domenica 24 gennaio 2016

Ester Monachino, “Dieci variazioni intorno ad una rosa”




Impossibile sarebbe cercare di riassumere (dal Roman de la Rose e dal controverso Fiore di un giovane Dante, dove la rosa è oggetto agognato di conoscenza ma anche, concretamente, quasi ferocemente, di desiderio carnale, alla luminosa sublimazione mistica della “candida rosa” del Paradiso, alla cosmica e insieme sensuale corrispondenza barocca tra “sole in terra” e “rosa in cielo”, microcosmo e macrocosmo - fino alla “rosa di nulla, rosa di nessuno” di Paul Celan, quasi condensazione ed emblema di una novecentesca ontologia del nulla e della nullificazione) i diversi, variati, quasi infiniti valori, le sfaccettate e contrastate risonanze, che la Rosa ha assunto nel corso dei secoli - quasi ribollente athanor, ricettacolo di luce e di mistero, depositaria del ciclo eterno di disfacimento, trasformazione, rinascita in altre forme.
Con una potenza di visione quasi ovidiana, da carmen perpetuum,
e con una facoltà d’immaginazione orfica e cosmologica che fa pensare ad Onofri (e che forse non è frequentissima nella nostra tradizione, appartenendo più ad un Milton o ad un Blake), la poetessa che ho il piacere d’introdurre intesse una finissima serie di variazioni, una delicatissima ghirlanda di ricami, non esornativi, ma sostanziali e rivelatori, intorno a questo archetipo assoluto.
In mirabile equilibrio fra il concreto e l’astratto, fra la levità dell’immagine lirica che si scioglie in musicale arcata sintattica e la secchezza aforistica della formulazione razionale, l’autrice coglie, insieme alla Rosa, nella Rosa, il luogo celato, l’hortus conclusus, l’”urna molle e segreta” in cui prende forma la Parola poetica: sorpresa nel momento ineffabile, indefinibile del suo stesso sorgere, del suo valicare il confine sottilissimo, sempre insidiato e prossimo a dissolversi, che separa il silenzio dal dire, l’ombra del non essere dalla luce dell’epifania (“Nessuna ombra si appoggia / alla tua Parola. Scrivi il mio Nome”: rito antichissimo e sempre nuovo della nominazione, del venire-alla-luce, del venire al mondo e al linguaggio, del prendere un nome in cui è racchiusa, magicamente, un’essenza).  
“Entrammo nella notte. La memoria / d'antiche stagioni, che ci dissero / "Due", s'impigliò nel fogliame / opaco dell'oblio”. La memoria, sorella del tempo, è perpetuamente insidiata dall’oblio. La dimenticanza è l’altra faccia del ricordo: l’una e l’altro vivono nel tempo, del tempo si nutrono. Mallarmé: “Nous promenions notre visage / (Nous fûmes deux, je le maintiens) / Sur maints charmes de paysage”.
Ma, infine, l’approdo ultimo è la suprema Unità. “Espanso il respiro. / Da Oriente vennero l’azzurro, / il viola, il fiordipesco, da bere. / E fummo Uno”. Neoplatonico ritorno all’Uno; unificazione, ricomposizione della duplicità, dell’alterità nella proiezione metafisica dell’Uno, che è altro e se stesso - e di cui la stessa parola poetica è, infine, emanazione. (M. V.)    


Da 99 petali e un sortilegio

I
Versi neonati nella sera tarda
della rinascenza. Di sangue
e latte, di profondo fiato,
senza erosioni, nelle parole
che declinano i battiti dell'Anima.
Una grande adunanza d'erbe
e d'angeli (quelli con ali
di petali Rosa): fermento
e nutrimento, lontani a dismisura
da un pensiero di dicotomie.
Senza trasgressioni fino alla rampa
alta della fronte. E oltre...

II
Eccoci qui. Risorgono le arance
e la polpa ha tutto il latte
dei nostri seni e il sangue
intriso nel rubino di Rosa
vergine di passione. Come
ricolma, il Sole Sorgivo, la valle
degli occhi maturi di canto...hortus conclusus

III
L'occhio di ciclope d'antico
metallaro è sigillo sul petto
della Rosa, lei, sapitora
di tizzoni ed oro fuso. E' libro
chiuso, nel non luogo dello sguardo,
ogni tempo parziale: coniuga
risposte avanti le domande.
Risponde con petali e arcani,
con saliva ardente, con nettare
e ambrosia del suo seno di porpora.
L'invoco e il sotterraneo
della palpebra accende la combustione
della pagina: la cenere è dondolio
d'amaca per il canto resurrettivo.

IV
Ti offro la verginità delle mie mani,
Rosa, nel tempo dell'Iniziazione.
In te stessa è il segreto, in te
è la cripta sacra dove la vita
ha iniziato se stessa togliendosi
ogni velo, sognando sogni sovrumani
ad occhi aperti e vivendo
dove è viva la Parola.
Quale fiamma ti diede corpo
quale aroma ti diede voce
quale vento giocò con vuoti
e pieni celando enigmi fra i petali
e sguainando lampi fra le spine?
Nessuna ombra si appoggia
alla tua Parola. Scrivi il mio Nome.

V
Sono salita a te come un canto
crescente da un lago di luce
argentina. La segreta carne sa
che l'ordito suo è Parola invisibile.
Così, freccio dritto al cuore.
Sei disceso a me sulla curva
d'un respiro, arpa di vento,
raggio con sguardo infante
che sa il mio essere petalo e ape.
Così, frecci dritto al cuore.
Scalinando, il non luogo s'infiamma:
è Bellezza e Amore quest'odore
di miele, d'ali, di magica Rosa.

VI
Entrammo nella notte. La memoria
d'antiche stagioni, che ci dissero
"Due", s'impigliò nel fogliame
opaco dell'oblio. Cercammo
le vene, il loro profumo di menta
a raccontarci i percorsi interiori.
La vivemmo, la notte, la sua luna
di latte, i sigilli delle spine
prima che Rosa ci salisse in cuore.
Tacemmo lo zodiaco. L’ardoreEspanso il respiro.
Da Oriente vennero l’azzurro,
il viola, il fiordipesco, da bere.
E fummo Uno
delle mani.


VII
C'è la costellazione della Rosa
fra le innumeri famiglie di lucori?
E' puntellato il notturno
del suo profumo? Ti cerco,
sacra venatura di fiammante
colore. Ti cerco tra sparse
ginocchia, tra le fessure
impercettibili delle visioni,
tra un respiro e un sogno.
Ti trovo. Sei oracolo e rogo,
Rosa, cosmologia tatuata
nell'abbraccio legislatore
di sortilegi e incanti.

VIII
Ho toccato con dita
un frammento del colore di Rosa:
per questo imploro l'impossibile...
Mie le carezze dell'aquila;
mio il ruggito delle stelle
in amore; mia la forza
delle anime che si fondono
mentre i corpi si amano
curvandosi come una curva
alata di colombi.
Mia la benedizione del ramo
che si spacca a ingemmare.

IX
Posso prometterti, Rosa, di portarti
un colore nuovo da quella grotta
segreta mio rifugio, mia sorgiva, mia
erbetta di Parola certa? Là,
niente pesa. Là, ulivi e girasoli
e il sangue dei frutti sono
tabernacolo incorporeo, lievissimo,
nel piumaggio palpito e batticuore,
precipizio e grande altura,
cominciamento. Colore nuovo.

X
Quaranta lune per il tuo sorriso
affiorato dal pozzo dei miei occhi.
Fra tutte le Ore create, questa
è l'incipit del Suono Nascente.
Ti traggo, novella Parola, dalla mia
tenerezza ed ho ancora le dita
intinte nell'oro, nel miele che arde
di pollini e corolle veritieri.
S'inchina Rosa, succo rubino,
innanzi alla tua Luce manifesta.

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