sabato 7 aprile 2012

Una poesia di Giselda Pontesilli

Ho il piacere di presentare questa poesia di Giselda Pontesilli: un testo la cui naturalezza, la cui fluidità, la cui oraziana difficillima facilitas derivano da “lungo studio e grande amore”, sono l'esito rastremato, levigato, rifinito di un lungo lavorio correttorio, che coincide con i ripensamenti, le oscillazioni, le vibrazioni di un'esperienza di vita e di pensiero sempre mutevole, eppure sempre tesa su di una stessa, costante corda intonata ed improntata sempre alla ricerca di un'immersione dell'io lirico entro «la calda vita di tutti gli uomini di tutti giorni», di una pulsazione in accordo con l'”essere insieme”, l'”andare insieme”, per citare Serra lettore di Claudel e di Péguy, o con la betocchiana “opera comune”, con la luziana “opera del mondo”.

Il poeta entra nel mondo senza uscire dalla poesia; esce da se stesso senza uscirne, perché nell'altro-da-sé, nel confronto con l'altro-da-sé e nel ritorno a se stesso, trova un se stesso più vero e più puro, una parola più limpida proprio perché passata, come nel Dante del De vulgari eloquio, attraverso il lavacro purificatore dello studio, il magistero dei poetae regulati che parlavano una lingua pura ed eletta proprio perché ne avevano, per metamorfosi alchemica, lavato via ogni scoria, e avevano così ritrovato un volgare illustre, cioè una lingua comune, condivisa, eppure luminosa, tersa, limpida.

Ma vi è anche, in questi versi, l'idea, il motivo fonosimbolico del ritorno (esemplificato dall'ideofono /OR/, dintorni-ritorni-stormi-borghi, più volte reiterato: Horus, Horae, oros, il dio della sapienza e del tempo, l'occhio che tutto vede, e le dee che del tempo incarnavano partizioni, pulsazioni, battiti, divisioni, scansioni, e infine il limite, il margine, il confine, il cerchio sacro dell'oikos, della domus, il giro che apre e chiude, che definisce e circoscrive, lo spazio proprio dell'io e il suo relazionarsi con l'Aperto ‒ ma anche oros come monte, come limite delle possibilità umane, come linea oltre la quale lo sguardo naufraga nell'azzurro); e quello del volo, e insieme della fluidità, della corrente, e della luce (illegali-vitali).

Questo riaffiorare, questo tornare alla luce dei valori primigeni, prelogici e prelessicali, della lingua è forse, insieme, voluto e non voluto o non voluto proprio perché voluto, inscritto in una naturalezza originaria ritrovata per via di studio, di ricerca, di riscrittura, di lavorio di lima.

Lenti-tempi-redenti: la redenzione passa attraverso l'idea dell'antea, dell'antico, di ciò che è prima ma anche contro ‒ non nel senso avanguardistico di una distruzione, di un'opposizione dialettica al passato, ma piuttosto in quello di un recupero delle radici trasfigurate, riplasmate, e perciò rendente: eterno ritorno dell'uguale, ma insieme variazione nella ripetizione, ripetizione di forme e di motivi: come nella musica, nella poesia, nell'arte, nella storia, sotto il segno e la guida di quella métrique absolue, come la chiamava Mallarmé, che non è, in fondo, se non la rilettura moderna della

storia ideal eterna di cui parlava il massimo dei filosofi italiani.


(M. V.)



RITORNERANNO


Devo descrivere ora -come posso- qualcosa

che sta accadendo qui, nei dintorni:

sono ritorni,

ma non di stagioni, nuvole, stormi...

uomini vivi, tornano! case: non

sparse:

sperse, isolate

ma case che formano borghi,

abusivi a volte, illegali

ma vivi, vitali.



E' dall'impresa, l'iniziativa

dei padri -io vedo- che prendono vita:

la casa per il figlio, per la figlia

che giovanissima ha già famiglia

se la fanno da sé, senza pari

attaccata alla propria, o,

un po' nascosta

nel loro stesso lotto,

nell'orto, in giardino.


Così staranno vicino, padri e zii

parenti, amici.

Vicini, ma nello stesso tempo

-questo è l'intento-

ognuno a casa sua” “indipendenti”:

i lunghi inverni passeranno prima

se a pochi passi c'è la tua casa di prima.


I lunghi inverni: ritorneranno:

liberi, lenti

e a poco a poco

torneranno tempi

popolati,

redenti.

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