venerdì 15 ottobre 2010

POESIE DI GABRIELLA GAROFALO

Era, paradossalmente, proprio una delle più note scrittrici femministe a dar l'impressione di avvalorare, quando affermava che "una donna che scrive poesie e sa / di essere donna, non può che tenersi attaccata / stretta ai contenuti perché la sofisticazione / delle forme è una cosa che riguarda il potere", l'antico e non sempre fondato stereotipo che vedrebbe nella "poesia femminile" un'espressione quanto si vuole limpida, autentica, potente, ma priva del necessario spessore culturale e di un'adeguata coscienza stilistica. L'esatto contrario sembra avvenire nella migliore poesia femminile degli ultimi decenni - quella che cresce, perlopiù, nell'ombra della "stanza tutta per sé", lontana dalle luci mediatiche e dai clamori ideologici e propagandistici, ed è, proprio per questo, meditata, autocosciente, assorta, culturalmente e formalmente avveduta.
E' proprio il caso di Gabriella Garofalo, le cui sillabe cesellate, colme, risonanti, sicure, quasi predestinate - dietro le quali si intuisce, lontano eppure mai obliato presupposto, il paziente lavorio correttorio, il "lungo studio e 'l grande amore" che conducono alla studiata e sapiente impressione della naturalezza -, sono davvero simili a candidi, puri ciottoli immersi nel "torrente di silenzio" che li avvolge e li purifica.
E ad arginare in qualche modo, senza occultarlo, l'impulso affettivo ed extrarazionale che si manifesta come corrente elettrica ed emotiva, come fiotto di sangue caldo e tumultuoso, è l'autoallocuzione, già classica, alla propria anima, l'appello rivolto direttamente alla propria stessa coscienza esistenziale e letteraria, allo specchio limpido e fermo, finanche freddo e severo, dell'anima-ghiaccio che riflette e verifica (cioè rende vera ed autentica) se stessa, quasi come il "lac dur oublié" del mallarmeano Cygne. (M. V.)



13/07/’10

a M.


Spasimano perché il nido si ricolmi
di piccole pietre bianche, rami secchi,
foglie in sé riavvolte -

Cielo, ti sei mai chiesto
chi ridà vita a piccole pietre bianche
se le travolge corrente in silenzio
o pensi solo a schivare
nevrosi e nubi che t’imbrattano? -

cadono libri alberi comete,
il tuo segno, anima, aspetta:
finché sono tue luci pura impudenza
oltraggio al dio che insegue,
non gridino acqua e redenzione,
non serve -
meriti solo fuoco, hai rigettato inermi,
si fa terra bruciata se percorri -
in breve, di altre mani muova il cielo -
non certo per mano di una madre.


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09/96/’10

a M.


Non sono blu, un’occasione mancata?-

Guarda, sono soltanto fiori,
non c’entra in ansimi di creazione
il Padre se luce sborda invade
stronca peggio di un’accusa-
scherma vetri finestre, può servire,
farebbe proprio comodo la fine,
chiedi il suo desiderio -
ma guardano i muri guardano
con occhi che tu non possiedi:

Atropo braccia conserte a riposo,
l’aria sa di luce, anche i bambini -
anima, inverdichisce sole nel tuo sguardo.


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13/07/’10


a M.



Nessun problema, dicono, se perdi stanze,
se dentro ti scava nero si risveglia
mentre ti cade addosso il desiderio
a volte come roccia, a volte come foglia -
per fortuna muoiono alla svelta,
l’inverno i suoi giorni il suo tempo,
per questo li ami mentre vengono,
fermano, se ne vanno
insieme a piccoli furti,
espedienti di cielo per la sopravvivenza-
anima, che temerario progetto
sei per luce
costretta ad accettarli,
per luna se cerca di glissare
convinta che luce ti protegge,
ti nascondono nubi -
ma non è serata questa, ti ripeti,
solo strana vendetta del suo seme.


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09/01/’10


A B.

Elettricità nell’aria-
spavaldamente hai preso la sua luce-
ti arriva la mattina, lavora tutti i giorni,
orario di ufficio il suo,
vuole anima corpo grembo-
ma la città la città rimane
limbo di acquisti, svuotate parole
se stagliano nel cielo s’incontrano
tra antracite di nubi, pioggia-
forse nato di seme, forse padre
ti muove ti risponde il grembo,
ti rassicura, colora in blu lo specchio,
ha un certo fascino l’anima, ti sembra?-

Certo, ha fascino anche il ghiaccio.


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01/02/10


a B.



E’ musica, ripeti, muovere le dita
sull’albero sul corpo,
che c’entra la parola?

Pane di seconda scelta, mordono,
merce avariata, mordono -
aspetta -
fuori urge il desiderio,
ma si rivela inverno
persino più bastardo del tramonto-
e tu smetti tue arie, mia parola,
smetti pretendere risposte,
smetti l’albero il corpo,
corri a rovi, cespugli,
ramaglia e filo d’erba,
risposte che progetta in labirinto
la tua mente-
ha dignità e interesse persino il filo d’erba,
mia anima invalida a sentire.

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