mercoledì 12 febbraio 2014

Silvia Secco, "Sonetti"

Piccoli gioielli (ludi, pàighnia, avrebbero detto gli antichi) di perizia compositiva (rime frante, sdrucciole, assonanti, ipermetre, accentazioni atipiche, sinalefi audaci) sono questi sonetti: dissimulati, scardinati dall'interno (un po' come i "sonetti inglesi" di Montale, o certe strofe di Pascoli); irti di sincopi, di intermittenze, aritmie, soprassalti, di movenze, si potrebbe dire, jazzistiche. Il neometricismo degli ultimi decenni (dallo Zanzotto di Ipersonetto al Gruppo 93) si sviluppa in chiave metaletteteraria, con uno sperimentalismo straniante, tormentoso, spesso rivolto alla nullificazione del senso. Qui, invece, esso si unisce ad un lirismo intimo e delicato, venato d'illuminazioni e trasparenze, che ostinato perdura, e riaffiora a tratti, come carsicamente, filtrato e temprato, fra gli spasmi della parola e del metro, la frantumazione delle sillabe e del verso, le asperità espressionistiche della rappresentazione, fedele all'esperienza, eppure non mimetica. (M. V.)


Artaud

Artaud ci riconobbe molto prima
noi due nati con spirito cavo in cui
s'insinua il cosmo in spasmi di parole
taglienti come lame pure come
lune, affilati accenti come punte
di una biro. Le parole arrivano
alle mani. Diritte, e molto prima
che alla voce: sudore che saliva
e s'inchiostra a segnare e incide.

E io che vorrei urlare quanto ti sono
affine resto muta a contenerti:
tutto. Tu che sei tutto intorno e interno
in questa sera liquida di cera
colata giu' lungo il mio stelo.



Iris
Forse del vero
Esiste un punto dove il sogno passa
Al nostro cielo, nudo di mistero”
(A. Caramella, Scissura Sagittale da Murales Lunares)

Sale. Il giorno scioglie i nodi ai capelli
ai tuoi rosari, Iris. Di-sfà i cristalli
sgela a saliva e ti ci bagni il dito.
Lo porti alle labbra e bevi. E’ piovuto

ieri. E’ nato tuo figlio. Ha un diamante
a fine del ciglio. E dentro un istante
di perfetta compassione. Un tutt’uno
(a pelle a pelle a ventre a labbra a seno),

d’unione. Come se rive, brandelli,
derive… Se avessero soluzione
in un punto, un ponte arca-arcobaleno

d’assoluzione che è lì! Nel compiuto
e primo nominarsi d’occhi e tocchi
latte e sale a solvere il male. In niente.



La ragione
(sonetto discutibile)

E' un Ottobre che inoltra e il sole cala
prima dietro le facciate. Mi scalda
ancora e all'improvviso me ne accorgo
colta fra vasi e foglia, sovraesposta.

Il paragone urgente è doloroso
com'è la solitudine dei nidi
lasciati grigi a farsi pietre sotto
gli angoli spioventi di coperture

disabili ai tormenti torrentizi
delle maldicenze. Penoso come
la ragione -per cui esistono cose-

e ad esistere insisto anch'io! Oppure no:
nemmeno il dolore nientediniente
oltre al cavo del nido, al maledetto nodo

in gola, al dono di rassegnazione.



La speranza dei soffioni
(Aereosonetto)

 

“Lenta l’armonia dei grilli  

tenta i cieli opachi”

(N. Gelamonte, “Notte Estiva”da Vento dell’Orsa)



Sublime la speranza dei soffioni
nelle eroiche dispersioni dei semi
sui campi, i lampi semantici estremi
di lucciole al bivio / delle opinioni

derise dai bravi (gli ignavi) e assenti.
Sublimi i perdenti in partenza. Eppure
partiti, l’audacia delle radure
nel folto, i vuoti inattesi-insolenti

di memoria, il maltolto: da aquiloni
a dito (il filo sfinito che stenti
a vedere ma tieni), le abrasioni

sulle mani (ci entra il mondo) che tremi:
paure per cui ti sublimi, fessure,
fondo. Lì germina il grano. In diademi.



Sonetto dei sorrisi
(falsonetto capovolto)

Voi che di me il contrario di me fate”
(Giovanni Giudici,da “Salutz”)

Io so fingerli. Ne ho di smaglianti
e candidi che non si direbbe mai.
So stenderli al sole a rassicurarti

puliti come lenzuoli. Ti ci puoi
sdraiare senza togliere le scarpe
né informarti se siano asciutti o umidi:

le superfici o le trame o gli angoli
degli occhi... So anche sollevarli: miti
all'invito degli zigomi, adatti
all'espressione che ho imparato che vuoi

ch'io indossi come fosse naturale.
Di alcuni autentici ti sei scordato.
Peccato fossero i miei preferiti:
schiusi come fiori nelle tue mani.



Mezzamela

A sera ricomponimi la parte
che esce con te al mattino dopo il bacio.
Il giorno intero è un allungarsi d'arti
a cercare le tue mani. Combacio io

perfettamente liscia a te, aderente
alla superficie. Inumidiscimi
e riempi: bocca di labbra. La fronte
nel cavo fra i seni. Colma, chiudimi.

E salda: le tue crepe coi miei fili.
Ho trame supine per te. Le intreccio
alle vertigini che hai. La tela

che si forma è un frutto: una mezzamela
esatta. L'una è la metà di niente
sola. Tu fondile. In unica polpa.



La Dolente

La chiamavano Dolente. Abitava
in argine al canale. Aveva bianche
le mani, banale il giorno. Impastava
reale e sogno (al bisogno) ad ampie branche.

Ne faceva pane. E il fosso fragrava
in torrente e le anse in ansie ed in schinche
e rapide, e il mare in male (Ah! Volveva…)
E si doleva lei. (E un po’ godeva, anche…)

Povera lei, dolorosa… Al confine
piantava all’alba una rosa. Ogni sera
la coglieva… Un pianto… (Come di spine

tra le dita: un senso alla vita e un fine
denso lento colava….) Unica e vera
gioia è il lamento. (In chi alla noia è incline.)