giovedì 16 luglio 2009

GIUSEPPE BAIOCCO, "DAL CERVELLO ALLA CREATIVITÀ POETICA"

Ripubblico in versione digitale, per gentile concessione, un articolo del neuropsichiatra Giuseppe Baiocco (apparso dapprima a stampa su «Atelier», 1997, n. 5), che illumina, con una chiarezza inusitata, le sottili e complesse dinamiche che legano, nella creazione poetica, la sfera verbale e quella visiva, emotiva, sensoriale, l'intuizione istintiva e la consapevole elaborazione formale: due versanti che, senza alcuna forma di riduzionismo o di monismo materialistici, vengono qui ricondotti ai due emisferi cerebrali - da un lato quello demandato al linguaggio, dall'altro quello che la fisiologia, con espressione insolitamente suggestiva, definisce “emisfero silente”. Ebbene queste due sfere, questi due lobi, per così dire, della facoltà percettiva ed espressiva appaiono, nella creazione poetica e artistica, meno nettamente distinti di quanto si pensi: attraverso la sinestesia (la “corrispondenza”, il “colore delle vocali”, l'”orchestrazione verbale” del simbolismo, ma anche il “girotondo delle arti”, l'associazione di colori e suoni di Schönberg e Kandinsky) le rappresentazioni verbali vengono strettamente associate ai suoni e alle immagini, normalmente “silenti”. E precisamente di immagini (cioè di analogie, di metafore, di epifanie, di allegorie) e di suoni (allitterazioni, assonanze, false etimologie, fonosimbolismi, accordi e corrispondenze vocalici) è materiato e tramato il discorso poetico. Ma sullo strato primigenio, archetipico, sulla paleo-logica che sembra accomunare, talvolta, a contatto con l'indicibile, con l'ineffabile, con il “fuori-idioma” di cui parla Zanzotto, anche il più dotto e il più elaborato dei discorsi poetici al balbettamento infantile (alla dantesca “lingua che dica mamma o babbo”, al “pappo” e al “dindi” dei primi conati espressivi), si innestano, in un secondo momento, l'elaborazione formale, il consapevole ed autocritico lavorio stilistico e retorico, che però, data la loro natura essa stessa verbale, fonica, musicale, serbano comunque, potendola tutt'al più limitare e filtrare, l'originaria matrice associativa, arazionale o prerazionale. E si può, su queste basi, ripensare anche il nesso (del resto ben più antico di Lombroso) fra genio e follia, creazione e alienazione (la alienatio mentis che è dei folli come dei mistici, così come di Dante di fronte alla visione del Divino), fra il dominio vitale e iniziatico della poiesis e quello, tumultuoso e abbagliato, della mania, dell'enthousiasmos, del furor. Sembra che la riflessione critica, pur legata e consustanziale all'atto poetico, specie da Baudelaire in poi (eppure anche, ad esempio, in una poetica di matrice per definizione extrarazionale e passionale come quella romantica), venga, in esso, in certa misura incorporata, metabolizzata, fusa con la cosiddetta ispirazione, con la motivazione originaria, e in larga parte oscura, al poetare, fin quasi a non poter essere più nettamente distinta come elemento autonomo, anzi fino a formare, con l'elemento extrarazionale, un tutto unico ed inscindibile, con tutte le inquietanti contaminazioni che questa simbiosi di luce e tenebra, di lucidità e accecamento, di fuoco vivo e traslucido, immoto ghiaccio riflettente, porta con sé. La metà oscura, il lato inintenzionale, non controllabile né razionalizzabile, non sembrano poter essere rimossi, e nemmeno del tutto controllati o esorcizzati, nella creazione artistica come nella vita dei sentimenti. (M. V.)


1. In questo articolo si cercheranno di descrivere i meccanismi cerebrali alla base dei processi creativi poetici e del rapporto tra questi e la loro comprensione psicologica.
Le attuali conoscenze scientifiche del problema ci consentono di affermare che uno dei due emisferi in cui il cervello è suddiviso (quello di destra) entra in azione quando un soggetto ascolta della musica, osserva il viso, la mimica, la gestualità di una persona; l'altro invece esamina la realtà secondo modalità logiche, deduttive ed analitiche. Ciò significa che è in grado di cogliere il significato dei segni semantici convenzionali (quali appunto sono le parole), di afferrare i nessi logici che legano più proposizioni, di recepire i singoli passaggi di un discorso (mentre la comprensione globale ed il senso è afferrato dall'altro emisfero, detto anche musicale, che è portato a fare le sintesi, a cogliere le analogie associando le idee in base a legami emotivi, a procedere per induzione).

Nel presente studio si cercherà di discutere se sia ipotizzabile che la poesia, pur essendo basata sulla forza espressiva della parola, utilizzi a livello cerebrale modalità operative e di linguaggio di quella parte di cervello che in teoria non avrebbe "competenza" su di essa. È probabile che in ciò consista la straordinaria esperienza soggettiva prodotta dall'ascolto di un brano poetico. Si cercherà ora di approfondire meglio il discorso.

E' possibile che nel cervello del poeta avvenga l'esatto opposto di quel che avviene nella materia grigia di un pianista professionista. Studi condotti con sofisticate metodiche elettroencefalografiche computerizzate hanno evidenziato che se un soggetto appassionato di musica ascolta un brano d'opera, è la parte destra del suo cervello ad essere stimolata, ma se è un pianista ad ascoltare la musica che egli stesso suona, accade l'opposto. Anche in questo caso entra in azione l'emisfero "sbagliato". Ciò avverrebbe perché il musicista professionista elabora l'esperienza interna della musicalità a partire dalla "lettura" delle note sul pentagramma e non dalle immagini mentali dei suoni. La sua prestazione artistica parte dall'analisi di segni convenzionali (le note) che "legge" sullo spartito; per questo motivo la parte del suo cervello attivata è la sinistra, come avviene in un qualunque individuo intento nella lettura delle parole sulle righe di un libro.

Si è ipotizzato che nel nostro cervello esista un centro di smistamento capace di discernere i segnali verbali da quelli non verbali: in condizioni di veglia vigile all'emisfero destro arrivano i suoni ed i rumori umani, le vocali, la musica ed i segni non verbali del linguaggio, mentre al sinistro arrivano le parole, le consonanti, le cifre. In particolari situazioni quali l'estasi, la meditazione trascendentale, l'ispirazione creativa, i due emisferi riceverebbero contemporaneamente entrambe le categorie di stimoli, realizzando quello stato fisiologico e mentale definito "pensiero divergente", che potrebbe corrispondere all'esperienza soggettiva dello stato creativo, mistico o immaginativo. Sappiamo che alcune droghe, come i derivati dell'acido lisergico, eccitano le capacità creative e mistiche di un individuo.

In questa particolare condizione, i messaggio smistati dalla parte destra verso quella di sinistra non sono analizzati e trasdotti in linguaggio digitale (basato cioè sulle parole):è come se la parte sinistra del cervello e la sua modalità operativa venissero eclissate da un'esuberanza funzionale della parte "musicale." Nell'emisfero destro, "domina l'immagine e dunque anche l'evocazione di immagini appartenenti al ricordo e le sensazioni che a ciò si ricollegano" (Watzlawick).
A differenza di quanto avviene nella percezione visiva del mondo nelle ordinarie condizioni mentali, le immagini interne si associano in base a quello che nel lessico psicanalitico viene definito "processo primario": ecco perché la poesia fa continuamente ricorso alla similitudine, che è una figura poetica prodotta da un pensiero strutturato per categorie primarie. Vale la pena di spiegare brevemente questo concetto. Il "processo primario" è un tipo di pensiero caratterizzato dal rapportarsi con la realtà in base a schemi affettivi primordiali ed arcaici basati sulla paleologica. Quello della paleologica è un mondo in cui, perché l'identità fra due soggetti sia soddisfatta, è sufficiente che essi abbiano un particolare affettivamente pregnante in comune (ad esempio il predicato) perché siano considerati uguali. Facciamo un esempio: "Il passero solitario" può essere il poeta stesso in quanto egli ha in comune con esso il predicato "solitudine". Infatti il Passero è solo - Leopardi è solo: Leopardi ed il Passero sono soggetti sovrapponibili eseguendo l'operazione logica di identità a livello del predicato "solitario". E' questo un modo di organizzare il pensiero basato sulle categorie primarie. Nel caso citato all'interno della categoria "solitudine" si possono ritrovare infatti sia i poeti che gli uccelli, purché "soli". Il processo primario sarebbe collegato con le modalità operative dell'emisfero destro (Arieti).

Per chiarire meglio i concetti espressi, ricordiamo che, in condizioni di veglia, una persona in uno stato fisiologico di coscienza svolge i normali processi del pensiero in base alla logica comune detta anche "aristotelica" (termine che corrisponde al concetto psicanalitico di "processo secondario"). Sappiamo dalla filosofia classica che le operazioni che un essere pensante fa per valutare la validità dei suoi enunciati sono basate sui principi di identità, non contraddizione e del "terzo escluso". Cioè un uomo sano nel pensare riconosce come valide solo le identità fondate sui soggetti(esempio: Io posso essere solo Io, Io non posso essere contemporaneamente Io ed un altro). Se invece un individuo esegue operazioni di identificazione a partire dalle qualità ("predicati") della sua persona, come precedentemente abbiamo fatto parlando del Leopardi e della sua qualità "solitudine", allora operiamo secondo meccanismi di logica arcaica (paleologica).
La differenza essenziale sta nel fatto che lavorando con le categorie (pensiero secondario), un gatto può essere identificato solo all'interno della classe dei "felini", mentre se utilizziamo le "qualità", esso può essere identificato con qualunque altra cosa, essendo teoricamente infiniti i "predicati" possibili a lui attribuibili (baffi, fiocco, occhi, ecc.).

Questo secondo tipo di logica è sostanzialmente differente da quella "aristotelica", anche perché le associazioni vengono fatte in base a caratteristiche emozionali che ognuno attribuisce alle qualità del soggetto a seconda delle sue condizioni psicologiche (quindi anche di salute psichica).
Per inciso, questo modo di operare è tipico di diverse malattie cerebrali caratterizzate dall'incapacità di organizzare il pensiero in forme di linguaggio coerente, sequenziale, logico (schizofrenia paranoidea, sindrome alogica di Reich, afasia di Wernicke, ecc.).

Anche nel sonno REM (cioè quando si sogna), la produzione onirica segue il processo primario, a differenza di quanto avviene nei sogni non-REM (che avvengono nel sonno cosiddetto "a onde lente"), in cui questi hanno caratteristiche logiche dette "pensiero-simile". E' esperienza di tutti noi l'assurdità dei sogni effettuati nella fase REM; in modo particolare spesso siamo colpiti dal fatto che una certa persona entrata nella trama della nostra attività onirica abbia contemporaneamente le caratteristiche di un altro individuo (manifestando così una rottura del principio di non contraddizione, del tutto "fisiologica" nel sogno).

Ricordiamo infine che un'ulteriore caratteristica funzionale di questo emisfero è quello di operare secondo il principio della "pars pro toto". Questa funzione, collegata con modalità di pensiero induttivo, ci consente di risalire dal particolare all'universale, permettendoci ad esempio di riconoscere un individuo da un suo particolare significativo, come avviene in certi giochi enigmistici. Una delle più classiche figure poetiche, la sineddoche, trova certamente in ciò la sua base cerebrale di funzionamento.

Ma torniamo a parlare del nostri stati emozionali e di come questi, in particolari condizioni cognitive, possano entrare a far parte del vissuto creativo del poeta. Un'emozione può essere avvertita sia attraverso la sua componente viscerale (il cuore che "s'ingrossa", la pelle che si accappona, ecc.), sia psicologicamente, attraverso la produzione di immagini che hanno la caratteristica di presentarsi con la vividezza di un film la cui pellicola scorre non nel senso della temporalità ma della spazialità psicologica: in questo caso infatti le scene non hanno "un prima ed un dopo", sono cioè puntiformi riguardo al tempo, si sovrappongono fra loro in un'istantanea comprensione della totalità e globalità di tutte le immagini visualizzate. E' come se i fotogrammi di un film, anziché scorrere l'uno dopo l'altro sullo schermo(aspetto logico-sequenziale), fossero proiettati tutti insieme, simultaneamente, essendo stati fra loro sovrapposti come le carte di un mazzo (aspetto sintetico-temporale). In questo modo le dimensioni e lo spessore visuale di tali rappresentazioni interne sono psicologicamente talmente dense da occupare tutto lo" spazio mentale" dell'individuo còlto da una forte emozione. Ciò avviene nella cosiddetta "memoria panoramica" delle crisi epilettiche del lobo temporale e nello stato psichico alterato di una persona sana che si trova improvvisamente in immediato pericolo di vita; i soggetti che hanno vissuto tale esperienza raccontano di aver rivisto in pochi secondi "eterni" tutta la loro vita.
Ma torniamo ora agli aspetti cognitivi fin qui descritti, che sono tra loro del tutto differenti ma che hanno in comune il fatto di vedere coinvolto la parte destra del nostro cervello. Questi stati corrispondono ad esperienze endocettuali (cioè a materiale psichico ancora amorfo e grezzo, non comunicabile con chiarezza semantica per via verbale).Tutti noi abbiamo esperienza di come le immagini prodotte mentalmente siano sfuocate, prive di sfondo, di profondità di campo e siano sbilanciate riguardo l'equilibrio compositivo della figura: la visualizzazione cioè è ingigantita in alcuni suo particolari ed è priva di altri.

Da diversi autori viene riportato che certi schizofrenici (come anche i ciechi nati che acquistano la vista da adulti), non riescono ad organizzare la visione nella sua totalità e globalità. Questo disturbo è collegato ad un'alterazione della parte destra del cervello, la cui funzione è quella di far sì che l'insieme di input percettivi "in entrata" venga elaborato in modo totale e globale; altrimenti i singoli percetti attiverebbero le aree cerebrali della visione in modo così frammentario da polverizzare l'unitarietà psicologica dell'esperienza visiva.
Altre regioni del cervello invece, hanno il compito di fungere da analizzatori della percezione, fondendo i segnali in ingresso arrivati in frazioni di tempo diverse, rimontandoli in un processo visivo simultaneo cosicché il tempo psicologico del "vedere" risulti unico.
Questi meccanismi di adattamento cerebrale alla componente cognitiva del processo visivo saltano nelle allucinazioni oniriche della fase REM del sonno, in cui la pregnanza affettiva di alcuni percetti fa sì che questi siano più "salienti" rispetto ad altri che rimangono, per così dire, "in ombra".

C'è quindi una similarità tra le caratteristiche delle immagini mentali della veglia e del sonno e la percezione distorta degli schizofrenici (malattia caratterizzata, tra l'altro, da un cattivo "dialogo" fra le due parti cerebrali). Ciò potrebbe significare che i due tipi di distorsione percettiva siano il prodotto degli stessi meccanismi arcaici di funzionamento psichico cerebrale. A differenza dello psicotico, però, nell'individuo sano questi fenomeni avvengono solo in particolari e ben definite condizioni di regressione, fra le quali appunto vi sono la creatività, il sogno, l'ipnosi, gli stati mistici. In questi casi si verificano delle modificazioni cerebrali che permettono la riduzione della distanza Io-non Io (concetto ben esemplificabile con la frase "sogno o son desto?"), l'attualizzazione dei ricordi, la liberazione delle immagini mentali, l'accesso al mondo della paleologica; si costituisce così lo stato mentale necessario per la messa in moto dell'out-put espressivo .

2. Tramite il linguaggio la coscienza interpreta il mondo esterno ed interno traducendo non solo gli oggetti, ma anche le emozioni, in parole. Nella comunicazione ordinaria la condensazione significato- significante (cioè la fusione in un unico simbolo verbale della cosa in sé e del termine che convenzionalmente la definisce in una data lingua), conserva il valore di strumento operatorio del pensiero logico-digitale. Lo scollamento di tali componenti viene poi operato al momento dello smistamento dell'input tra i due emisferi (ad esempio, il nome è riconosciuto a sinistra mentre il volto della persona cui quel nome corrisponde viene riconosciuto a destra).
È ipotizzabile dunque che nella poesia la parola sia "trattata" dal cervello come nel linguaggio non verbale; deve perciò essere disincarnata del suo valore semiotico e caricata dei contenuti del vissuto emotivo del quale forma il contenitore semantico. Solo così tali contenuti possono venire trasmessi e comunicati con un tipo di linguaggio che ne rispetti integralmente l'aspetto puntiforme, endocettuale, paleosimbolico, atemporale. La poesia cerca così di comunicare per segni verbali, mantenendo però la spazialità, l'immediatezza, la globalità dell'esperienza "interna" che l'ha prodotta e che è intraducibile in linguaggio digitale. Per questo motivo quando si cerca di spiegare un verso ci si accorge che mancano le parole per decifrarlo completamente.
Il problema centrale della poesia è infatti la trasmissione di espressioni verbali usate sia come segni dotati di valore semantico, sia come aggregati di suoni capaci di indurre rappresentazioni mentali, endocetti, immagini, emozioni. Questo perché un verso poetico non può essere costituito semplicisticamente da suoni onomatopeici, ma deve esser fatto di parole, le quali, in quanto segni significanti, sono prive di per sé di risonanze emozionali, che possono però essere acquisite grazie all'amalgama con gli "artefatti analogici" (rime, metrica, allitterazioni, prosodia, ritmo, pause, assonanze, sonorità, ecc.).

Questa fusione, momento tecnicamente molto delicato e "magico", costituisce il passaggio dall'"oggetto interno" informe del momento ispirativo, alle forme semanticamente strutturate del verso compiuto, il quale appoggia il suo "corpo verbale" sugli "artefatti analogici" dei quali costituisce l'impalcatura fonemica, riuscendo così a restituire al lettore la forza visionaria dell'emozione concepita a partire dal versante espressivo dell'atto creativo. Si decompongono così le "forme", cioè il linguaggio logico-verbale ed i suoi segni significanti che fanno da supporto comunicativo ai contenuti della poesia, fino a scomporle, discioglierle, fluidificarle, liquefarle per ottenere un magma omogeneo trasmissibile come contenuto immediatamente, globalmente, simultaneamente, totalmente, percepibile. Una vocale cessa di essere lettera per divenire grido, gemito, sussurro, vento.

Ecco quindi che la poesia nello spostarsi sempre più sul versante analogico della comunicazione riduce di molto la "distanza" fra il significato ed il segno ad esso adeso (cioè la parola che lo denota). Infatti nel linguaggio verbale rimane sempre una deconnessione, una scissione, fra significato e parola, ed in particolare tra emozione e simbolo.

Così il processo tutto mentale della visualizzazione trascende in suoni semanticamente strutturati, costituiti da sonorità in modo tale che l'immagine visuale da essi evocata si sovrappone, incarna, riveste quella sonora al punto che la parola con la sua "rumorosità" può divenire un tutt'uno con l'immagine visiva che incarna. In questo modo il vissuto emotivo viene veicolato tramite segni semantici nei circuiti comunicativi di tipo non verbale, che a questo punto sono gli stessi dell'emisfero "musicale".

3. In sintesi possiamo quindi affermare che anche fenomeni psichici appartenenti alla sfera del "trascendente", rappresentano in realtà il frutto della imprevedibile e continua interazione dinamica tra patrimonio cromosomico, cervello ed ambiente, contribuendo a dar corpo psicologico al vissuto dell'individuo, alla sua storia ed al suo "processo di individuazione" (Jung).
In ognuno di noi avviene una mescidazione universalmente unica e irripetibile di esperienze ed elaborazioni cognitive che coinvolgono la Coscienza, il suo Io e le strutture diacroniche della personalità (cioè il "film" della storia della nostra vita). Scopo di questo lavoro è stato anche quello mostrare come una lettura biologica delle emozioni e dell'arte di esprimerle (la poesia) sia tutt'altro che deterministica e prigioniera di un riduzionismo da "psichiatria molecolare".


Giuseppe Baiocco

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