mercoledì 8 maggio 2013

Giselda Pontesilli , “Una poesia inedita di Gianfranco Draghi: Canto per la Patria (Terra)”

Italia, Italia,
non posso più gridare, e dire,
come ho osato a vent'anni, pensando alla tua bellezza
e al mio amore per te, dove
sono nato,
cuore dell'Europa,
decantando i luoghi vari dove sono vissuto,
ora in parte distrutti dalla speculazione,
dal sovraffollamento,
dall'inquinamento.
Ma ancora da salvare resta,
austeri edifici del Chianti, strade di Bologna e Firenze,
di Positano alcuni borri fragranti,
avevano osato, di me ben maggiori,
Petrarca, Leopardi, e molti altri
nel modo giusto o sbagliato
come se fosse un riferimento.

E' vero: che degli uomini di ferro
o di cuore, come Spinelli Bolis Albertini
o il vecchio Mansholt e Monnet, hanno tirato per i denti l'Europa
e qualcosa si è fatto: e loro
hanno 68 anni, e io 48
e bisogna prendere la fiaccola da loro
ciascuno al suo posto di lavoro.

Ho sentito un concerto di un chitarrista
Shawn Philiphs e gridava -America- disperatamente:
gridava -America- e ho pensato:
come McGovern, come Charles Reich, è giusto che ci creda,
hanno lo spazio reale di azione,
in cui muovere i loro sentimenti;
il fatto invece è, mio caro Luciano, che l'Italia è un granellino di sabbia che non
conta, un nulla,
un paese che nel mondo non cambia.
Ma cambia in Europa, ho sempre detto.
L'Europa però non c'è: è un embrione,
dopo trent'anni di battaglia,
fra cui la tua medaglia d'oro, Luciano,
presa a Genova, torturato fino a diventare un pallone
grosso di carne, dai fascisti;
mi riferisco al coraggio
del tuo granellino di sabbia,
al tuo resoconto, umile del tuo coraggio.
E' vero anche che ogni uomo non è niente,
più di un granellino di sabbia, un vuoto.

Se Dio non c'è noi siamo
dei rusignoli che cantano, al massimo, di primavera
come li sento ancora e ormai sembrano qualcosa di strano
nei dintorni di Firenze,
e questo talvolta mi strazia, ora ci penso
e cerco di capire, di fare.

Ma forse la trasformazione, Italia, Europa che più non chiamo,
è in questa differenziazione, accettare il dialetto, la lingua, lo scomparire,
evitare il criterio di potenza, America, Russia, Cina,
farci valere per una partecipazione, all'Orcio, in Costa San Giorgio,
nel quartiere dove siamo, perché
gente che ha bisogno di noi e noi di loro,
c'è anche qui. E c'è un bisogno di essere differenti,
di tradurre le formule in una vita,
dove ognuno sia né padrone né servo,
ognuno di noi ha bisogno di vivere la sua vita,
meglio che può,
qualsiasi significato essa abbia
cercando di avere le sue possibilità
di viverla, più riccamente possibile,
quando ho visto
la Certosa di Pavia le sue celle, misura perfetta di contemplazione,
ho pensato, attorno al ruotare del Chiostro, grandissimo,
quale spazio può bastare all'uomo per viverci;
se armonioso raccolto: c'è tutto: il pozzo, la
panchina, un quadrato, il giardino, tre stanze,
un camino,
e il Chiostro per passeggiare.
Mumford, Charles Reich, avete ragione. Carlo Iandelli, hai ragione.
Lo spazio aperto di vita è lo spazio di gioia.
Tutto si può buttare all'aria e si può ricreare.

A parte che manchi, l'accettazione dell'anima,
dalla parte istintiva inconscia,
perduta. Questo è un altro problema.
E' solo come misura possibile.
Se c'è il bello e il necessario coincide, si crea un equilibrio di vita.
Italia Italia,
mia Patria
mia Bologna e Toscana,
Venezia,
Terra mia Patria.

La comunicazione umana è quello
che ho cercato e che cerchiamo,
se ci manca,
e se manca l'intensità, il canto.
Come gli uccelli, non siamo, forse,
diversi da uccelli che cercano di cantare.

Essere insieme, nella vita, come uomini,
non come funzioni inesistenti, ma avere
un sentimento di pace comune, di gioia, di canto.
Siamo tutti una famiglia sulla Terra, ogni parte
deve essere per l'altra, partecipare,
siamo tutti sotto lo stesso cielo, che può distruggersi con il fumo,
sotto la stessa terra, che può diventare deserto,
o farsi ancora sollievo per i giorni di ciascuno,
solcando le stesse acque, limpide o sporche, azzurre o melmose,
e darci gli stessi frutti, pesci, pesche, animali.
Forse, come dicono gli scienziati, l'uomo
è rimasto troppo cacciatore, ha obliterato
il pastore in sé, che pazientemente matura le pelli, le capre, le tiene,
o l'agricoltore che aspetta l'aiuto del tempo.
Pure, la macchina-caccia possiamo accettarla
se ci aiuta e non distrugge -Via il rumore e la guerra- solo la Patria, nel
conflitto, vita e morte, è vitale.
Terra Terra
mia Patria.

Circa 1972

E' convincente e alto, il commosso pensiero di questo Canto, nel suo chiarirsi, svolgersi, precisarsi.
E lo è, ancor prima che nel contenuto, nel modo, nel tono: ha un suo tono non banale, non retorico, autentico; e questo è molto notevole visto il tema che tratta: infatti, un tema civile come la patria, può, oggi quasi inevitabilmente, non persuadere, comportare retorica.
Ma da che dipende, in generale, il tono?
Senz'altro -io credo- da chi pronuncia qualcosa, dalla qualità umana di chi pensa e scrive, per cui le stesse parole, dette non da lui ma da altri, risultano altre.
In definitiva, come ho già detto altrove, la parola è retorica, vana, se non si fonda sull'esperienza “reale” di ciò che si dice, se, per così dire, non è parola “espiata”, di chi si è conformato costantemente, coerentemente con quello che dice.
Quindi, quando leggiamo:

Italia, Italia,
non posso più gridare, e dire,
come ho osato a vent'anni, pensando alla tua bellezza
e al mio amore per te, dove
sono nato,

e queste parole suonano chiare, credibili, fanno concreto, possibile l'amor di patria, dobbiamo sapere che sono tali perché fondate: sulla credibilità, l'agire di chi le dice.
Qual è questo agire, qual è la qualità umana di Gianfranco Draghi?
I suoi estimatori lo hanno spesso definito “un umanista”.
Per esempio i critici Bertoni e Ruozzi lo descrivono come “figura e personalità di umanista contemporaneo”, come “uno degli ultimi umanisti a tutto tondo per storia personale, cultura, costanza d'impegno in diversi campi artistici”1;
e il compianto artista ed editore Daniele Oppi parla della sua “vita intera tutta intrecciata tra la passione civile e una creatività dilagante, pervasiva in ogni disciplina dell'arte”2;
ultimamente poi, la filosofa De Monticelli, in un suo scritto davvero illuminante, “La quadratura del cerchio”3, ci fa intendere come il contenere, il comprendere, da parte di Draghi, cose o autori che sembrano irriducibili, distanti (quali Simone Weil e Leon Battista Alberti) prefiguri una sorta di umanistica quadratura del cerchio, ampia, alta, senza macchia di arroganza o di hybris.
Anch'io trovo che la parola “umanista” sia adatta per Gianfranco Draghi e che anzi sia un suo grande merito farla sentire di nuovo viva, concreta.
Per me Draghi è un umanista per la sua vita rigorosa, affettuosa, non calcolata, non ceduta, non tecnica, non agiata; per il suo vivo, praticato, amore per l'artigianato, per il paesaggio, per il giardino, per l'architettura, per la terra;
per il suo pensiero, infine, pensiero di cui anche questo Canto è un centrale esempio.
Sì, perché in esso, nella sua logica, discorsiva continuità, nei suoi sobbalzi, precisazioni, risvolti, ripensamenti, di ogni cosa detta è resa anche l'estensione, l'approdo, l'Idea;
e la patria, così cantata, è a poco a poco pensata fino in fondo, dipanata, disciolta,
condotta fino ad accogliersi, a riconoscersi in una patria “celeste”, quasi, appunto, in una irreprensibile quadratura del cerchio, che è metànoia, riscatto di se stessa;
perché:
“evitare il criterio di potenza”; “accettare il dialetto, la lingua, lo scomparire”;
“essere differenti”; “tradurre le formule in una vita”; questa -ci dice Draghi- è, in fine, Patria.
E però, è innanzitutto l'Italia, questa patria, un'Italia “concreta”, invocata, acclamata in incipit, per la sua bellezza, compianta per i tanti suoi luoghi

“ora in parte distrutti dalla speculazione,
dal sovraffollamento,
dall'inquinamento.”

E molto pragmaticamente il poeta aggiunge che l'Italia è

“un paese che nel mondo non cambia.
Ma cambia in Europa, ho sempre detto.”

Sì, così ha sempre detto, Draghi, fin da giovanissimo, da ventenne, con Ernesto Rossi, Luciano Bolis, Altiero Spinelli, con un suo leggiadro, esemplare apologo: L'orso europeo: un “atto poetico” (lo definì Daniele Oppi 4), in cui, ancora una volta, la patria è guidata alla Patria, già nel pensiero, nell'intuizione in epigrafe:


...all'Europa
il più bel paese
d'Europa

Perché
“solo la Patria, nel conflitto, vita e morte, è vitale”.

Perché
“E' vero anche che ogni uomo non è niente,
[è] più di un granellino di sabbia, un vuoto”.

(G.P.)


1 Cfr. Gianfranco Draghi, Cinquant'anni di poesia, Antologia poetica a cura di Alberto Bertoni e Gino Ruozzi, Gedit Edizioni, Bologna, 2005, p. 9-10
2 Cfr. Gianfranco Draghi, L'orso europeo, con presentazione di Daniele Oppi, Raccolto Edizioni, Cascina del Guado, 2005 p. 6.
3 Cfr. http://www.anteremedizioni.it/files/file/Una_riflessione_di_Roberta_De_Monticelli.pdf
Lo scritto di Roberta De Monticelli si riferisce a: Gianfranco Draghi, Secondo la propria degnità -Leon Battista Alberti e Simone Weil, Raccolto Edizioni, Cascina del Guado, 2011, con interventi di Arturo Colombo, Filippo La Porta, Lucio Levi.
4 Cfr. G. Draghi, L'orso europeo, op. cit. p. 5

1 commento:

  1. Quando luccicano all'orizzonte le possibilità del paesaggio, sia esso marino, lacustre o terreste, pianura, montagna o collina, ci appare anche come cultura o possibilità del nostro vivere, oppure possibilità dello stesso elemento terrestre, della stessa vita che germina.
    Allora quello di cui c'è bisogno, in ogni fase della vita, sia degli individui che dei popoli, è questa piccola grande esaltazione di compiere qualcosa di inusitato, di nuovo, di speciale. Qualcosa che necessariamente sia utile alla pace e alla possibile o desiderabile, prosperità della terra.
    Ho pensato spesso a cosa è questo balordo e insensato uccidere gli altri credendo di diventare se stessi, cioè la guerra. Per noi giovani antifascisti degli anni '40 gli Stati Uniti d'Europa volevano dire non solo un balzo oltre la stupidità nazista fascista, ma anche la consapevolezza e userei un aggettivo apparentemente retorico, fremente, perché fremente e desideroso di vita, la consapevolezza dello sviluppo della storia dell'umanità, un bel compito insomma, che passa dai villaggi e dalle tribù che si uccidono reciprocamente a quelle che collaborano e salvaguardano la terra stessa. E qui penso anche, tanti anni dopo, al club di Roma, ovviamente a tutto il lavoro dei grandi federalisti come Spinelli, Albertini, Bolis, etc.
    Non dimentichiamoli i nostri fratelli o padri che ci hanno preceduto e il grande sforzo mentale che hanno dovuto avere, benché quest'idea dell'unità dell'Europa e del genere umano poi fosse tutt'uno con lo sviluppo storico del grande processo di libertà dell'uomo.
    Penso anche con tenerezza ad Alberto Savinio che parlò spesso di Unione Federale d'Europa, o penso anche ad un giovane tedesco che conobbi all'inizio della mia permanenza in Svizzera, nel 1943, antinazista, che mi lesse i primi versi di Rilke e che dovette partire pochi giorni dopo per la Germania, richiamato, sennò arrestavano i suoi genitori.
    In questo ribollire un'idea apparentemente fredda e politica, stava anche, ricordiamoci, un Benjamin Constant, insomma stava nel cuore di tutti gli uomini desiderosi di pace, in un brandello del mondo. E certo ha ben ragione Giselda Pontesilli, la fonetica, il canto, la canzone, la poesia, cioè la rispondenza fra noi e il fuori, è un culmine da non dimenticare e dobbiamo in ogni situazione umana e politica cercare questa adesione fra noi stessi e il sogno, fra l'impegno e la realtà. Quando i nostri antenati da Petrarca a Dante, a Manzoni e Foscolo, da Ippolito Nievo a Cristina Campo, luccicavano al fervore delle parole, perché queste parole erano tutt'uno col desiderio di libertà e di pace del loro cuore.
    E in questo senso potrei dire dobbiamo essere umanisti, cioè sentire il bisogno umano di fraternità, di solidarietà come essenziale, e in questo senso si possono amare e si devono amare insieme le fiabe, le storie dei bambini e per i bambini e le grandi e poderose e altrettanto terribili, possibilmente luminose, storie degli adulti.
    Qui penso anche ad un volumetto di storie che Laura Draghi, mia compagna per tanti anni, aveva scritto all'inizio degli anni Cinquanta, in un agolo luminoso del lago di Como, ricco della storia culturale e politica d'Italia, tra Urio e Moltrasio, di fronte alla villa di Cristina di Belgioioso, dall'altra parte del lago e faccio anche questa citazione, diciamo così, per la mia grande amica costruttrice di giardini, Marta Isnenghi che ha come me, del lago di Como, una visione così insieme storica e personale.
    Gianfranco Draghi

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