sabato 28 dicembre 2013

Giuseppe Feola, "Schegge"

Ho il piacere di pubblicare questi brevi e folgoranti testi di Giuseppe Feola, che fanno pensare alla poesia orientale (magari nella traduzione imagista di Pound, o in quella orfica del nostro Onofri), rivisitata attraverso l'analogismo ermetico (del resto, come ricordava il compianto Renato Turci con un'indicazione forse non abbastanza approfondita dalla critica, che altro sono I fiumi di Ungaretti se non una sequenza di haikai uniti dal sottile filo delle associazioni analogiche e delle transizioni memoriali?).
È sul piano fonosimbolico che le associazioni più sorprendenti trovano la loro giustificazione, come se la parola recuperasse la sua funzione di "esplicazione orfica della terra”, e come se la realtà stessa, parola in potenza, anelasse a farsi verbo. Si tratta, spesso, di nessi che associano, attraverso il valore delle consonanti (soprattutto delle liquide e delle rotanti), il piano del suono a quello della luce, immergendo l'uno e l'altro nella fluidità del divenire rappresa in emblematicità d'immagine. «Una scheggia precisa / di Sole / nell’acqua della sera: novilunio». «o- / dori che il Sole matura in pensieri». «Tre quarti / di opàle / in un limo di chiuso / bitume».
« Imiter le Chinois au coeur limpide et fin» (si potrebbe dire con Mallarmé), inseguendo sul filo sottile della parola e del verso l'indicibilità delle impressioni fuggitive, e la tersa oscurità dell'essenza irraggiungibile, cinta dal buio e dalle nubi del reale, di cui il cielo notturno è la torbida e lacerata allegoria. «I segnali del Mondo sono cose / dal fondo incandescente della Notte / esplose come luce in superficie». (M. V.)

 
1


Lampeggia
una spada alla cinta
d’una nube in cammino.


2


Una scheggia precisa
di Sole
nell’acqua della sera: novilunio.


3


La terra
rivolge
i percorsi dell’acqua
nel sole:
            o-
dori che il Sole matura in pensieri.

4


Nella foschia, sul fiume, la Luna
occidente: tre quarti
di opàle
in un limo di chiuso
bitume.

5


La nera
finestra
mezza sbarrata
del palazzo dell’ede-

re: la natura
riprende
il suo spazio.

6


Le strisce
dei pollini sulla strada le vie
del vento insospettate
rivelano.

7


Pietre rivolgono bocche alla luce
che cade: rughe
già dall’aratro del cielo scavate
di pioggia.

8


La città s’addormenta nella ruvida
coperta
del temporale:

l’abbraccio
a primavera bruno della notte.

9


Si accende
di verdi
fiammelle d’erba nuova
l’attrito delle pietre
al tremito
sopito del-
la primavera.
10


I segnali del Mondo sono cose
dal fondo incandescente della Notte
esplose come luce in superficie.

11


Le scale
di ruggine
del cielo

portano a un tetto
da cui si vede il mondo.

12


Le porte chiuse
allineate
nella città di notte:

il passaggio degli anni
nella mia vita
deserta.

13


I gabbiani insaziabili
affollano
il cielo: becchi,
bocche rosse di vita
spalancano,
gridano al Sole che vomita il giorno.

14


Antiche mura
si aprono al vivere
di erbe e di nidi.

Verde notte del seme:
spalanca al-
l’esistere
la natura il suo grembo.

15


Sotto le nuvole,
i corvi:
           lente
ronde percorrono
il cielo.

16


La Luna: il suo
sguardo lieve che interroga il
Sole, a chiedergli d’essere
mite alla Terra.

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