domenica 21 ottobre 2012

Postludio ad "Hexapla"



Hexapla furono dette, a partire dalla tarda antichità, le Bibbie che riportavano il testo in sei diverse versioni, in diverse lingue. Su una di queste Bibbie che mostravano, quasi visualizzavano, la vitalità molteplice, magari contraddittoria, di un testo, anzi del Testo per eccellenza, nel prisma delle diverse interpretazioni, trasposizioni, metamorfosi – Giacomo Leopardi apprenderà, nella solitudine della biblioteca paterna, il greco e l'ebraico a partire dal latino. 
 
La Sizigia è, invece, una diade inscindibile, una coppia di elementi che si esplicano e si illuminano e si integrano e si intersecano vicendevolmente, una duplicità scaturente da un'unità, che in quella duplicità non si annulla, ma si compie e si conferma.

Dualità, e dunque germe ed etimo ed accenno della molteplicità, nell'unità – nell'eguale e nel diverso, nel regolare e nell'anomalo, nel pari e nel dispari, tanto più che l'hexaplum sottende la disparità del tre, primo gnomone, numero perfetto che in esso è racchiuso attraverso la mediazione della diade, ed invoca l'esito dell'Heptaplus, del settimo giorno in cui la creazione giunge a compimento, e l'interpretazione della Parola originaria nella materia e nel vivente si fa nuovo testo da interpretare, nuovo fenomeno da scrutare – è ciò che questo libro (il quale riunisce studi di Elisabetta Brizio e di Matteo Veronesi) vorrebbe racchiudere.

Libro in cui, su di un comune fondo ontologico, su di un comune substratum materiato di Essere, o Nullla, e Linguaggio, tra Fenomenologia, Esistenzialismo e Decostruzione, si alternano traduzioni, commenti, recensioni, osservazioni sull'attualità culturale e indagini erudite su aspetti meno noti, apparentemente marginali, della tradizione letteraria occidentale, fin dai suoi archetipi in senso lato classico-cristiani, sacri e profani, o addirittura decisamente pagani – e dunque fin dal principio duali, e insieme identitari. 
 
Ma, a ben vedere, fra l'atto della traduzione, quello dell'interpretazione, e quello della scrittura, del passaggio dal silenzio musicale del pensiero al muto suono del segno lasciato sulla pagina, vi è una distinzione più esteriore che sostanziale, più di tempi o di gradi che di natura ed essenza. 
 
Tutto è traduzione, tutto è transizione e metamorfosi, poiché sia l'interpretazione del proprio pensiero prima di metterlo in carta, sia del testo altrui per interpretarlo, commentarlo o trasporlo in altra lingua, sia, infine, la rilettura del proprio pensiero sulla propria pagina – e dunque del sé come altro, quasi del proprio viso su uno specchio ricoperto di neri segni, fino al ritorno del pensiero in sé e su di sé dopo essere uscito, ek-staticamente, da se stesso –, e la trasmutazione della percezione in concetto, del pensiero primario in pensiero riflesso, della coscienza in autocoscienza – tutto ciò, dicevamo, comporta un passaggio, una trasmigrazione, una traslazione di codici, forme, situazioni, attitudini. 
 
Traduzione, o, come si usa dire in certi gerghi odierni, “riverbalizzazione” del pensiero e della parola altrui, è, a ben vedere, anche l'intervista, genere letterario (vero e proprio “genere”, rimontante forse al dialogo platonico, e poi al con-filosofare dei Romantici tedeschi – per arrivare fino alle inchieste letterarie tardo-ottocentesche di Huret in Francia e di Ojetti in Italia, alle interviste ai poeti di Ferdinando Camon, o a piccoli gioielli di autoesegesi come l'Intervista immaginaria di Montale, o, ancora, ai libri-intervista di Luzi) che in casi come questo, quando cioè non sia effimera e superficiale registrazione, o addirittura non travisi tendenziosamente il pensiero dell'interlocutore, diviene preziosissima testimonianza culturale – pur restando, anzi pur continuando a danzare, proprio perché tale, sempre sul crinale del possibile, fecondissimo travisamento che apre, fra le pieghe del dialogo stesso, nei silenzi fra domanda e risposta, nelle illuminazioni e nelle reticenze della risposta stessa, voragini oscure e risonanti di significati. 
 
Tutto è traduzione. E perciò tutto, forse, è tradimento. E tutto disfacimento e tramonto. “Traslare” il senso come “traslare” le spoglie: spolia, prede tolte al nemico, e dunque “vittoria”, ma anche “oggetto di spoliazione”, e dunque segno di una sconfitta: ultima meta, ultimo orizzonte e porto, sempre, l'Essere-Nulla da cui tutto proviene, pur nel tripudio versicolore delle forme – le quali nondimeno hanno, devono avere e ricevere, un senso, fosse pure quello stesso, disperato e disperante, del loro assiduo in ogni istante venir meno, nel fuoco vivo ed effimero dell'attuale, della Moda amica e sorella, gaia e irridente, della Morte, così come nella nebulosa, nella luminosa tenebra, dell'originario Nihil Aeternum


                                                           (M. V.) 








 

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.