Pubblico,
sperando di ispirare e suscitare ulteriori interventi, il progetto di
ricerca di Giselda Pontesilli, con il quale questa piccola rivista
elettronica vorrebbe, negli esigui limiti entro i quali le è
possibile approcciare un disegno così vasto, inaugurare, o almeno
abbozzare, una riflessione intorno alla tanto sfaccettata e
proteiforme ‒
e forse mai come in quest'epoca altrettanto vaga ed insidiata, ma
proprio per questo feconda ‒
idea d'Europa, e di identità europea.
Provincia
ed Europa: un'antitesi solo apparente, se è vero che, per Kafka come
per Serra ‒ ma già, ad esempio, per Petrarca nella sua Vaucluse ‒
la provincia era una provincia europea, visitata e penetrata dalle
suggestioni, dai semi e dai fermenti di un moto e di un fervore
lontani e più vasti, e anzi insufflata, quasi, da uno spirito
profetico, da un alito antiveggente, da una prospettiva già aperta
sulla vastità del futuro; e che, a ben vedere, l'Europa è forse,
etimologicamente, come l'Erebo, ereb,
ombra, crepuscolo, tramonto, versante o repositorio in cui vengono a
spegnersi, a morire e a raccogliersi nel silenzio e nel riposo
dell'autocoscienza idee, correnti e aneliti giunti da lontano, e mai
del tutto cancellati, trasfigurati o sostituiti nella creazione e
nella fucina del nuovo spirito e della nuova identità (penso
all'influsso, oggi sempre più evidente, che la civiltà egizia
esercitò su quella greca, e poi, proprio attraverso fonti greche,
sull'ermetismo rinascimentale, o, più da vicino, al ruolo che la
cultura araba, e quella ebraica, giocarono nel medioevo europeo ‒
basti pensare all'influsso della lirica d'amore araba sulle origini
di quella provenzale e siculo-toscana, o all'impronta
dell'escatologia islamica, ma anche della mistica ebraica, su Dante,
o all'Elegia
giudeo-italiana,
o al fondamentale ruolo dell'averroismo nella filosofia fra Medioevo
e Rinascimento...) ‒ Europa, dunque, essa stessa come provincia,
non solo domina
gentium,
non «donna di province» ma provincia di province, fulcro e centro
nati dai bordi e dalle ceneri di fuochi antichi, di identità
antecedenti, che nell'athanor
dell'Europa si rifusero e risorsero più limpidi, trovarono dunque
una palingenesi, e insieme un inveramento: provincia di province
anche nel senso di un'unità che si rispecchia ed affiora nelle
manifestazioni particolari, e nella quale queste ultime trovano il
proprio fondamento e la propria dimensione.
Ed
Europa, nel senso del personalismo ‒ nel senso in cui Montale
scriveva, in francese, di essere «un personnaliste convaincu» ‒,
come varia
unitas,
come identità molteplice, come «persona di persone», come mosaico
di espressioni e di angolature intese sia a livello di comunità,
nazioni, lingue, dunque di identità collettive, sia, in certo modo,
sul piano dell'interiorità dell'individuo, di un'Europa, per così
dire, interiore (già Petrarca si sentiva «unus conflatus ex
pluribus»), che risuona con il suo intreccio e il suo concento di
voci e di eredità e di possibili aperture dentro ciascuno di noi,
in quanto homo
Europaeus.
In
questa luce, forse, si possono chiarire anche la tanto dibattuta
questione delle radici cristiane dell'Europa, il problema dell'Europa
come Christianitas
di cui parlava già Novalis: se è vero che solo il cristianesimo, e
non il mondo antico (eccezion fatta forse per certi aspetti della
civiltà ellenistica) pose le basi (poi, è vero, tanto spesso
disattese dalla Chiesa nei chiaroscuri della sua storia) per
l'abolizione della schiavitù, per la dignità della donna, e per
un'autentica democrazia senza distinzioni di nascita e di censo, è
altrettanto vero che l'identità europea può essere identità
cristiana soprattutto nella misura in cui quest'ultima venga
concepita non come esclusione, settarismo, integralismo o scontro di
civiltà, ma, al contrario, come universalismo: come venerazione del
«dio ignoto», come ipostasi universale e molteplice di Cristo
Figlio dell'Uomo, nella cui contemplazione, nel cui infinito
specchio, si scompongono e si fondono distinzioni ed opposizioni,
nella speranza e nella possibilità di una universale redenzione.
«Non
c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è
più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù»
(Galati,
3, 28). Forse, in tal senso, Montale è, accanto ad Eliot, poeta
europeo per eccellenza (e, in senso molto lato, anche poeta
cristiano):
Guarda
ancora
in
alto, Clizia, è la tua sorte, tu
che
il non mutato amor mutata serbi,
fino
a che il cieco sole che in te porti
si
abbàcini nell'Altro e si distrugga
in
Lui, per tutti. Forse le sirene, i rintocchi
che
salutano i mostri nella sera
della
loro tregenda, si confondono già
col
suono che slegato dal cielo, scende, vince -
col
respiro di un'alba che domani per tutti
si
riaffacci, bianca ma senz'ali
di
raccapriccio, ai greti arsi del sud...
(M.
V.)
Il mio studio su Adriano Olivetti vorrà mostrare come
il suo pensiero e la sua opera contribuiscano, in modo originale e
sostanziale, alla composizione di un contesto culturale -ancora in
via di formazione- che definirei, per ora,
neo-personalistico e che potrebbe concretamente
diventare
(per l'ampiezza dei pensatori che ne fanno parte e
grazie
al comprendere comune che proprio ora riappare),
il nuovo pensiero unificante d'Europa.
Un
orizzonte di pensiero unificante, l'Europa lo ha sempre avuto: è
accaduto dal Rinascimento carolingio al Romanticismo; non è più
accaduto nel '900, quando l'unità culturale d'Europa, che fino ad
allora aveva agito e resistito -malgrado le sopraggiunte divisioni
politiche- per tanti secoli, si lacerò catastroficamente, senza
più, fino a ora, ricostituirsi, a meno di voler considerare
unificante la sorda assenza di pensiero rappresentata da
economicismo, macchinismo, scientismo, nonché, in definitiva, da
tanti miti novecenteschi.
A
questo proposito, si vaglierà attentamente la fondamentale critica
alle opposte ideologie del '900 -considerate pericolose e
falsificanti proprio in quanto ideologie- espressa da vari pensatori
che lo studio si propone di comprendere e collegare, compreso
Adriano Olivetti, il cui lavoro è al riguardo specificamente
significativo.
Il
pensiero comune che verrà messo in luce si qualifica infatti
innanzitutto come non ideologico, come ontologico; esso quindi, in
quanto rinnovato discorso sull'Essere, è un nuovo paradigma, che
abbandona "d'un tratto" (come direbbe Kuhn) il paradigma
gnoseologico, soggettivistico e infine nichilista iniziato con l'età
moderna, così come la modernità aveva d'un tratto abbandonato, in
un rivoluzionario e terribile trapasso epocale, il paradigma
metafisico antico e medievale.
Tra
Ottocento e Novecento, questa rinnovata visione ontologica ha avuto
precursori e fondatori, in Occidente e in Oriente, con grandi e
tuttora poco noti pensatori, che già Olivetti, con le sue
precorritrici edizioni di "Comunità", aveva riconosciuto e
valorizzato, cercando al tempo stesso di farne comprendere il
necessario, ineludibile apporto alla realizzazione di un nuovo
spirito europeo.
Sarà
dunque individuato il possibile nuovo
"pensiero
comune europeo" a più livelli:
1)
la filosofia "accademica", che ne pone le indispensabili
premesse teoretiche e le basi speculative profonde, in un percorso
che va (per ora citare solo alcuni) da Dilthey ad Heidegger, Husserl,
Patočka
-e, in Italia, Emanuele Severino;
2)
il pensiero di filosofi indipendenti da scuole, o comunque estranei
alla filosofia pura (Simone Weil, Hannah Arendt, Maria Zambrano,
Edith Stein...) ma anche i cristiani ortodossi Berdjaev, Solovev,
Florenskij... e, in Francia, i personalisti cattolici -con
riferimento alla feconda stagione francese degli anni Trenta in cui
Berdjaev e Maritain animarono lo "studio franco-russo");
3)
il lavoro svolto in Italia (e non solo) negli anni '60 e '70 (ma
anche '80) in vari ambienti e cenacoli, dei quali ci si propone di
mostrare a posteriori le
sorprendenti affinità, come: il movimento olivettiano di "Comunità",
la comunità fenomenologica di Enzo Paci e dei suoi allievi (in
particolare Guido Davide Neri, scopritore e tuttora principale
studioso italiano di Patočka),
il movimento di pensiero europeista, l'ambiente
animato in vario modo da Cristina Campo, l'ambiente universitario
legato all'economista Federico Caffè ecc.);
4)
Il lavoro di singole personalità della cultura italiana, come lo
storico della musica Fedele d'Amico e il filosofo Rosario Assunto.
5)
Si farà inoltre ricorso:
α)
al lavoro di Giovanni Grandi "L'idea di
persona nel pensiero orientale" che raccoglie i contributi al
seminario svoltosi nel giugno 2000 presso l'Università di Trieste in
collaborazione con l'Istituto Internazionale J. Maritain;
β)
al
lavoro di Marco Barcaro "Patočka
e le filosofie della storia del Novecento -La domanda sul senso nei
Saggi eretici-" (tesi discussa nel 2010-2011 all'Università di
Padova).
Lo
studio si propone infine di delineare una possibile odierna comunità
culturale europea, con il collegare e valorizzare speculativamente i
vari fermenti che attualmente, da Oriente a Occidente, la
attraversano.