Hexapla
furono dette, a partire dalla tarda antichità, le Bibbie che
riportavano il testo in sei diverse versioni, in diverse lingue. Su
una di queste Bibbie –
che mostravano, quasi visualizzavano, la vitalità molteplice, magari
contraddittoria, di un testo, anzi del Testo per eccellenza, nel
prisma delle diverse interpretazioni,
trasposizioni, metamorfosi –
Giacomo
Leopardi apprenderà, nella solitudine della biblioteca paterna, il
greco e l'ebraico a partire dal latino.
La Sizigia è, invece, una
diade inscindibile, una coppia di elementi che si esplicano e si
illuminano e si integrano e si intersecano vicendevolmente, una
duplicità scaturente da un'unità, che in quella duplicità non si
annulla, ma si compie e si conferma.
Dualità,
e dunque germe ed etimo ed accenno della molteplicità, nell'unità –
nell'eguale e nel diverso, nel regolare e nell'anomalo, nel pari e
nel dispari, tanto più che l'hexaplum
sottende la disparità del tre, primo gnomone, numero perfetto che in
esso è racchiuso attraverso la mediazione della diade, ed invoca
l'esito dell'Heptaplus,
del settimo giorno in cui la creazione giunge a compimento, e
l'interpretazione della Parola originaria nella materia e nel vivente
si fa nuovo testo da interpretare, nuovo fenomeno da scrutare – è
ciò che questo libro (il quale riunisce studi di Elisabetta Brizio e di Matteo Veronesi) vorrebbe racchiudere.
Libro
in cui, su di un comune fondo ontologico, su di un comune substratum
materiato di Essere, o Nullla, e Linguaggio, tra Fenomenologia,
Esistenzialismo e Decostruzione, si alternano traduzioni, commenti,
recensioni, osservazioni sull'attualità culturale e indagini erudite
su aspetti meno noti, apparentemente marginali, della tradizione
letteraria occidentale, fin dai suoi archetipi in senso lato
classico-cristiani, sacri e profani, o addirittura decisamente pagani
– e dunque fin dal principio duali, e insieme identitari.
Ma, a ben vedere, fra
l'atto della traduzione, quello dell'interpretazione, e quello della
scrittura, del passaggio dal silenzio musicale del pensiero al muto
suono del segno lasciato sulla pagina, vi è una distinzione più
esteriore che sostanziale, più di tempi o di gradi che di natura ed
essenza.
Tutto
è traduzione, tutto è transizione e metamorfosi, poiché sia
l'interpretazione del proprio pensiero prima di metterlo in carta,
sia del testo altrui per interpretarlo, commentarlo o trasporlo in
altra lingua, sia, infine, la rilettura del proprio pensiero sulla
propria pagina – e dunque del sé come altro, quasi del proprio
viso su uno specchio ricoperto di neri segni, fino al ritorno del
pensiero in sé e su di sé dopo essere uscito, ek-staticamente,
da se stesso –, e la trasmutazione della percezione in concetto,
del pensiero primario in pensiero riflesso, della coscienza in
autocoscienza – tutto ciò, dicevamo, comporta un passaggio, una
trasmigrazione, una traslazione di codici, forme, situazioni,
attitudini.
Traduzione,
o, come si usa dire in certi gerghi odierni, “riverbalizzazione”
del pensiero e della parola altrui, è, a ben vedere, anche
l'intervista, genere letterario (vero e proprio “genere”,
rimontante forse al dialogo platonico, e poi al con-filosofare dei
Romantici tedeschi – per arrivare fino alle inchieste letterarie
tardo-ottocentesche di Huret in Francia e di Ojetti in Italia, alle
interviste ai poeti di Ferdinando Camon, o a piccoli gioielli di
autoesegesi come l'Intervista
immaginaria
di Montale, o, ancora, ai libri-intervista di Luzi) che in casi come
questo, quando cioè non sia effimera e superficiale
registrazione, o addirittura non travisi tendenziosamente il pensiero
dell'interlocutore, diviene preziosissima testimonianza culturale –
pur restando, anzi pur continuando a danzare, proprio perché tale,
sempre sul crinale del possibile, fecondissimo travisamento che apre,
fra le pieghe del dialogo stesso, nei silenzi fra domanda e risposta,
nelle illuminazioni e nelle reticenze della risposta stessa, voragini
oscure e risonanti di significati.
Tutto
è traduzione. E perciò tutto, forse, è tradimento. E tutto
disfacimento e tramonto. “Traslare” il senso come “traslare”
le spoglie: spolia,
prede tolte al nemico, e dunque “vittoria”, ma anche “oggetto
di spoliazione”, e dunque segno di una sconfitta: ultima meta,
ultimo orizzonte e porto, sempre, l'Essere-Nulla da cui tutto
proviene, pur nel tripudio versicolore delle forme – le quali
nondimeno hanno, devono avere e ricevere, un senso, fosse pure quello
stesso, disperato e disperante, del loro assiduo in ogni istante
venir meno, nel fuoco vivo ed effimero dell'attuale, della Moda
amica e sorella, gaia e irridente, della Morte, così come nella
nebulosa, nella luminosa tenebra, dell'originario Nihil
Aeternum.
(M. V.)