Presento qui, credo per la prima volta per il lettore italiano, il lavoro di 
Jack Foley, poeta 
californiano vicino, dapprima, alla Beat 
Generation e ai movimenti d'avanguardia, eppure forte di una salda formazione accademica, e di una lucida e dotta coscienza letteraria: poeta e critico che, con la sua assidua attività, ha il merito, come osservò 
Lawrence Ferlinghetti, di tener viva e desta, “
articolandola”, la “coscienza poetica di San Francisco”.
Accanto a quattro testi poetici, di cui ho tentato una versione italiana certo segnata da una spessa patina di classicità (del resto, uno dei numi tutelari, dei maestri invocati, come 
baudelairiani phares, da 
Foley, è 
Hoelderlin), e che mostrano l'evoluzione da una maniera lirica e sognante, segnata dall'eredità surrealista e 
imagista, ad una forse più matura 
consapevolezza – attraverso la meditata 
sperimentazione- della materia poetica (che culmina forse in 
Lemon Balm, dove la sfrenata deriva associativa e l'immaginosa autonomia dei significanti sono comunque sorrette dall'antichissimo 
topos dello scrivere versi come scegliere ed intrecciare "fior da fiore"), riporto un testo teorico, il quale mostra come anche una coscienza poetica quanto mai moderna e d'avanguardia non possa ignorare, per fondarsi e chiarirsi a se stessa e ai lettori, la 
consapevolezza dell'antico, il quale, rappresenta, per così dire, lo specchio dell'
autocoscienza, il termine di parziale 
identificazione e di dialettico confronto attraverso cui il soggetto può tornare a se stesso e alla propria originale creazione con un accresciuto grado di 
consapevolezza critica e di spessore culturale.
La poesia e la poetica di 
Jack Foley sono illuminate, fra l'altro, da un prezioso ed imponente volume non ancora tradotto in Italia, O 
Powerful Western Star, 
Pantograph Press, 
Oakland 2000, nel quale l'importanza essenziale della performance, della lettura, dell'esecuzione del testo (a cui spesso il poeta si dedica) non va scissa, sulle orme del 
Mallarmé del 
Coup de 
dès, dall'analoga coscienza del rilievo centrale che la parola scritta, il testo, nella sua autonomia, nella sua specificità, nella sua aseità, nel suo assoluto valore, anche visivo e grafico, riveste – pur nel suo essere, per antonomasia, Libro dei morti, segno di per sé muto ed inerte.
Come Sant'Ambrogio immortalato da Agostino, nel sesto libro delle 
Confessiones, mentre è intento a leggere senza muovere le labbra, facendo risuonare le parole solo nel cavo silenzio dell'anima – o come 
Mallarmé che esita, teso ed angosciato, di fronte alla pagina bianca -, così il poeta 
contemporaneo scruta ed indaga il bianco, il vuoto, il silenzio, al pari dello scultore di fronte al blocco di marmo, per trarne le segrete risonanze, le virtualità celate nel profondo ed affidarle alla parola, al segno (forse destinati a giacere obliati per un tempo indefinito), o all'ascolto e alla memoria, per quanto sempre fallaci, all'aria e alle onde sonore che le inghiottono, le sfibrano e infine le disperdono nel vento, nell'attesa vaga di una possibile rinascita.
Ma, come dimostra, agli occhi di 
Foley (allievo di 
Paul De Man, e dunque incline ad una sottile ed 
intelligente decostruzione), il 
Keats di Ode sopra un'urna greca, a volte il silenzio-parola, la forma-vuoto, il segno-assenza possono condurre il poeta lungo strade 
imprevedibili, fare emergere significati nascosti e paure rimosse (prime fra tutte, il sesso e la morte). Nella poesia, a volte, può essere (in un modo che si direbbe 
lacaniano) il linguaggio a prendere coscienza di se stesso e dei propri universali, ma proprio per questo segreti e latenti, valori, anche oltre l'
individualità cosciente del poeta. Ed è, questo, un paradosso inquietante, soprattutto agli occhi di un poeta che fa della coscienza critico-teorica uno dei suoi punti essenziali, ma nel contempo ne evidenzia i sempre labili limiti (M. V.)
UPON LEAVING ATLANTIC CITY
(
romantic Atlantic City)
The 
mother-
sea exploded with a 
roarbefore we put the 
lights out 
and it vanished.
Not even the 
ladies marching on the 
boardwalkwere storm enough to pull us down;
we rode out the 
daylight, 
dreamingof drowsy islands where the water's 
calm.
Night 
was our harbor, 
when the 
midwife, love,
folded us in 
with its impossibilities,
fished out 
our pieces till the game made 
sense.
Sweetheart, 
forgive the 
liars and the 
foolswho shipped us to this place: 
they thought it best.
Sleep will bear 
you into gentler water
where painted characters of kings and castlesglitter like islands, 
and I 
will close your earsto the 
disarranged palaver of pawns and landlubbersLASCIANDO 
ATLANTIC CITY
La 
madremare esplose con un rombo
prima che noi spegnessimo le luci
e svanì. Nemmeno le signore
che camminavano sul lungomare
furono tempesta che potesse abbatterci;
superammo la luce del giorno, sognando
le sonnolente isole dove l'acqua è quieta.
La notte era il nostro porto, quando la levatrice, amore,
ci piegò su noi stessi con le sue 
impossibilità,
ripescò i nostri frammenti finché il gioco ebbe un senso.
Tesoro, perdona i mentitori e i folli
che ci spedirono in questo luogo: credevano fosse il meglio.
Il sonno ti 
deporrà su più docili acque
dove figure di re e di castelli
brillano come isole, e io chiuderò le tue orecchie
alla stonata storia di marinai e pedine.
*******
those masters of language whom we emulate
but cannot hope to equalthose masters who summon wor(l)
ds in 
wordswe listenbut can only—
there are 
thosewho think by 
oppositionwho are 
awakened only by the 
circumstance of contra-
dictionwe are 
not—
those masters of languagesummon wor(l)
dswhichresonateresoundso 
that experience isalive with random 
fragments seeking others—
fragments summoningnot unity but constant interactionpeaceis the 
reward of oppressive 
systems which hold imagination by the 
throatand murder wor(l)
dsQuei maestri del linguaggio che emuliamo
senza poter sperare di eguagliarli
quei maestri che ammassano 
mondiparole in parole
noi li ascoltiamo
senza poter far altro che ascoltarli -
ci sono quelli
che pensano per opposizioni
che si scuotono solo allo scoppio di un conflitto -
noi non siamo fra loro -
quei maestri del linguaggio
ammassano 
mondiparoleche
risuonano
echeggiano
così che vive l'esperienza
con frammenti casuali che cercano i loro fratelli -
frammenti che invocano
non unità ma costante interazione
pacificazioneè la ricompensa di sistemi oppressivi che tengono l'
immaginazione per la gola
e consumano l'assassinio dei 
mondiparole*******************************
FOR MARY-MARCIA 
CASOLYthose silent birds I 
gave youhave you listened?
those silent, metal 
birdscatch 
sunlight like sound
and flash 
it to your earswhich nonetheless hear nothingsilenceis a 
complex entitywhich these birds sing in 
deafening profusionsilence is the—
singsfrom their unmovingwingsPER 
MARY-MARCIA 
CASOLYquei silenziosi uccelli che ti ho donato
li hai ascoltati?
quei silenziosi, metallici uccelli
ghermiscono la luce del sole come il suono
e la riverberano fino alle tue orecchie
che non odono nulla
nondimeno
il silenzio
è un'entità complessa
che questi uccelli cantano in profusione assordante
il silenzio è il -
canta
dalle loro ali
immote
(
from Fragments)
*********************************
Mein Eigentum(
after Hölderlin)
the 
great gleams of Hölderlin's
lines (love the 
gods and think kindly of mortals)
move 
through my mindas I 
walkeast oakland's 
streetsin the 
gloriouscalifornia lightshining from the 
buildingsalong MacArthur Boulevardmy wife at my sidemy son 
laboring to complete
his book("
my" in 
this sensedoes not implypossessionany more 
than"
my god my god why have you forsaken me?"
implies possession:
this is the 
wifethis is the son
that pertains to me: 
mein eigentum, 
my concerns)
the spring day 
rests now in 
fullnesscherry blossoms falllike snowlight from the 
heavens softly filtersinsinuates itselfin 
everything we seebeglükt, 
wer, 
ruhig liebend ein frommes Weiba 
pious man 
witha 
pious wifeto what god do I 
owe my piety?
it is enough to love the 
sun(
those who've 
thought most deeply love 
what's 
most alive)
and yet:
the 
mortal soul 
that has never experienced darknessbarely exists"a soul 
will fade awayif it wanders only in 
daylighta 
pauper on 
holy Earth"
MacArthur Boulevardfull 
of historyand the 
history of warseems innocentin the 
sunlighteven "
fromme," 
pious .
in the 
joy with whichwe walkmorningsbefore the 
disastersof any day
before any godcan seize usand lift usinto the 
fierce heights of holinessO 
Golden Onelet my soul 
not longfor more 
than this life containsMein Eigentum
(dopo una lettura di Hölderlin)I vasti bagliori dei versi di 
Hölderlin(ama gli dei ed abbi
gentili pensieri sui mortali)
mi 
attraversano la mente
mentre cammino
per le strade di 
East Oaklandnella luce gloriosa della California
che stilla dai palazzi
lungo il 
MacArthur Boulevardmia moglie al fianco, mio figlio
che lavora per finire il suo libro
(mio in questo senso
non implica possesso
più di quanto mio dio mio dio
perché mi hai abbandonato
non implichi possesso:
questa è la moglie,
questo è il figlio
che mi 
appartengono:
mein eigentum, ciò
che mi è proprio)
il giorno di primavera giace ora in pienezza
cadono i fiori di ciliegio
come neve
dagli alti Eldoradi filtra
la luce lieve, penetra
in tutto ciò che vediamo
beglükt, 
wer, 
ruhig liebend ein frommes Weibun uomo devoto con una
devota moglie
a quale dio devo la mia devozione?
basta amare il sole
(per coloro che hanno pensato più 
profondamente l'amore
ciò che più d'ogni altra cosa è vivo)
e ancora l'anima mortale
che non ha mai avuto conoscenza delle tenebre
a malapena esiste
“un'anima svanirà
se si aggira soltanto nella luce del giorno
mendìca sulla Terra sacra”
Mac Arthur Boulevardpieno di storia
e storia di guerra
sembra innocente
nella luce del sole
e addirittura “
fromme”, devoto
nella gioia con cui camminiamo
le mattine prima dei disastri
di ogni giorno
prima che un dio
possa 
impadronirsi di noi
e sollevarci fino alle altezze fiere del Sacro -
O Aurea Creatura
fa' che non brami la mia anima
più di ciò che questa vita contiene
******
LEMON BALM
for L.Z.
conscious longing joint weed polygonaceous
jonquil fragrant yellow or white flowers
showing up in our yard as if by magic
joy stick juba lectionary
pasqueflower
musaceous murther murre myrrh
Muss-o-lini (the plumber named “Muss-o-lini Miles”:
“Just call me ‘Moose’”)
(O Princess Flower, most beautiful of)
Glory Bush
“I love your cock” absolute magnitude
Magnitogorsk desoxyribonucleic acid
desoxyribose Deo gratias coral Mayweed
jigger mortmain Morocco
otalgia O tempora! Papilionaceous
(O Princess Flower, most beautiful of)
press-room prest
And the golden Calif. Poppy
(anthology: a gathering of flowers)
papyrus hemidemisemiquaver
lemon balm
ERBA CEDRINA
per L. Z.
cosciente desiderio stretto a poligonacea erbaccia
fulva fragrante giunchiglia o fiori candidi
svettante nel nostro giardino come da un magico
gioia gambo cecchino lezionario
pulsatilla
musacea madremartire finocchiella
Muss-o-lini (l'idraulico soprannominato Mus-o-lini Miles:
"chiamatemi Moose, già che ci siete")
(Fiore-Principessa, di tutti il più bello)
Cespuglio Glorioso
"adoro la tua nerchia ritta come cresta"
magnificenza suprema
magnitogorchico acido desossiribonucleico
desossiribosio Deo Gratias erbadiprimavera
damerino manomorta Marocco
otite O tempora! Papilionaceo
(Fiore-Principessa, di tutti il più bello)
addetto stampa fatto con lo stampo
E Califfo Aureo. Papavero
(florilegio: corona di fiori)
papiro emidemisemitremito
erba cedrina
*****
From HAMLET, 
KEATS, 
AND LA 
CONSCIENCE DE 
SOI: A 
FEW CONSIDERATIONS OF A 
VAST TOPICDuring the 
nineteenth century, the figure 
of Hamlet underwent a 
shift from being the 
central character in 
one of Shakespeare’s 
most ambitious and exciting plays to being, far more 
than any of Shakespeare’s 
explicitly “
poet” 
characters, 
an emblem of the 
poet—“
lisant,” 
as Mallarmé put it, “
dans le 
Livre de lui-
même” (
reading in the 
Book of himself). 
What Hamlet represented to Mallarmé was man 
confronting his “
inner life.” 
He burns with what Wordsworth called “
that inward eye / 
Which is the 
bliss of solitude.”
I 
think the 
central issue of Romanticism is the 
issue Rousseau 
calls “
conscience de 
soi”: 
self consciousness. The 
poetry reaches far 
back into Christian modes of “
confession,” 
as in 
Saint Augustine, 
and attempts to find ways in 
which “
consciousness,” “
inwardness” 
can be 
brought to light. 
This poetry includes both the intense 
desire for self-
consciousness (
as in 
Wordsworth) 
and the 
fear of it (
as in 
Keats’ “Lamia”). 
What does selfhood taste 
like? 
How can one describe “soul”? 
There is also of course the 
demonic aspect of selfhood—
its manifestation as a 
powerful “underground,” 
as in 
Baudelaire or 
even Jack Kerouac (“the 
subterraneans”). 
One thinks of Coleridge’s 
Ancient Mariner, 
whose terrifying self-
awareness brings him to the 
anguished point of admitting his primal crime: “
With my crossbow / I 
shot the 
albatross.”
I 
agree with Paul de Man (a 
mentor of mine 
at Cornell) 
that “
What sets out 
as a 
claim to overcome Romanticism often turns out 
to be 
merely an expansion of our understanding of the 
movement” 
and that Modernism—
despite its frequent explicit rejection of Romanticism—
is in 
fact a 
thorough-
going example of it. In 
general Romanticism marks the 
shift from thinking of poetry as a “
craft” (
and of the 
poet as “
maker”) 
to thinking of it as a 
provoker of consciousness, 
even a 
creator of consciousness.
The 
fact is that Hamlet seems real 
not because he is a 
coherent character or “
self” or 
because there is some 
discoverable “
essence” 
to him but because he actively and amazingly inhabits so 
many diverse, 
interconnecting, 
potentially contradictory contexts. 
Implicitly promising to tell us all 
about the 
interesting “
individual” 
Hamlet, the play 
Hamlet ends by 
expressing the 
possibility that “
individuality” 
is in 
fact multiplicity. 
It is the 
plenitude of contexts in 
which Hamlet functions—i.e., 
his multiplicity—
that gives him density.
(...)
[In 
Keat's Ode 
to a 
Grecian urn], 
we are in some 
sort of vague 
version of idealism—some 
sort of conception in 
which the “
ideal” 
is to be 
preferred to the “real.” 
And the 
urn seems to express that idealism. 
Nothing is ever consummated—
we are 
still in the 
realm of the “
unravished bride”—
but, on the 
other hand, 
desire is never quenched. 
Such a state, 
Keats argues lightly, 
is better than a 
situation in 
which consummation occurs.
(...)
“
Death,” 
says Hamlet, “
is “the 
undiscovered country from whose bourn / No 
traveler returns.” 
Death has suddenly entered Keats’ 
poem: “
not a soul 
to tell / 
Why thou art desolate, 
can e’
er return.” The 
artificiality of the 
paradise Keats was trying to describe protects us against death. 
Yet that paradise utterly shatters against the 
actual presence 
of death in the 
poem—a presence 
which both we and Keats know 
to the 
bone and which is linked to sexual frustration, 
itself a 
kind of death.
To paraphrase Keats’ “Ode 
to a Nightingale,” the word “desolate” “
is like a bell / 
To toll me 
back from thee to my sole 
self”—
to the 
very mortality the 
poet has been trying to escape by 
writing the 
poem. “The 
fancy,” 
he complains in the Nightingale Ode, “
cannot cheat so 
well / 
As she is famed to do.” 
What began as simple description—
this is what is on the 
urn, 
it’s 
only a 
description—
has suddenly turned upon him and revealed the 
very sources which the 
poem existed to evade. 
Keats didn’t know 
why he was writing the 
poem, 
and the 
poem’s 
language is now telling him something about his own consciousness—
manifesting conscience de 
soi.
(…)
The idea 
of “
silence” 
is important in the 
poem. The 
urn is the “
foster child of silence”; 
Keats writes of “
unheard melodies”—
silent ones; the 
streets of the 
town “
for evermore / 
Will silent be”; 
there is “
not a soul 
to tell / 
Why thou art desolate.” In the 
last stanza the 
urn itself is called a “
silent form,” 
though in the 
concluding lines it “
speaks”: “
thou say’
st.” 
Perhaps the 
most telling phrase of the stanza 
is “
Cold Pastoral!” 
At this point the 
urn is almost a 
tombstone, 
something which extends beyond the 
life of the 
humans who constructed it and extends as well into the 
midst of “
other woe / 
Than ours.” 
If it is “a 
friend to man,” 
it is also cold, 
like stone, 
lacking human warmth.
(…)
Da AMLETO, 
KEATS E LA 
CONSCIENCE DE 
SOI: BREVI 
CONSIDERAZIONI SU UN VASTO ARGOMENTO
Nel corso del 
diciannovesimo secolo, la figura di Amleto passò dall'essere il personaggio principale di una delle più ambiziose e più 
entusiasmanti opere di Shakespeare all'essere, ben più di qualsiasi personaggio di Shakespeare 
espressamente “poeta”, un emblema del poeta stesso - “
lisant”, come affermava 
Mallarmé, “
dans le 
livre de lui-
même” (intento a leggere nel libro di se stesso”).Ciò che Amleto 
rappresentava agli occhi di 
Mallarmé era l'uomo che si confrontava con la propria “vita interiore”. Egli arde di ciò che 
Wordsworth chiamava “l'intimo sguardo / che è la delizia della solitudine”.
Credo che la questione centrale del 
romanticismo sia quella che Rousseau chiama “
conscience de 
soi”: 
autocoscienza. La poesia recupera, a ritroso, i modi cristiani della “confessione”, come in Sant'Agostino, e cerca le strade per riportare alla luce l'”interiorità” e la “coscienza”. Questa poesia racchiude sia l'intenso desiderio di 
autocoscienza (come in 
Wordsworth), sia la paura di essa (come in Lamia di 
Keats).
Qual è il sentore dell'
individualità? Come si può descrivere l'”anima”? C'è, ovviamente, anche l'aspetto demonico dell'
individualità – la sua 
manifestazione come un possente “sottosuolo“, come in 
Baudelaire o anche in 
Jack Kerouac (“i sotterranei”). Si pensa al Vecchio Marinaio di 
Coleridge, spinto dalla propria 
terrificante autoconsapevolezza fino al punto angoscioso di dover confessare il suo crimine capitale: “Con la mia balestra / Colpii l'albatro”.
Concordo con 
Paul De Man (uno de miei maestri alla 
Cornell University) che “ciò che si pone come un'intenzione di 
oltrepassare il 
Romanticismo si risolve spesso in un semplice ampliamento della nostra 
comprensione del movimento” - e che il Modernismo, nonostante il suo frequente, esplicito rifiuto del 
Romanticismo, è di fatto un perfetto esempio di esso. In generale, il 
Romanticismo segna il passaggio dal concepire la poesia come un'”arte” (e il poeta come “creatore”) al vedere nel poeta un 
sollecitatore di coscienza, o addirittura un creatore di coscienza.
Il fatto è che Amleto sembra reale non perché sia un personaggio o un “sé” coerente, o perché vi sia, in lui, una 
riconoscibile “essenza”, ma perché egli attivamente e 
meravigliosamente abita tanti diversi, comunicanti, 
potenzialmente conflittuali, contesti. Pur promettendo, 
implicitamente, di parlarci dell'”individuo” Amleto, il dramma Amleto finisce per esprimere la possibilità che l'
individualità sia, di fatto, 
molteplicità. È l'abbondanza di contesti in cui Amleto opera – ovvero la sua 
molteplicità – a 
conferirgli spessore.
(...)
[Nell'
Ode sopra un'urna greca], ci troviamo in una sorta di vaga forma di idealismo – una sorta di concezione in cui l'”ideale” è preferito al “reale”. E l'urna sembra esprimere quell'idealismo. Nulla è ancora consumato - siamo ancora nel reame della “sposa intatta” - ma, nel contempo, il desiderio non è mai quietato. Tale stato, 
Keats sottilmente suggerisce, è migliore di una situazione in cui la 
consumazione avvenga.
(…)
“La morte”, dice Amleto, è “l'inesplorata terra dal cui confine / Nessun viaggiatore torna indietro”. La morte ha 
improvvisamente fatto irruzione nella poesia di 
Keats: “Nemmeno un'anima potrà tornare per dire / Perché, o paese, così desolato tu sia”. L'
artificialità del paradiso che 
Keats stava cercando di descrivere ci protegge dalla morte. Ancora, quel paradiso 
improvvisamente irrompe contro la presenza della morte nella poesia – una presenza che sia noi che 
Keats conosciamo a fondo, e che è collegata alla 
frustrazione sessuale, essa stessa una forma di morte.
Per parafrasare l'Ode ad un usignolo di Keats, la parola “desolato” “è come una campana / che lugubre risuona e mi richiama / da te alla mia chiusa solitudine” - esattamente a quella stessa mortalità a cui il poeta ha cercato di sottrarsi scrivendo la poesia. “La fantasia”, egli lamenta nell'Ode a un usignolo, “non può ingannare così come / vuole la fama”. Ciò che è iniziato come semplice descrizione – questo è ciò che è sull'urna, una mera descrizione – si è improvvisamente rivoltato contro il poeta e ha rivelato le vere fonti che la poesia era finalizzata ad eludere. Keats non sapeva perché stesse scrivendo la poesia, e la lingua della poesia sta ora dicendo qualcosa sulla sua propria coscienza – manifestando conscience de soi”.
(...)
L'idea di “silenzio” è importante nella poesia. L'urna è “figlia adottiva del silenzio”; Keats scrive di “melodie non udite” - quelle silenziose; le strade della città “per sempre / nel silenzio immerse resteranno”; non c'è “una sola anima che potrà dire / Perché tu sei, paese, desolato”. Nell'ultima strofa l'urna stessa è chiamata “una forma silente”, sebbene nei versi conclusivi essa “parli”: “Tu dici”. Forse la frase più significativa della strofa è “Fredda Pastorale!” A questo punto, l'urna è quasi una pietra tombale, una cosa che si estende oltre la vita degli uomini che la costruirono e si estende, allo stesso, modo, nel mezzo di “lamenti altri / Dai nostri”. Se da un lato essa è “un'amica dell'uomo”, dall'altro è anche fredda, come pietra, priva di calore umano.