio io per le mie cose-). Io faccio riferimento anche ai miei “luoghi” e “tempi”, culturali e storici, proprio perché tendo a traslitterare nell’universale. Scrivo “favole”, sempre, in versi e in prosa. E lo faccio da italiano che viene fuori da una dinamica intellettuale che passa attraverso ideali e utopie di unificazione culturale e linguistica, di ricerca di radici per non averne o per non esserne comunque condizionato. Indipendentemente dalle nostre anomalie attuali (politiche, culturali, sociali).
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