venerdì 6 novembre 2009

NICOLA VACCA, UN POETA ALLA RICERCA DEL "DIO VERO"

Questi versi di Nicola Vacca mi ricordano (forse, anzi quasi certamente, per mera analogia, per semplice suggestione soggettiva di lettore, più che per riscontro filologico) il respiro, il passo, il ductus di certi grandi poeti mistici, da Angelus Silesius a Juan de la Cruz.

Dio, che visto da occhi e con occhi umani, è in se stesso purum nihil, antitesi del terrestre, opacità, eclisse, negazione, può forse, proprio dal silenzio, e con e nel silenzio, rivelarsi e parlare. Con il silenzio, meglio che con le parole, può essere umanamente invocato; e bisogna fare vuoto e silenzio nella propria anima perché nel profondo di essa possa risuonare - quale che sia, e qual che ne sia l'enigmatico, forse indecifrabile, messaggio - la sua voce.

Dice, con spirito modernissimo, un salmo: «Perché, signore, stai lontano, / nell'ora dell'angoscia ti nascondi?». Forse Dio è appunto concepibile proprio sotto la specie di quel «vuoto immenso» che le domande ultime e prime, destinate probabilmente a restare senza risposta, spalancano.
Da questo silenzio e da questo vuoto può derivare anche il respiro stilistico netto, secco, a volte in apparenza angoloso e contratto, della versificazione, che tende a procedere per versi raggrupati a due a due, o a volte isolati, ma sempre contrassegnati da una forte condensazione aforistica e da una acuminata pregnanza.

Viene in mente, per analogia come per contrasto, Il Dio dell'impossibile di Patrizia Garofalo, la cui vena è peraltro più sinuosa, più sensuale e fluente: «Il Dio dell'impossibile / Ti significa nell'anima / Mentre accolgo / La tua assenza / Nuda». L'assenza, la distanza, la lontananza (che non hanno misura né metro di comparazione, significando entrambe una stessa mancanza che è simile alla morte) possono accomunare amore umano e amore divino, sensualità e ansia di assoluto. Due tensioni che si fondono nella Sposa del Cantico dei Cantici, nella sua inesausta ed insoddisfatta ricerca: «Sul mio letto, lungo la notte, ho cercato / l'amato del mio cuore; / l'ho cercato, ma non l'ho trovato».

Per l'uno come per l'altra, le parole sono «Vestali di vita e morte» - simili all'oraziana tacita virgo, messaggera di sacro silenzio come di eternità.


(M. V.)



A UN DIO VERO

La comunicazione si è interrotta
perché arriva il nulla
dallo scavo della crudeltà
nelle ferite dell’amore.
A un Dio vero chiedo
della paura che invade le anime
dell’inquietitudine che turba i cuori.
Lo invito a darmi tutte le risposte
che dal suo silenzio dovrebbero giungere.
Davanti alle domande
si apre un vuoto immenso.


A QUATTRO MANI CON MIA MOGLIE

Amo la notte
con la passione per il giorno
invento momenti
per vivere e morire.
C’è sempre un’onda che attraversa tutto
in un mare che travolge.
Riempio lo spazio di silenzio
respiro
facendo i conti con secondi.
Bisogna cucirsi addosso un destino
quando tutto sembra perduto.
Si ha sempre bisogno di ali
perché la vita continua
fino ad interrompersi.


CECITÀ

In compagnia dell’oscurità
avanziamo passi incerti.
Disincantati guardiamo in alto

verso un cielo che minaccia pioggia.
Dietro le nuvole ci sarà un sole
che attende di essere liberato.
Intanto abbiamo smesso
di conversare con la luce.
La cecità è il terrore che uccide la gioia.
E’ condannato alla morte più buia
solo che non sa raccontare il male.

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