Tera-Neter, o Netjer
I Proto-Geroglifici di Abydos, scoperti da Gunter Dreyer
The vehement and strict reaction, certainly not isolated, of Paul Oscar Kristeller, an exponent of the great and noble tradition of philological Humanism, to the theories formulated by Martin Bernal in Black Athena, reflects very clearly the oppositions and the difficulties still encountered by Classical Studies in comparison with the extra-European or Afro-Asiatic roots of the Greek and Roman world, origin of modern European identity.
In Black Athena the Egyptian ancestry of Greek civilization is enlightened in the same way as the Oriental, Babylonian and Akkadic influences upon the western classical culture were described by the great Giovanni Semerano, for a long time criticized.
According to a Semitic etymology, Europe derives from Erebos, “earth of sunset”; an earth where, after a long, painful and obscure period of repression, removal and oblivion, a thousand years of cultural and philosophical tradition, the most part of which got lost, came to find its extreme rest, and then to resurrect in a new and changed form - “into something rich and strange”, Shakespeare would say. This new form still veils the feeble traces and the subterranean echoes of the primeval origin, as appears in Aeschylus' Supplices or in Herodotean pages about Egypt.
As we have seen, Bernal has demonstrated the Egyptian origin of many keywords and basic concepts of the Greek civilization - among others, Athena, from Neith, hybris, psyché, mysterion, mythos. Before him, great African scholars and intellectuals, like Cheikh-Anta Diop and Théophile Obenga, had shown the genetic relationships of Ancient Egyptian with the African languages.
Ferg Somo, a mathematician and computer scientist, whose clear and consistent demonstrations are, in my opinion, very convincing, follows similar lines of research, investigating the Proto-Bantu roots of some Egyptian words which also influence Greek words. Moreover, sometimes they are similar to Indo-European roots, maybe because they derive from a Proto-Nostratic substratum.
These Proto-roots, both linguistic and ontological, involve some basic concepts, for example the idea of soul, ka for the Egyptians, connected with a root indicating the vital force, the hidden and inner fire - see Greek kaio, to burn, but also latin Caelum, the Sky, seat of the celestial flame. However, the Sun, Indo-European *saewel, Athon-Ra in the Egyptian world, still refers to the idea of vital flame and, because of lambdacism/rotacism and different results of the semivocalic sounds, also relates to a primeval solar deity El/Ra/Helios.
Abydos is the city where archeologists have found the tomb of Tera-Neter (the obscure pre-dynastic pharaoh who, in some ways, embodies the evolution from the Nubian and Ethiopian roots and the documented historical Egyptian identity) and the most ancient Proto-hieroglyphs.
These hieroglyphs reflect an archetypal dualism between the Mountain of Light and the Mountain of Darkness, which can be found later in Greek thinkers like Heraclitus. Abydos, throughout the etymological investigation, reveals its nature of place of burial, memory and regret, loss but also recollection.
The ideophone ta/da is connected with the idea of foundation, stability, strength, as it appears in Tellus, Damater/Demeter, but maybe also in Poseidon and in dama, the initiatic and cosmogonic secret ritual of the Dogon.
As a conclusion we can say that this is the abyssal, lost foundation of civilization and language, that the scholar has the difficult, almost heroic task of tracing and reconstructing.
(Matteo Veronesi)
La veemente e intransigente reazione (non certo isolata) di Paul Oskar Kristeller, vessillifero di un nobilissimo, anche se forse un poco attardato, umanesimo filologico, di fronte alle teorie esposte da Martin Bernal in Black Athena (opera nella quale vengono persuasivamente documentate le ascendenze egizie della civiltà greca, così come il grande, e largamente ostracizzato, Giovanni Semerano ne mostrò quelle orientali, semitiche, babilonesi ed accadiche), rivela con assoluta chiarezza le resistenze e le difficoltà che ancora incontra, nell'àmbito degli studi classici, ogni approccio contemplante il confronto (che in futuro non si potrà più eludere, e che anzi rappresenta una delle più decisive ed imperative sfide poste oggi agli studi antropologici e comparatistici) con le radici extraeuropee, in senso lato afroasiatiche, del mondo greco-romano, e dunque del crogiolo stesso da cui ebbe origine la tanto discussa, controversa e proteiforme identità europea, tanto da indurre a sospettare che, forse, il vero ritorno alle “radici dell'Europa” consista proprio nel suo confrontarsi con tradizioni culturali diverse, che però condividono le sue stesse remote origini, i suoi stessi stratificati, polifonici e sfaccettati substrati.
Europa, si potrebbe dire, precisamente come Erebos, come “terra del tramonto” secondo un etimo semitico: terra in cui, come la Fenice, una millenaria, e in parte già dispersa e svanita, tradizione culturale giunse, di eco in eco, di migrazione in migrazione, di repressione in repressione, di oltraggio in oltraggio, per trovare il suo estremo riposo, la sua ultimativa decantazione, e risorgere poi in nuove e mutate forme, sotto le quali si cela ancora (basti leggere le pagine erodotee sull'Egitto, o le Supplici di Eschilo) la traccia affiochita dell'origine prima.
Bernal ha dimostrato in modo inequivocabile l'ascendenza egizia di molti termini e concetti chiave della cultura greca: Athena (in accordo con la testimonianza, chiarissima, di Platone) da Ht Nt Ntr, “tempio sacro di Neith” (e qui si può pensare al latino aedes, tempio, ma anche, con aspirazione, all'Hestia, all'altare di fuoco dell'universo, delle cosmologie stoiche); hybris (l'oscura, eppure inspiegabilmente consapevole e voluta, “colpa” degli eroi tragici, e poi, in àmbito cristiano, il “peccato”), da wr ib, “cuore forte”, e per estensione “arrogante”; psyché troverebbe confermato il suo senso etimologico di “soffio vitale” in una forma *ps sw(y)t, che assomma ed agglutina le idee di ombra, spirito, aria, freschezza, soffio; mysterion (rito religioso, secreto, numinosum, essenza celata del Divino, ma anche tragedia, la quale forse – ipotesi accennata, fra gli altri, da Jean Fallot, e che andrebbe ulteriormente esplorata – trasse origine dai riti di rievocazione della morte e risurrezione di Osiris-Dioniso) da una radice afrosemitica (str) indicante il segreto, il mistero, l'infandum, ma che io farei derivare, per analogia con mythos e myo, da un mdwd sst, discorso oscuro, occulto, segreto, così come il mythos, da mdwd ntr, è discorso, parola sacra (mentre myo, tacere, deriverebbe da mdwd, discorso, parola: paradossalmente, parola silenziosa, inaudibile, interiore, qual è appunto quella della risonanza mistica).
Grandi intellettuali africani, poi, da Cheik Anta-Diop a Théophile Obenga, di cui in Europa perlopiù ignoriamo, vergognosamente, anche i nomi, hanno capillarmente dimostrato la parentela genetica dell'antico egizio con molte lingue africane, a loro volta derivanti, come l'egizio stesso, da un sostrato proto-africano.
Su questa linea di ricerca si inserisce il lavoro di Ferg Somo, matematico ed informatico per formazione, le cui esemplificazioni, lineari, limpide, coerenti e selettive, lasciano, mi sembra, poco spazio a dubbi. Esse investono concetti fondamentali: l'idea di anima, ka per gli egizi, legata ad una radice indicante il rogo, il fuoco interiore, la forza vitale (si pensi al greco kaio, ma anche al latino caelum, sede del fuoco celeste – anche se diversa è l'etimologia tradizionale –, e alla divinità etrusca dell'oltretomba Calu); ancora alla fiamma vitale rinvia il Sole, *saewel in indoeuropeo, Athon-Ra nel mondo egizio (credo si possa risalire ad un primordiale afrosemitico El/Ra, ammettendo, oltre al diverso esito della semivocale, una concorrenza di ladbacismo e rotacismo che corrisponde alla coesistenza dell'ideofono, /R/, evocante il rogo e la ripetizione ciclica con quello, /L/, del fluire, dello scorrere: insomma il dantesco «lume in forma di rivera», la “luce fluente” delle visioni mistiche).
E Abido, la città in cui il citato Fallot afferma di avere, per illuminazione, iniziato a “vedere”, e dunque a “pensare” (la città dalle cui profondità sono riemersi sia la tomba di Tera Neter, l'oscuro faraone predinastico che incarna il passaggio dalle perdute o rimosse radici etiopi alla civiltà egizia, sia i primi geroglifici, che anticipano di alcuni secoli la scrittura cuneiforme, e che oppongono la Montagna delle Tenebre e la Montagna del Sole, quasi a visualizzare un originario dualismo di chiarezza e oscurità, di vita e morte, mai sedato, anche se esorcizzato nella coincidentia oppositoroum, dal pensiero greco), rivela, attraverso lo scavo etimologico, la sua natura quasi foscoliana di luogo della sepoltura e insieme del ricordo e del rimpianto, della perdita e insieme della rievocazione, oltre a ricondurre ad un culto litolatrico, di venerazione delle rocce, che era ben radicato proprio nelle civiltà preistoriche sahariane.
L'ideofono ta/da (compatibile con sa per assibilazione) è legato all'idea della fondazione, della stabilità, della forza, del fondamento (così in Tellus, in Damater/Demeter – ma anche in Poseidon, originariamente divinità ctonia, incarnazione della fusione, o dell'originaria indistinzione, di acqua e terra) – e dama è, presso i Dogon (il popolo che più di ogni altro rispecchia l'originaria cultura africana, e che ispirò i capolavori antropologici di Griaule e di Leiris), danza iniziatica e cosmogonica, e insieme nekyia, descensus ad Inferos, rito di iniziazione, di simbolica morte-rinascita.
Ma forse, aggiungerei io, il nome egizio di Abido può essere etimologizzato in aba-djed, ovvero il proto-etimo universale (a)ba indicante la paternità, la matrice, l'origine, agglutinato a djed, la columna universi, lo scettro cosmico, la trave portante del tutto, l'axis mundi che congiunge cielo e terra. Fondamento della colonna, e/o colonna del fondamento; nodo primordiale, copula mundi.
Di tutto ciò (oltre che della comunione di vivi e morti, Athanatoi Thnetoi, Thnetoi Athanatoi, «immortali morti, morti immortali, che vivono la morte di quelli, che muoiono la vita di quelli», nelle parole enigmatiche di Eraclito) era forse sede e custodia la prima città sacra.
Ab è padre, ma anche allontanamento, distanza, separazione (greco apò, latino ab, da una stessa proto-radice): la stessa sfuggente, evanescente origine, la stessa spettrale sorgente, regrediente e dissolventesi ad infinitum, che tutti gli studi comparatistici cercano, in fondo, di ricomporre.
E (come intuì la cultura rinascimentale, dal Ficino al Tasso dei Dialoghi) i geroglifici rispecchiano proprio questa originaria unità nel loro fondere, avrebbe detto Pound, logopea, fanopea e idolopea, il valore iconico e quello fonosemantico, racchiudendo in modo assoluto un senso, o una molteplicità di sensi, da tempo perdutisi o frammentatisi nel nostro linguaggio strumentale, convenzionale, tecnicistico, lontanissimo dalle sorgenti, perso nel mare oscuro dell'”oblio dell'essere”.
Non per nulla, letteralmente, la superficie del mondo era “geroglifico” per Mallarmé come per Proust; e “geroglifico” da riportare alla luce e decifrare era, agli occhi di Freud, il subconscio.
(Matteo Veronesi)