Antonio Canova, monumento funebre di Vittorio Alfieri, Firenze, Santa Croce (foto di Elisabetta Brizio)
SOGNO FATTO IN PRESENZA DELLA RAGIONE (VERSI DA UN ALTRO MONDO)
a Elisabetta Brizio
Ero una bambina del Settecento e conoscevo Newton
e la postulata infinità dello spazio-tempo inerziale;
camminavo fra lontananze arcadiche,
senz'anima, nel tenero smeraldo
dell'erba, in riva al fiume antico
che orlava la città come un diadema
e ora è sepolto (ma scorre
ancora, anche non visto, ignaro
del tempo e degli sguardi).
Entravo poi nella città dei morti
dai grandi marmi - ero piccola
come una formica, potevo cadere
fra una lastra e l'altra come in un abisso;
mi insinuavo nei loculi e una blatta
era una bestia del cretaceo, un cadavere immenso
lontano oscuro era un fetido dio.
E cercavo di uscire, vanamente -
inseguivo me stessa come in un labirinto -
poi varcai per un soffio un'immensa porta vitrea.
"Di giusto voler lo suo si face"
cantava sapiente, infinita, una voce.
E tutto era di nuovo puro e limpido
come al principio.
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