Non ha bisogno di presentazioni, c’è il romanzo, c’è il film. Allora ci possiamo esimere facilmente dalla presentazione di Jurij Živago, uno dei personaggi piú amati della letteratura. Passiamo subito a queste Poesie che Pasternak attribuisce al suo personaggio. Si tratta di una maschera senza segreto, perché evidentemente sono testi di Pasternak, ma Pasternak crea un’interposta persona e non c’è l’ombra di alcun mistero. È una mediazione, e in un certo senso è una traduzione. Ed ecco la mediazione di una mediazione, o la traduzione di una traduzione: Paolo Ruffilli media e traduce queste Poesie. Il libro è La notte bianca. Le poesie di Živago (Biblioteca dei Leoni, Castelfranco Veneto 2016).
I versi di Pasternak riflettono una particolare spazialità, quella del paesaggio russo. Nel loro respiro, nel loro ritmo di parole e di immagini si sentono la vastità, il silenzio e l’immobilità delle foreste e delle steppe, la stasi millenaria della natura. Come ha cercato di rendere questa spazialità metrica, questa musicalità visiva nella sua traduzione?
R. Per immersione, per così dire, e non soltanto nel mondo di Parternak, visto che da alcuni anni sono appunto immerso nella dimensione della grande madre Russia attraverso la continua rilettura e la traduzione di Mandel’štam, dell’Achmatova, della Cvetaeva.
Nel caso di Pasternak, in particolare, mi sono dedicato a un approfondimento molto accurato, quasi pagina per pagina, del Dottor Živago.
«Nella più assoluta precisione dei dettagli, ogni elemento della realtà cessa subito di essere realistico per farsi luminosamente simbolico», lei scrive nella Introduzione. Pasternak poeta è erede del simbolismo molto più di quanto lo sia Mandel’štam, forse più vicino, quest’ultimo, all’esperienza della avanguardia. Lirico, musicale il primo tanto quanto il secondo è a volte frammentario e criptico. Discorsivo, sentimentale, effuso il primo tanto quanto il secondo è invece, spesso, angoloso, contratto, ellittico, cerebrale. Questa differenza, posto che anche lei la avverta, si riflette nel suo modo di tradurre?
R. Le differenze ci sono e le condivido con lei. È chiaro che, in ciascuno dei due casi, mi sono tenuto legato alle scelte espressive personali dell’autore, andando dietro al suo impulso creativo. Ma, pur essendo diversi, Mandel’štam e Pasternak hanno un consistente retroterra intellettuale comune e, proprio perché il loro è un esercizio istintivo del pensiero, la loro poesia ha un andamento fortemente musicale (come diceva un altro poeta intellettuale, Pessoa, la poesia è la partitura musicale del pensiero). La loro è comunque una musica diversa, più “tradizionale” quella di Mandel’štam, più “dodecafonica” quella di Pasternak. E, per ciascuno dei due, la cosa avviene “naturalmente”. Nel senso che per entrambi non valgono i dettami dei movimenti e le prese di posizione volontaristiche. Conta il fatto del loro enorme talento.
Pasternak scrive, nella sua traduzione: «La vita ha la durata di un istante, / solo un rapido dissolversi / di noi stessi in tutti gli altri, / come ci fossimo offerti loro in dono». Sta forse in questi versi il segreto dell’affinità elettiva che unisce la sua esperienza di poeta – particolarmente attento alle occasioni e alle rivelazioni fuggevoli del quotidiano, e pronto a fermarle nella musica fluida e perenne del verso – a quella di Pasternak che può averla indotta a tradurlo?
R. Ci sono ragioni profonde di coinvolgimento nella poesia di Pasternak, senza dubbio. In particolare quel suo sentire la storia come una trafila di circostanze ed occasioni quotidiane, rispetto alle quali si evidenziano le forzature e le violenze dell’altra Storia, quella con la lettera maiuscola.
Pasternak oppose una forma di lirismo puro, sentimentale, naturalistico a ogni forma di arte impegnata, con implicito rifiuto delle vie obbligate del realismo socialista, e dunque delle imposizioni che giungevano dal regime sovietico. Nella società di oggi, nella situazione odierna del poeta, questa recusatio, come nei poeti latini, questa implicita e sommessa rivendicazione di autonomia può ancora avere un qualche significato? O in questa era post-ideologica essa ha perso di valore? O forse, viceversa, nell’epoca della mercificazione e della massificazione anche e proprio questo lirismo puro, questa luce innocente di una natura ritrovata nella parola e nello sguardo, possono essere per la poesia una estrema – splendidamente ed eroicamente vana – forma di libertà, di significanza, di sopravvivenza?
R. Non c’è soluzione alternativa per la poesia se non nella chiave di libertà ed autonomia rispetto a qualsiasi tipo di imposizione (ideologica, politica, religiosa, sociologica…). Anche oggi, come sempre. Perché la poesia che conta è una pratica esoterica individuale, che tanto più può valere universalmente quanto più conta autenticamente nel personale e privato.
Domina la concezione del mondo di Pasternak «la convinzione che i legami tra i mortali sono immortali e che la vita è simbolica perché ha un significato». Libertà è anche questo per Pasternak, cioè essere intimamente cristiano?
R. Pasternak, come per altro anche Mandel’štam, nato ebreo si era fatto spontaneamente cristiano. Per la ragione fondamentale che l’ebraismo non gli lasciava quella libertà che invece trovava nel cristianesimo. Il discorso per cui, anche sul piano religioso, tutto resta sempre aperto e rimanda sempre ad altro. Nell’esperienza stessa della vita per cui da sempre, fin dalle origini dell’uomo, l’esistenza viene vissuta nei rimbalzi di significato. L’uomo è nato simbolista.
a cura di Elisabetta Brizio
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