giovedì 25 giugno 2009

MINIMI E INUTILI SGUARDI SUL MONDO

Un centro commerciale il sabato pomeriggio: è così che immagino l’inferno.

Eppure, resta una libera scelta quella di trascorrere un pomeriggio al centro commerciale anziché in pinacoteca (quelle di Imola e di Faenza, per inciso, sempre deserte, sono spendide).

Al centro commerciale (non solo lì invero) tutti o quasi biascicano il chewing-gum, sbattendo in faccia al prossimo il proprio disprezzo e la propria noncuranza.

Masticare per masticare, senza nutrirsi (con la fandonia di miracolose sostanze che preserverebbero i denti, la cui perdita inevitabile è simbolo dell'aborrita vecchiaia, dell'ignominioso declino fisico stigmatizzato e colpevolizzato dalla cultura del fitness).

L'esatto contrario della virtuosa e sapiente ruminatio delle Sacre Scritture praticata dai monaci medievali.

Masticare per masticare, così come si compra per comprare, si consuma per produrre - "si vive per vivere, senza sapere di vivere", come diceva Pirandello lettore di Schopenhauer.

Homo ruminans: l'ultima mutazione antropologica. E il chewing-gum fa americano, è parte integrante della american way of life.


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A me (e certo non a me solo) è accaduto spesso di pensare che la libertà d’espressione sia, per così dire, il prezzo che il sistema capitalistico paga in cambio della diffusione onnipervasiva della sua alienante e reificante logica.

L’aspetto negativo dell’ordine capitalistico è certo rappresentato, appunto, da quella che un tempo si chiamava alienazione (termine che oggi sa di intellettualismo, ideologizzazione, dottrinarismo, ma che designa purtroppo una realtà dolorsamente e angosciosamente esistente, tangibile, vissuta).

L’aspetto positivo, se c'è (accanto alle comodità e agli agi, fra cui lo stesso strumento che ora stiamo usando per comunicare e riflettere, e ai quali nessuno, indipendentemente dalle sue convinzioni, saprebbe o potrebbe più rinunciare, a meno che non si voglia ricadere nel mito, molto borghese, del primitivismo), consiste appunto nella libertà d’espressione, che consente di manifestare e di lamentare quello stesso stato di alienazione, cosa che in un regime totalitario porterebbe (e porta) alla messa al bando per disimpegno politico, sentimentalismo borghese, tendenze antisociali, se non alla prigionia.


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La Cina (stando almeno all’impressione, molto parziale, e forse deformata o amplificata dai media, che se ne può avere da qui) mostra un esempio di capitalismo con tutti gli aspetti negativi (materialismo, consumismo, inquinamento, degrado morale, accentuazione delle sperequazioni) senza il risvolto positivo (elezioni democratiche, libertà di espressione e di culto).

Forse i cinesi non cercano e non cercheranno mai la libertà, perché hanno ormai raggiunto, nelle città, un relativo benessere, e nelle campagne sono narcotizzati e paralizzati da una rassegnazione millenaria (né hanno mai attraversato, come l’Occidente, il tirocinio delle “rivoluzioni borghesi”, che se da un lato posero le basi dell’ordine capitalistico, dall’altro abbatterono definitivamente quello nobiliare e feudale, ancor più oppressivo).

Insomma la realtà capitalistica non è la panacea di tutti i mali, ma è forse, allo stato attuale delle conoscenze, il male minore (essendo la socialdemocrazia scandinava difficilmente applicabile altrove).

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L’idea dell’assoluta “disponibilità” della vita umana, del completo arbitrio bioetico riconosciuto al singolo, non rischia forse di rappresentare, per l’appunto, il trionfo ultimo dell’individualismo postmoderno, l’approdo estremo dell’egoismo e dell’individualismo borghesi?

E' solo un dubbio. Io non ho risposte. Da un lato la sacralità della vita, dall'altro la libertà del singolo e l'habeas corpus. Due istanze contrapposte e, su basi e per motivi differenti, entrambe irrinunciabili. Un'aporia che non trova soluzione, se non in una scelta ideologica o confessionale che costringe, per definizione, a "mettere fra parentesi", almeno in parte, il proprio senso critico - o nell'approdo, vincolante, cogente e insieme rassicurante, per certi aspetti rasserenante, ad una morale assoluta, trascendente, rivelata.

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E’ ovvio - contrariamente ad uo dei tanti slogan di moda già da anni, e non solo a destra - che la scuola non può essere un’azienda, se non altro (al di là di ogni sottile questione culturale e pedagogica) per il semplice motivo che non vende nulla, e che gli studenti non ricevono un salario.

Nè bisogna scaricare sulla scuola responsabilità eccessive. Le “agenzie formative” principali sono e restano la televisione (ahinoi), il gruppo di amici e la famiglia (”agenzie” che esercitano un potere persuasivo incomparabilmente maggiore).

Quanto all’”educazione estetica dell’uomo”, come la chiamavano i romantici, che viene ancora invocata con abbondante spreco di enfasi e d retorica…. Molto dipende dalla società in cui viviamo, nella quale non si viene certo apprezzati per la sensibilità e la cultura.

C'è da chiedersi, poi, quanto e fino a che punto la sensibilità estetica e culturale possa essere infusa dall’esterno, attraverso l’”inculturazione” esercitata dalle istituzioni. Credo che un ruolo decisivo sia giocato dalla predisposizione individuale, dall’ambiente familiare, dalle condizioni di vita e di lavoro (chi torna, stremato, da dodici ore di pronto soccorso o di fabbrica difficilmente si metterà a leggere Virgilio o Heidegger, ma sarà pronto ad ingoiare due ore di grande fratello).

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Paradosso delle democrazie capitalistiche, che da un lato (attraverso l’industria culturale, dunque sempre a fini di produzione e di consumo) mettono potenzialmente a libera disposizione di tutti un patrimonio sterminato e quanto mai variegato di espressioni, ideologie, visioni del mondo, dall’altro sottopongono l’individuo ad un processo di alienante massificazione, che rischia di porlo, di fatto, nell’incapacità di recepire, assimilare e far proprio quel patrimonio, o anche solo di trovare in sé la motivazione e la determinazione ad avvicinarvisi…

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Eppure, non si può che continuare, al di là delle ideologie, a credere - ostinatamente, assurdamente, disperatamente, contro tutto - nell’uomo, nella sua libertà e nella sua volontà.

Ma anche questa - direbbe l'amaro e disincantato Renato Serra - è letteratura.


M. V.

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