Presento, per gentile concessione, il film Ultimi tattili ai margini della memoria, della compianta Vira Fabra, valente pensatrice, teorica del Movimento "Singlossie" (noto anche come Antigruppo, e/o Intergruppo, Siciliano), che, nel contesto variegato e convulso delle avanguardie degli anni Sessanta e Settanta, si proponeva, a di là delle etichette e degli schieramenti, e sulla scia del Libro assoluto e totalizzante sognato da Mallarmé, di abbracciare e far interagire immagine e parola, esteriorità e significato, facendo propri, con mediazione critica e disgregante, ma insieme con lucida volontà costruttiva, modalità e linguaggi della comunicazione di massa, traslati però, e piegati, a nuove, stranianti significazioni.
All'avanguardia si è spesso rimproverato di non aver prodotto opere all'altezza degli intenti, delle teorie, dei proclami-programmi. Nel caso dell'Antigruppo Siciliano, questa dicotomia perde significato. Non c'è più distinzione fra teoria e pratica, fra riflessione estetica e lavoro artistico. Anzi, il discorso sull'arte è esso stesso arte, o addirittura più-che-arte, arte contemplata, e insieme doppiata e sovrastata, dalla più alta autocoscienza; la prosa in cui si esprime la concezione teorica è essa stessa genere della letteratura (la scrittura di Vira Fabra era, ed è, prosa splendida, iperdotta, fittamente citazionistica e insieme altamente suggestiva ed evocativa). Semmai, il gesto artistico è occasione, o pretesto nel senso più nobile e fattivo, per il discorso teorico, in cui l'arte stessa trova compimento e culmine.
Di tutto ciò è dimostrazione proprio il film che presento. Immagini immobili (ma spesso pervase da un'interna dinamicità cromatica, da un'implicita tensione vitale e creativa), accompagnate dalla voce fuori campo, pacata e ferma, che, interagendo a tratti con un sottofondo di free jazz - musica indeterminata, contaminata e fluttuante come la scrittura e l'immagine dell'avanguardia -, conferisce alle immagini stesse, impercettibilmente, palpito, pulsazione, vibrazione. Un modo di fare cinema (e insieme di decostruire, di ripensare, di rimettere in discussione dall'interno, il discorso filmico) che può riallacciarsi, mi pare, a certe tecniche del cinema situazionista di Guy Debord e dell'underground italiano (ad esempio Clodia-Fragmenta di Franco Bròcani), facendo interagire parola, suono, immagine, rifiutando le logiche della spettacolarità superficiale e sollecitando, al contrario, brechtianamente, le facoltà critiche dello spettatore.
Matteo Veronesi