sabato 31 ottobre 2009

UN APPUNTO SU SCIENZA E FEDE

Se la teologia non fosse (come vorrebbero i new atheists, sulla base di argomentazioni non diverse da quelle del vecchio sensismo materialistico, o di certo un po' rozzo monismo e riduzionismo materialistico ed evoluzionistico) altro che un cumulo di vaneggiamenti di fanatici, allora si dovrebbe annoverare in questa categoria anche la prova matematica dell'esistenza di Dio data da Goedel, il quale altro non faceva che articolare nei termini della logica matematica l'argomento ontologico di Sant'Anselmo; ed era, del resto, proprio Goedel, con il suo teorema dell'incompletezza, a mettere in dubbio anche l'assoluta certezza dei fondamenti della matematica (il principio di indeterminazione di Heisenberg fa lo stesso nella fisica).

Certo, la dimostrazione di Goedel è stata confutata; ma si potrebbero forse confutare anche le confutazioni. Difficile chiedere alla teologia certezze assolute ed oggettive che a volte nemmeno la matematica e la fisica (le quali hanno a che fare non con la trascendenza, ma con la realtà materiale e le entità concettuali) sono in grado di dare.

Del resto, credenti erano Keplero, Newton (basta leggere i suoi manoscritti postumi, ma già lo Scholium generale dei Principia mathematica), Galileo (che nelle Lettere copernicane si avvale di concetti teologici e dell'interpretazione allegorica, non letterale, delle Scritture, anch'essa radicata nella tradizione teologica), lo stesso Einstein (che certo non credeva nel dio trascendente, ma in quello del panteismo spinoziano, eppure diceva che "Dio non gioca a dadi con l'universo" enunciando il suo scetticismo circa la fisica quantistica, e che "sottile è il Signore, ma non malizioso", evocando, consapevolmente o meno, un concetto teologico, quello della subtilitas, dell'inafferrabilità e della latenza proprie dello spirito vitale che pervade il cosmo - dell'"etere", concetto ottocentesco tornato in auge in alcune odierne teorie cosmologiche).

D'altro canto, esiste un "argomento entropico" dell'esistenza di Dio, che si fonda su concetti della fisica (solo una forza trascendente ed inteligente può trattenere l'universo dal precipitare nel caos, nell'indistinzione della mera materia dissolta in energia con una continua dispersione); né priva di implicazioni teologiche è la condizione t=0 della "singolarità" da cui si sprigionò (o si sarebbe sprigionato) il Big Bang, la quale confermerebbe la visione agostiniana di un tempo che ha avuto origine con la creazione, preceduta dall'assoluto ed immobile nulla.

Io credo che quello dell'inconciliabilità totale fra scienza e fede sia un pregiudizio come tanti altri; basta consultare il Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede (www.disf.it) per rendersene conto. Molti scienziati si dichiarano atei solo perché danno per scontato che uno scienziato debba per forza essere tale, e non si pongono nemmeno il problema.

Nessuno di noi ha mai visto dio, certo, se non interiormente e metaforicamente. Ma neppure un fisico può avere percezione ed esperienza dirette dell'universo "finito ma illimitato", del continuum spazio-temporale - ma nemmeno, a livello dei processi microscopici, determinare nello stesso momento posizione e velocità di un elettrone, se non alterando l'oggetto stesso dell'osservazione.

Galileo, oltre che alle "sensate esperienze", ricorreva anche alle "necessarie dimostrazioni", esclusivamente mentali, non dissimili, nella forma e nella struttura, da quelle teologiche (fra i suoi maestri al Collegio Romano c'erano stati, del resto, teologi insigni, come quel Domingo de Soto che intuiva e precorreva alcuni aspetti del principio di inerzia e del calcolo infinitesimale).
Paradossalmente, quando Galileo cerca di dimostrare l'eliocentrismo con un argomento tratto dall'esperienza fenomenica, sbaglia, attribuendo la causa delle maree al moto terrestre.

Insomma la questione è complessa, e forse destinata a restare senza soluzione definitiva. Eppure, porsela è una delle più affascinanti e decisive sfide del pensiero umano.

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