Ripercorrendo
il progetto editoriale attuato da Adriano Olivetti tra il '46 e il
'60 con le sue edizioni di "Comunità", non si può non
avvertire tra i libri da lui pubblicati un singolare collegamento,
un'inconfondibile, anche se dapprima indefinibile, unità di
intenti, pur se gli autori proposti, i temi affrontati, le
rispettive discipline di appartenenza sono molti e diversi.
E'
come se in questi libri parli variamente una sola voce; come se siano
stati scelti per qualcosa che tutti, a loro modo, hanno e che li
rende, in fondo, analoghi, unanimi.
Sappiamo
da autorevoli testimonianze ( Zorzi, Ferrarotti ) che Olivetti
sceglieva personalmente i libri da pubblicare e del resto lui stesso
in un'intervista al quotidiano "La Stampa (maggio '59) dichiara:
"La scelta dei titoli è esclusivamente mia".
Ma
in base a quali criteri, li sceglieva?
Sia
dalla Dichiarazione
politica del
Movimento Comunità (genn. 1953), sia dai vari scritti e discorsi di
Olivetti (oggi in ristampa nelle riapparse edizioni di "Comunità"),
sia in primo luogo dal suo inedito, straordinario modo di fare
l'imprenditore, emerge chiaramente, a mio avviso, che egli
–esattamente
nel senso illuminato, proprio in quegli stessi anni, dall'allora
sconosciuto Jan Patočka–
non aveva un'ideologia ma una vita nell'Idea, o, sempre citando
Patočka,
non era un intellettuale, ma un uomo spirituale ( cfr. "L'
idéologie et la vie dans l'idée" e "L'homme spirituel et
l'intellectuel" in Jan Patočka,
Liberté
et sacrifice -Ecrits
politiques- J. Millon, Grenoble 1990, p.41-50 e p.243-257).
Credo
che questa fondamentale differenza sia presente, sia pure
implicitamente, a tutti gli studiosi e testimoni dell'opera di
Olivetti, i quali, dovendo sottolinearne, a un certo punto dei loro
discorsi, la posizione meta-politica, morale, religiosa, culturale,
fondata su valori spirituali, mostrano di avvertire, anche se non lo
focalizzano speculativamente, che i suoi criteri di fondo erano
ontologici, non ideologici.
In
un suo scritto, al riguardo esemplare, Olivetti richiama tutti, "gli
uomini, le ideologie, gli Stati" a liberarsi, cioè a
sottomettersi nuovamente a ciò che -lui dice- "rimane eterno
nel tempo e immutabile nello spazio: amore, verità, giustizia,
bellezza": le Idee, le "autentiche e creatrici forze
spirituali" -lui le chiama.
"Noi
tutti crediamo nel potere illimitato delle forze spirituali e
crediamo che la sola soluzione alla presente crisi politica e sociale
del mondo occidentale consista nel dare alle forze spirituali la
possibilità di sviluppare il loro genio creativo.
Parlando
di forze spirituali, cerco di essere chiaro con me stesso e di
riassumere con una semplice formula le quattro forze essenziali dello
spirito: Verità, Giustizia, Bellezza e, soprattutto, Amore".
(da
"Le forze spirituali" p.39-40, in A. Olivetti, Il
mondo che nasce,
Comunità Editrice, Roma/Ivrea, 2013).
In
questi pensieri non c'è, a ben vedere, alcuna ideologia, perché
Idee e "forze spirituali" non vengono definite,
rappresentate, ridotte in contenuti positivi, bensì solo nominate e
intuite nella loro indefinibile -eppure evidente- assoluta realtà,
nella loro differenza ontologica da tutto ciò che è oggetto, o
concetto.
Proprio
per questo esse coincidono, per Olivetti, con la libertà: perché
non sono imposizioni, categorie, precetti; ma puri appelli della
trascendenza e quindi "motori immobili" della nostra
liberazione, ricerca di libertà, pluralità.
Ma
come si può concretamente rispondere a questo loro appello?
Tra
gli altri studiosi di Olivetti, Beniamino de' Liguori (nuovo
direttore delle edizioni di "Comunità") ha il merito di
aver valorizzato in lui, la prioritaria dimensione dell'agire,
risolutiva per comprenderne al meglio il pratico e niente
affatto
utopistico messaggio (cfr. Beniamino de' Liguori Carino, Adriano
Olivetti e le Edizioni di Comunità (1946-1960),
Quaderni della Fondazione Olivetti n.57, Roma 2008 ).
In
Olivetti, "agire" significa innanzitutto, secondo me,
confortare con il fare, col proprio impegno di uomo e imprenditore,
la verità, la credibilità di ciò che pensa e dice, coerentemente
con l'insegnamento paterno che gli è sempre presente:
"La
luce della verità, usava dirmi mio padre, risplende soltanto negli
atti, non nelle parole".
(da
"Prime esperienze in fabbrica" p.30, in A. Olivetti, Il
mondo che nasce,
Comunità Editrice, Roma/Ivrea, 2013).
Ma
poi, "l'agire" è per lui, come per Hannah Arendt, diverso
sia dal lavorare che dal produrre opere: l'agire, che la modernità
ha di fatto totalitariamente abolito, è la forma più alta e libera
dell'attività umana, quella che rende pienamente umano l'uomo,
quella in cui il lavoro, necessario per garantire la vita biologica,
è gratificato e giustificato.
Chi
lavora (l'operaio, che Olivetti aveva in fabbrica, come qualsiasi
altro uomo) non deve, non può farlo solo per la riproduzione
materiale dell'esistenza, per la vita biologica, ma anche per
realizzare la propria vita umana più specifica, per poter agire.
L'agire
è il prendere (o il seguire) un'iniziativa libera, rivolta alla
Verità, al Bene, è mettere in movimento qualcosa di degno, di
nuovo, di non prevedibile, di non meccanico, è pronunciare (o
ascoltare) grandi parole, è decidere o anche solo riflettere con
gli altri non strumentalmente, bensì disinteressatamente, è vivere
nell'Idea -direbbe Patočka,
"dare alle forze spirituali la possibilità di sviluppare il
loro genio creativo".
L'agire
è fondamentale non solo per dare senso al lavoro, ma anche per far
comparire artefatti, opere: architettura, arte, poesia non ci
sarebbero, non ci sono, senza coloro che, gli uni con gli altri,
ricordano, tramandano, commissionano, incoraggiano la nascita.
L'agire
-dice Hannah Arendt- è "la
sola attività che metta in rapporto diretto gli uomini senza la
mediazione di cose materiali":
esso è dunque possibile soltanto con gli altri.
Soltanto
in comunità -dice Olivetti; quella comunità che coincida
spazialmente con una grandezza e una misura umane, ossia tali da non
estraniare, non isolare gli uomini, bensì da permettere tra loro
incontri confortanti, consueti, personali; quella comunità, cioè,
a sua volta totalitariamente abolita, come ben spiega Nisbet in "La
comunità e lo Stato" (Edizioni di Comunità, Milano 1957),
dalla moderna società, dallo Stato.
"La
gioia nel lavoro, oggi negata al più gran numero di lavoratori
dell'industria moderna, potrà finalmente tornare a scaturire quando
il lavoratore comprenderà che il suo sforzo, la sua fatica, il suo
sacrificio -che pur sempre sarà sacrificio- è materialmente e
spiritualmente legato a una entità nobile e umana che egli è in
grado di percepire, misurare, controllare, poiché il suo lavoro
servirà a potenziare quella Comunità, reale, tangibile, laddove
egli e i suoi figli hanno vita, legami, interessi" (da
"L'industria nell'ordine delle Comunità" p.45, in A.
Olivetti, Le
fabbriche di bene,
Comunità Editrice, Roma/Ivrea, 2014).
[
Vorrei osservare in questo brano la centralità dell'inciso "-che
pur sempre sarà sacrificio-" che conferisce al tutto un
significato, un orizzonte non storicistico, né materialistico,
bensì, direi, axiologico, autofinalistico ].
Possiamo
dunque dire, in definitiva, che la terza
via,
di cui, riguardo a Olivetti, talvolta si parla non era una terza
ideologia, alternativa a marxismo e capitalismo (che sarebbe come
dire una terza "idolatria" -direbbe Olivetti con Simone
Weil), bensì, propriamente, il richiamo, non parlato ma innanzitutto
attuato col proprio agire e vivere, all' agire, come superamento
concreto di ogni ideologia.
E'
questo fondamento, questo rinnovato e rivoluzionario sentire
ontologico, che guida l'Editore Olivetti nella scelta di chi
pubblicare: chi, cioè, proprio in vario modo
riconoscendolo,
avvertendolo -in qualità di economista, filosofo, architetto,
scienziato, sociologo, urbanista, sindacalista, religioso, poeta, si
mostri libero, creativo, altamente competente e sapiente nella
propria disciplina, determinato nell'opporsi alla desertificazione
umana dei nostri tempi.
Con
la sua casa editrice, Olivetti diceva di voler
"recare
alla comprensione del tempo e del mondo in cui viviamo la voce [cioè
la voce collegata, concorde] delle
coscienze e delle menti ["coscienze"
prima, e poi, in unità, "menti"]
più
alte di ogni paese in un dialogo senza frontiere che al di là delle
contingenze e delle polemiche [cioè
al di là delle ideologie, dei partiti, delle divisioni]
parlasse
agli uomini delle loro mete, della loro vocazione e responsabilità.
(da
Documento
senza titolo, ASO,
fondo Adriano Olivetti, sez. Ed. di Comunità, 22.620/2).
Il
Catalogo, che su questi criteri Olivetti compone, è un'opera
necessaria, mirabile, in cui tutti gli elementi (tutti i libri)
collaborano, con la loro particolarità, alla ricerca dell'unità,
sollevandoci, indicandoci un orizzonte, una meta.
Con
questa sua libera, creativa opera editoriale, egli ci mostra
compiutamente chi sia, chi debba essere l'Editore, in che consista
il suo compito, il suo metodo, la sua insostituibile figura.
-"Editore":
autore originale al pari del filosofo, dell'architetto, del poeta;
Autore
degli autori: colui che li comprende, li collega, li rivela simili,
o, proprio in quanto diversi, necessari gli uni agli altri,
complementari; colui, dunque, che forma civiltà, cultura,
comunità.
Così,
in Olivetti, la composizione, la fondata architettura editoriale,
illumina, include, valorizza reciprocamente, allude a connessioni,
interazioni, soluzioni
ulteriori.
Unità
nella pluralità, unità nella libertà: Nisbet e Simone Weil,
Schubart e Marlin, Berdiaev, De Rougemont, Forster, Dawson, Mumford,
Gutkind, Gropius, Le Corbusier, Huizinga, Schumpeter, Kelsen,
Lippmann, Soloviev, Assunto.
-Ancora
oggi, ci sono, ci devono essere persone che possano comprendersi,
collegarsi: agire.
Ma,
come dice Olivetti,
"questo
dare, questo conferire a un gruppo di uomini l'energia vitale capace
di uno sforzo creativo al di sopra dello sforzo comune, appartiene al
Mistero, è istanza segreta che la Provvidenza soltanto può, quando
vuole, concedere" (da A.Olivetti, Democrazia
senza partiti
p.69, Comunità Editrice, Roma/Ivrea, 2013).
Giselda Pontesilli