O, forse, la parola trova nel francese la via maestra per riavvicinarsi a quell'originario fondo di puro e nudo silenzio da cui essa sorge, e a cui forse essa tenta costantemente invano di tornare.
"Muta" diviene, in francese, "sans bruit"; e non posso non pensare al "bruit doux de la pluie" di Verlaine (che diverrà la dannunziana "pioggia che bruiva", la voce della Natura ad un soffio dal silenzio, sulla soglia dell'indistinto della Madre-materia originaria); e, quasi per pseudoetimologia, nel testo quel "bruit" si incatena, allitterativamente, a "brûle", "arda"; come se il suono vivesse e ardesse del proprio stesso estinguersi – fino a dissolversi nelle liquide e nelle sibilanti della chiusa ("qu’elle ait l’aveugle / force inépuisable de la faiblesse"), sospeso, quasi, sul Presque-Rien, sul Presque-Silence di Jankélévitch. (Matteo Veronesi)
La parola vuota
non dice il vuoto, non nomina il nulla –
risuona
cava e vana come il guscio
delle cicale ai venti
dell’autunno, trema
come la neve sul bronzo
delle campane immote, piange muta
come il marmo dei cimiteri di cui il tempo
ha fatto un solo candido deserto
Del vuoto abbia la mia
parola la pienezza
arda al nero fuoco
del non senso –
abbia la cieca
forza inesausta della debolezza
La parole vide
ne dit pas le vide, ne nomme pas le néant –
elle résonne
creuse et vaine comme l’enveloppe
des cigales aux souffles
de l’automne, tremble
comme la neige sur le bronze
des cloches immobiles, pleure sans bruit
comme le marbre des cimetières dont le temps
a fait un seul blanc désert
Que du vide ma
parole ait la plénitude
qu’elle brûle au feu noir
du non sens ——
qu’elle ait l’aveugle
force inépuisable de la faiblesse
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