Artaud
Artaud ci riconobbe molto prima
noi due nati con spirito cavo in cui
s'insinua il cosmo in spasmi di parole
taglienti come lame pure come
lune, affilati accenti come punte
di una biro. Le parole arrivano
alle mani. Diritte, e molto prima
che alla voce: sudore che saliva
e s'inchiostra a segnare e incide.
E io che vorrei urlare quanto ti sono
affine resto muta a contenerti:
tutto. Tu che sei tutto intorno e
interno
in questa sera liquida di cera
colata giu' lungo il mio stelo.
Iris
“Forse
del vero
Esiste un
punto dove il sogno passa
Al nostro
cielo, nudo di mistero”
(A.
Caramella, Scissura Sagittale da Murales Lunares)
Sale. Il giorno scioglie i
nodi ai capelli
ai tuoi rosari, Iris.
Di-sfà i cristalli
sgela a saliva e ti ci
bagni il dito.
Lo porti alle labbra e
bevi. E’ piovuto
ieri. E’ nato tuo
figlio. Ha un diamante
a fine del ciglio. E
dentro un istante
di perfetta compassione.
Un tutt’uno
(a pelle a pelle a ventre
a labbra a seno),
d’unione. Come se rive,
brandelli,
derive… Se avessero
soluzione
in un punto, un ponte
arca-arcobaleno
d’assoluzione che è lì!
Nel compiuto
e primo nominarsi d’occhi
e tocchi
latte e sale a solvere il
male. In niente.
La ragione
(sonetto discutibile)
E' un Ottobre che inoltra e il sole
cala
prima dietro le facciate. Mi scalda
ancora e all'improvviso me ne accorgo
colta fra vasi e foglia, sovraesposta.
Il paragone urgente è doloroso
com'è la solitudine dei nidi
lasciati grigi a farsi pietre sotto
gli angoli spioventi di coperture
disabili ai tormenti torrentizi
delle maldicenze. Penoso come
la ragione -per cui esistono cose-
e ad esistere insisto anch'io! Oppure
no:
nemmeno il dolore nientediniente
oltre
al cavo del nido, al maledetto nodo
in gola, al dono di
rassegnazione.
La speranza dei soffioni
(Aereosonetto)
“Lenta l’armonia dei grilli
tenta i cieli opachi”
(N.
Gelamonte, “Notte Estiva”da Vento dell’Orsa)
Sublime la speranza dei
soffioni
nelle eroiche dispersioni
dei semi
sui campi, i lampi
semantici estremi
di lucciole al bivio /
delle opinioni
derise dai bravi (gli
ignavi) e assenti.
Sublimi i perdenti in
partenza. Eppure
partiti, l’audacia delle
radure
nel folto, i vuoti
inattesi-insolenti
di memoria, il maltolto:
da aquiloni
a dito (il filo sfinito
che stenti
a vedere ma tieni), le
abrasioni
sulle mani (ci entra il
mondo) che tremi:
paure per cui ti sublimi,
fessure,
fondo. Lì germina il
grano. In diademi.
Sonetto dei sorrisi
(falsonetto capovolto)
“Voi che di me il contrario di me fate”
(Giovanni
Giudici,da “Salutz”)
Io so fingerli. Ne ho di smaglianti
e candidi che non si direbbe mai.
So stenderli al sole a rassicurarti
puliti come lenzuoli. Ti ci puoi
sdraiare senza togliere le scarpe
né informarti se siano asciutti o
umidi:
le superfici o le trame o gli angoli
degli occhi... So anche sollevarli:
miti
all'invito degli zigomi, adatti
all'espressione che ho imparato che
vuoi
ch'io indossi come fosse naturale.
Di alcuni autentici ti sei scordato.
Peccato fossero i miei preferiti:
schiusi come fiori nelle tue mani.
Mezzamela
A sera ricomponimi la parte
che esce con te al mattino dopo il
bacio.
Il giorno intero è un allungarsi
d'arti
a cercare le tue mani. Combacio io
perfettamente liscia a te, aderente
alla superficie. Inumidiscimi
e riempi: bocca di labbra. La fronte
nel cavo fra i seni. Colma, chiudimi.
E salda: le tue crepe coi miei fili.
Ho trame supine per te. Le intreccio
alle vertigini che hai. La tela
che si forma è un frutto: una
mezzamela
esatta. L'una è la metà di niente
sola. Tu fondile. In unica polpa.
La Dolente
La chiamavano Dolente.
Abitava
in argine al canale. Aveva
bianche
le mani, banale il giorno.
Impastava
reale e sogno (al bisogno)
ad ampie branche.
Ne faceva pane. E il fosso
fragrava
in torrente e le anse in
ansie ed in schinche
e rapide, e il mare in
male (Ah! Volveva…)
E si doleva lei. (E un po’
godeva, anche…)
Povera lei, dolorosa… Al
confine
piantava all’alba una
rosa. Ogni sera
la coglieva… Un pianto…
(Come di spine
tra le dita: un senso alla
vita e un fine
denso lento colava….)
Unica e vera
gioia è il lamento. (In
chi alla noia è incline.)